Su Amazon Prime Video, piattaforma streaming di proprietà del colosso delle vendite online, al momento in Italia gratis per i clienti Prime, è possibile trovare questo nuovo show che sta avendo un notevole successo e approvazione da parte della critica. American Gods è tratto dal romanzo omonimo del 2001 scritto dal celebre Neil Gaiman (autore di Coraline e il ciclo di fumetti Sandman) e liberamente reinterpretato dagli sceneggiatori Bryan Fuller e Michael Green.
Prima della messa in onda si scatenò una lieve polemica sul ristretto numero di episodi per la prima stagione, diminuito da 10 a 8, alimentata soprattutto dalla preoccupazione dei fan che non venisse resa a dovere l’intricata trama che compone il romanzo, ma lo stesso scrittore, il quale figura come produttore esecutivo, ha rassicurato i fan della sua opera letteraria: la durata di circa un’ora per episodio ha compensato questa riduzione di puntate. Inoltre la serie è già stata rinnovata per una seconda stagione, con il benestare dei fan.
In questa recensione non parlerò delle differenze tra libro e telefilm (quello lo faccio qui), ma mi soffermerò unicamente sullo show, cercando di reprimere la mia vena polemica su come hanno reinterpretato e/o inserito elementi inesistenti nel libro.
Il protagonista, Shadow Moon, interpretato da Ricky Whittle, uscito di prigione dopo la morte della moglie Laura, incontra uno strano individuo che dice di chiamarsi Mr. Wednesday, interpretato dal celebre Ian McShane, che gli propone di diventare la sua guardia del corpo. Insieme inizieranno ad incontrare vari personaggi bizzarri di nazionalità diverse, che si riveleranno Dèi di diversi pantheon, tutti residenti negli Stati Uniti.
La trama, a grandi linee, è quella di un viaggio per reclutare alleati da usare in una guerra che vede contrapposti i nuovi e vecchi Dei. Sin dalla prima puntata facciamo la conoscenza di questi “nuovi Dei“, figure modellate dai gusti degli uomini moderni, difatti troveremo il “ragazzo tecnologico“, personificazione o Dio delle nuove tecnologie, o “Media” che appare con le sembianze di vecchie glorie della tv o del cinema anni ’50. Loro saranno gli antagonisti della storia, ma la linea di demarcazione tra buono e cattivo è sempre molto sottile in questo show.
Durante il corso delle puntate, oltre alla trama principale, ci verranno presentate le storie personali dei vari Dèi e di come sono giunti sul suolo americano. Questi piccoli diversivi narrativi potrebbero affascinare molti e annoiare altri perché rallentano molto l’andamento della vicenda, ma chi come me ha letto il libro, sa che queste “storie parallele” sono presenti anche nel cartaceo.
Gli strumenti narrativi e visivi adottati dalla regia sono sbalorditivi, perché focalizzano l’attenzione sui dettagli con degli zoom accurati, alcuni anche in computer grafica, senza però bloccare l’andamento della scena. Questa particolarità può somigliare a quella usata nei film polizieschi, o può ricordare lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie, ma solo con una fantasiosa associazione di idee, perché la serie non ha nulla a che fare con questi generi. Ho davvero apprezzato questa scelta registica, sia per la bellezza grafica di ciò che viene mostrato, sia per come si incastra perfettamente nella scena, dandole un tocco di originalità in più.
Nella sigla, una delle migliori mai viste finora, ci vengono presentati degli idoli moderni come automobili, computer, visori per la realtà aumentata e anche un astronauta crocifisso, il tutto sormontato da un’aquila, simbolo per eccellenza degli Stati Uniti d’America. Questi elementi vanno a formare una sorta di totem, simbolo sacro per i nativi e reso alquanto profano da questi elementi moderni. Questa commistione tra religioso e laico è presente in tutto il telefilm, donandoci anche delle imbarazzanti ma simpatiche scenette. Penso che il regista abbia voluto enfatizzare queste situazioni, anche con una leggera vena polemica, che comunque si legge solo tra le righe.
Mr.Wednesday, colui che si erge a difensore e condottiero degli antichi culti e vuole riportare in auge le credenze sui vecchi Dèi, è forse il personaggio più controverso dell’intera serie. È molto sicuro di sé, sembra che abbia sempre qualcosa da nascondere, non si fa scrupoli ad usare ogni mezzo per raggiungere i suoi scopi e apparentemente sa benissimo cosa succederà in futuro. È un classico antieroe, con tutti quei difetti che però non riesci ad odiare, anche grazie alla magistrale interpretazione di Ian McShane (chi, come me, lo ha apprezzato ne “I Pilastri della Terra”, saprà di cosa parlo).
Di contro il nostro protagonista, Shadow, sembra essere una povera vittima degli eventi. Sballottato a destra e sinistra e conteso tra le due parti (antichi e nuovi Dèi, ma non si sa ancora il motivo di tanto interesse), non sa bene cosa fare e come comportarsi, il che è normale visto che si ritrova in un mondo che non avrebbe mai nemmeno immaginato. La performance di Ricky Whittle è convincente per quanto riguarda il suo personaggio, un ragazzone tutto muscoli ma dal cuore d’oro. Non posso parlare degli altri attori altrimenti farei spoiler, ma vi basti sapere che ognuno di loro riesce a dare un’eccellente interpretazione del proprio personaggio.
L’intera vicenda è ambientata in America, molti sono i luoghi visitati e citati, alcuni reali, altri un po’ meno. Da citare il “somewhere in America” come escamotage narrativo per presentare avvenimenti e storie parallele a quella principale (come l’origine o la presentazione dei vari Dèi), e il sapiente uso degli effetti speciali che contribuisce a dare veridicità al tutto. Mi sento di elogiare quest’ultimi soprattutto per la splendida resa grafica, sia nell’aspetto scenografico che in quello legato ai personaggi.
In conclusione mi sento di dire che American Gods è una serie che merita di essere vista, a prescindere dall’aver letto o meno il libro; ha degli spunti e sviluppi interessanti e anche se all’inizio può sembrare un po’ lenta, in ogni episodio c’è un plot twist che renderà gli spettatori piacevolmente sorpresi. Questa prima stagione arriva a circa un terzo del libro (ma con le varie rivisitazioni e aggiunte non mi sento di fare confronti), che è solo l’inizio di qualcosa di più grosso è sconvolgente, quindi se a fine visione non vi sentite completamente soddisfatti non vi preoccupate: the best is yet to come!
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