A cavallo (..ah!) tra gli anni ’80 e ’90 si sono susseguite in tv diverse sit-com americane spesso accomunate da precisi cliché. Passati di moda questi show, la gran parte delle loro star sono scomparse o peggio hanno perso il rispetto dei fan rivelandosi delle brutte persone (qualcuno ha detto Bill Cosby?), in netto contrasto con i personaggi interpretati in passato. BoJack Horseman è una di queste star dimenticate: conclusa la sit-com di cui era protagonista, Horsin’ Around, ha passato gli anni seguenti crogiolandosi nelle ricchezze accumulate, senza riuscire a combinare nulla di buono. L’unico progetto in cui lo vediamo “impegnato” nella prima stagione è la scrittura di una sua autobiografia, ma le virgolette sono d’obbligo perché sembra non essere in grado di portare a termine neanche quest’ impegno, tant’è che la casa editrice lo costringe ad affidarsi a una ghost writer, Diane Nguyen, che fin dal primo episodio si addosserà l’arduo compito di passare del tempo con lui per carpire tutte le informazioni necessarie a metter su un buon libro.
La prima cosa che colpisce di questa serie animata è che il protagonista è una sorta di uomo con la testa da cavallo. Non solo, il mondo di BoJack Horseman è interamente composto da animali antropomorfi ed esseri umani normali e non ci sono animali che siano unicamente tali, anche se poi ogni specie mantiene alcune delle sue peculiarità, tipo BoJack che ogni tanto nitrisce o uomini-piccione che un momento prima parlano tranquillamente tra di loro, ma al primo rumore forte svolazzano via impauriti. Le gag demenziali create con questo espediente risultano sempre divertentissime, perché per tutto il tempo siamo portati a vedere i personaggi come persone comuni, mettendo in secondo piano la loro natura animalesca. Diventa un po’ grottesco quando capiamo che tutti si accoppiano con tutti, ma…ok, vive l’amour.
Spesso surreale, altre volte tremendamente coi piedi per terra, lo show offre un mix perfetto di comicità e pensieri profondi, senza mai eccedere dall’una o dall’altra parte. BoJack è un personaggio nuovo nel panorama delle sit-com animate: non il solito padre di famiglia tonto, ma una persona (sì vabè..ci siamo capiti) complessa nei cui diversi aspetti è possibile anche immedesimarsi. Di base è un pessimo soggetto: alcolizzato, procrastinatore, pigro ed egoista, tuttavia consapevole dei suoi difetti e desideroso di migliorare, anche se in fondo incapace di riuscirci davvero. Nonostante il suo essere sopra le righe a volte sembra l’unico ad avere un briciolo di cervello, mentre intorno a lui succedono le cose più assurde, come quando la sua ex (nonché sua agente) inizia a frequentarsi con un certo “Vincent Uomoadulto” che è palesemente tre ragazzini uno sull’altro con un lungo impermeabile addosso, ma BoJack è l’unico a farlo notare.
Questa serie originale Netflix è caratterizzata da un tipo di comicità che mi ha ricordato molto quella di South Park: è volutamente eccessiva, ma mai a casaccio e tra una risata e l’altra mette in moto il cervello dello spettatore facendolo riflettere su diverse tematiche. Una comicità intelligente dunque, sempre perfetta nei tempi e spesso imprevedibile, che prende in giro tutto e tutti senza discriminazione, anche se mai entrando davvero nel campo della satira impegnata.
Artisticamente, i disegni sono semplici, puliti e colorati. Mi hanno ricordato vagamente quelli di Beavis and Butthead. Nel complesso è gradevole, ma una produzione del genere ovviamente non si basa di certo sull’impatto visivo, quanto sulla sceneggiatura.
Nel doppiaggio originale la serie vanta attori del calibro di Will Arnett nel ruolo di BoJack e Aaron Paul nel ruolo di Todd, il suo amico sfattone e scansafatiche. Anche nel doppiaggio italiano però è stato fatto un ottimo lavoro e Fabrizio Pucci riesce a dare carattere a BoJack quanto in lingua originale.
Ora, io ho provato a parlarvi di questa serie dal mio punto di vista, ma la verità è che il tutto è abbastanza difficile da inquadrare e “inscatolare” in poche definizioni, perché come ho già scritto include un sacco di sfumature differenti al suo interno e anche da vari commenti che ho letto in giro ognuno è portato a vederci qualcosa di differente. Per me questo è indice di eccellenza assoluta, perché vuol dire che può essere letta su più livelli, caratteristica che accomuna le migliori opere creative.
Per ora ne sono state fatte due stagioni, disponibili anche in Italia sull’appena arrivato Netflix, composte da 12 episodi della breve durata di 25 minuti ciascuno (li divorerete). La terza è già stata confermata per il 2016. Sarà interessante scoprire come evolveranno la storia e i personaggi, poiché già nel passaggio dalla prima alla seconda stagione cambiano molte cose.
Senza dilungarmi inutilmente oltre, consiglio BoJack Horseman a chiunque sia già fan di South Park o I Griffin e in generale a chi apprezza gli show politicamente scorretti e non si scandalizza facilmente. Davvero, non riesco a trovarci aspetti negativi, è semplicemente fenomenale e irrompe prepotentemente nel genere portando idee nuove, segnando sicuramente un nuovo punto di svolta.
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