ATTENZIONE, RECENSIONE SPOILEROSA
Con grande orgoglio le righe dell’ editoriale lanciano la prima uscita sulla serie regolare mensile di Barbara Baraldi, apprezzata scrittrice di romanzi e racconti gotici, già battezzata come sceneggiatrice di fumetti con “Il bottone di madreperla” apparsa sul Dylan Dog Color Fest numero 9 tre anni fa.
Più volte definita “regina del gotico”, i suoi incubi romantici non potevano trovare illustratore più idoneo dell’ oscuro ed evocativo Nicola Mari che in questa prova ribadisce di aver definitivamente raggiunto un nuovo equlibrio nel quale il tratto è più concreto ma sempre affiora l’ introspezione scabra degli esordi.
“La mano sbagliata” è un thriller psicologico che, come viene detto nell’ editoriale, si ispira un po’ ai vecchi horror di Dario Argento così come a certe atmosfere cinematografiche hitchcockiane che vengono richiamate anche dai nomi di attrici del passato disseminati nella storia quali Novak, Leigh, Vera Miles, “Marnie” (che non è un’ attrice ma il titolo di un film di Sir Alfred).
La protagonista è Anita Novak, affascinante e misteriosa pittrice che, dopo aver perso la mano con cui dipingeva strappata via dall’ ascensore del suo palazzo in un inspiegabile incidente e dopo aver attraversato un conseguente periodo di depressione e apatia, ha iniziato a lavorare con l’ altra mano, la sinistra; ma da quel momento è in grado solo di dipingere la morte, come se l’ arto fosse indipendente dal controllo motorio del cervello e desse vita soltanto ad orrori ispirati da un abisso sconosciuto. Le cose precipitano quando le immagini di morte ritratte da Anita iniziano ad essere seguite da veri omicidi le cui scene del crimine sono le stesse dei dipinti e, soprattutto, sono costellate dalle impronte digitali della sua mano destra… L’ ispettore Carpenter e l’ agente Rania di Scotland Yard indagano e mettono sotto torchio l’ artista, che naturalmente diventa subito la principale sospettata e non può fare altro che rivolgersi a Dylan Dog. L’ old boy si ritrova ad indagare in un ambiente dominato da figure femminili, in particolare Ingrid (agente e ombra di Anita, cinica e risoluta, morbosamente attaccata alla sua assistita) e Rita Leigh (collega e rivale di Anita, dotata di una personalità molto diversa, estroversa e smaliziata), ma soprattutto si ritrova ad indagare nella contorta mente di Anita della quale non può che cadere irretito e ammaliato. Sullo sfondo c’ è Marnie, la timida e insicura vicina di casa che fa la sua comparsa in un paio di paginette per poi svanire. Una delle regole che valgono quasi sempre in narrativa è che se un personaggio viene presentato e poi sparisce si può stare certi che tornerà prepotentemente in scena… E infatti l’ assassino altri non è che Marnie, l’ insignificante Marnie che vive ai margini, nell’ ombra e nel riflesso della vita di quella donna che per lei è diventata un’ ossessione, che ama disperatamente al punto da desiderarne la distruzione poiché non potrà mai averla. Lei ha causato l’ incidente dell’ ascensore, lei ha poi organizzato gli omicidi per danneggiare la carriera della pittrice, lei tiene la mano amputata su un altare come una reliquia da venerare (e la utilizza per disseminare impronte, anche se non viene mostrato… peccato, poteva servire ad accrescere la percezione della morbosità febbrile del personaggio). Insomma, non il massimo dell’ originalità e dell’ imprevedibilità, non tanto per la soluzione quanto per la costruzione, come si è detto.
Ma l’ albo va proprio analizzato come un giallo? Sì, in effetti è un giallo. Ma forse è innanzitutto un viaggio nella mente della protagonista indiscussa della storia, Anita Novak, schizofrenica femme fatale che con il suo disperato istrionismo e la sua sensualità ora fragile ora maliziosa ruba di gran lunga la scena a tutti, Dylan compreso; tutti i personaggi (Ingrid, Rita, Marnie) infatti non sono che derivazioni della sua personalità ed emergono sostanzialmente per contrasto con essa. Ingrid, la tenacia, la disciplina, il richiamo all’ ordine e al dovere, tutto ciò che vacilla nella confusa e spaurita Anita, per la quale è infatti un fondamentale sostegno professionale; Rita, in tutti i sensi (anche estetici) l’ opposto di Anita, ciò che forse ella vorrebbe essere, la voglia di vivere e la spensieratezza che ha perso insieme alla mano e a cui guarda con dolore e invidia soprattutto quando Rita seduce Dylan mettendola di fronte alla sua fragilità e insicurezza e alla sua paura di solitudine; Marnie, la silenziosa e innocua vicina di casa che tutti a malapena salutano e che ha in Anita e nella sua bellezza, che rappresenta tutto ciò che non potrà mai avere, l’ unica ossessiva ragione di vita. Ad inchiostrare questa danza di fantasmi della mente da cui Dylan si lascia sedurre e prendere per mano non si poteva che scegliere Mari e la sua estetica disincarnata, come abbiamo già detto. Ciò che più è riuscito della storia è dunque proprio questo aspetto, così come nei film di Dario Argento le atmosfere grottesche e inquietanti erano la vera anima dell’ opera ben più degli intrecci e dei colpi di scena piacevolmente sgangherati. Certo, niente di nuovo, Anita vive le dinamiche e i disagi di tanti altri personaggi che popolano altrettante storie, ma ci viene raccontata con una certa partecipazione emotiva e questo crea sufficiente empatia.
Come approccio artistico Barbara Baraldi si muove in questo terreno macabro e romantico con disinvoltura, d’ altronde gioca in casa. Ammetto di non conoscere i suoi romanzi, ma devo dire che quei timori di goth adolescenziale di cui leggevo in giro non mi sono sembrati fondati, anzi ho visto una discreta maturità filosofica. Ma anche ad occhi inesperti risulta evidente la sua estrazione letteraria che prorompe in una verbosità in certe pagine eccessiva, in dialoghi lunghi e ridondanti, in scelte di tempo fumettistico non sempre perfette (penso ad esempio alla lunghezza dell’ incontro fra Dylan e Anita che va da pagina 18 a pagina 42 o al dialogo-spiegone finale fra Dylan e Ingrid che infrange inopinatamente il climax della scena precedente in cui si rivela l’ assassino). Del resto è lo scotto da pagare quando ci si accosta per le prime volte a un nuovo mezzo narrativo, come è visibile anche nel bellissimo quanto prolisso “Il sonno della ragione” di Paola Barbato, anch’ ella a quei tempi trasferitasi da poco dalla prosa all’ arte sequenziale. Un altro elemento negativo che ho trovato è l’ affiorare in alcuni punti di una deriva melodrammatica da soap opera che si manifesta in particolare nel ménage à trois Anita – Dylan – Rita. Il Dylan dongiovanni conteso nel triangolo (eh sì, si dà molto molto da fare questo mese) dà luogo a certi dialoghi ostentatamente melliflui ed evitabili romanticherie quasi da Harmony che potevano essere limate, come il bacio sulla cicatrice con tanto di “La tua menomazione fa parte di te, è testimone del tuo coraggio… E’ meravigliosa!”. Anche la gestione di Groucho, che appare solo nella poco riuscita scenetta dell’ incendio nella galleria d’ arte, è da rivedere.
In conclusione, l’ esordio di Barbara Baraldi sulla serie mensile vale la sufficienza; l’ autrice inserisce tutti gli elementi principali del suo immaginario portando una sensibilità romantica e femminile e concetti densi che sarà piacevole ritrovare in contrapposizione agli approcci degli altri autori. La sostanza c’ è (magari un po’ più di cattiveria…), la crescita nella proprietà del linguaggio fumettistico arriverà.
P.S. Al di fuori delle considerazioni sulla storia e sull’ autrice, un’ ultima osservazione su Carpenter e Rania: continuano ad apparire per inerzia, senza dare sostanza di continuity e senza una profondità che dia motivo al lettore di affezionarsi ad essi, il primo un classico poliziotto antipatico da telefilm americano, la seconda con poco carattere. L’ impressione è che se ne stiano così depotenziati in attesa di decollare, magari con storie che li vedano protagonisti e aggiungano qualcosa di sostanzioso. Io lo farei in tempi brevi, prima che diventino uno sfondo scolorito.
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