Vi è mai capitato di fare un incubo così realistico da non poter distinguere realtà da finzione? Un incubo dal quale non riuscite a svegliarvi perché, sebbene spaventoso oltre ogni immaginazione, vi costringe a volerne sapere di più? Ebbene, signore e signori, questo è Layers of Fear.
Videogame indie ad accesso anticipato, ora disponibile in versione definitiva, per PC, Xbox One e Playstation 4, sviluppato dal Bloober Team e distribuito da Aspyr, si dimostra già nella fase early acces una grandissima promessa videoludica, catturando l’interesse di youtuber rinomati, sia italiani che stranieri, del calibro di Pewdiepie, Markiplier e Favij.
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Impersoneremo un giovane e talentuoso pittore dell’epoca vittoriana alle prese con la sua ultima opera, incurante della sua discesa verso l’alcolismo e la pazzia. I corridoi e le stanze della magione nascondono numerosi segreti, troppo orribili per essere ricordati e i quadri (fedeli trasposizioni digitali di reali opere d’arte come la “Dama con l’ermellino” di Leonardo Da Vinci), muti testimoni della vicenda ci osservano e giudicano. Cosa è successo qui? La verità, quella sporca e orribile verità che avete così egoisticamente e infantilmente nascosto nell’abbraccio di Bacco, si rivelerà presto davanti ai vostri occhi grazie proprio a quella tela che così spasmodicamente cercate di dipingere.
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A prima vista, Layers of Fear sembra portare una trama usata e abusata: un protagonista tormentato alla ricerca della verità, bloccato in una casa spettrale e inseguito dai fantasmi. Magari fosse così semplice…magari lo fosse. In questo gioco non vi troverete a fare i conti con mostri, fantasmi o sadici assassini ma l’orrore arriverà dall’oggetto più inaspettato: un quadro. No, non il quadro che state così disperatamente cercando di dipingere ma ogni singolo quadro che vi osserva in silenzio, aspettando. Un quadro ci parla con mute parole, ci manda messaggi a livelli inconsci. Persino il quadro più felice, se osservato attentamente, è in grado di farci scendere un brivido di paura lungo la schiena. Sublime, così si chiama questo sentimento, e questo gioco ne è la manifestazione moderna. Il tema portante sembra essere quello del celeberrimo libro dello scrittore Oscar Wilde, “Il ritratto di Dorian Gray”, dove il quadro è la manifestazione della corruzione morale del protagonista. Le numerose opere d’arte presenti mutano al nostro passaggio, divenendo grottesche parodie di loro stesse, come corrotte dalla nostra decadenza e ricordandoci che loro sanno, loro vedono.
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Come già detto in precedenza, il gioco è la moderna incarnazione di quel sentimento che i pittori e i poeti del movimento artistico noto come Romanticismo chiamavano sublime. Gli ambienti di gioco sfruttano appieno la potenza del motore grafico Unity, in grado di garantire un alto livello di dettaglio anche su sistemi poco potenti, e ricreano appieno la cupa bellezza del periodo Vittoriano. Gli effetti di luce dinamici come candelabri, caminetti e lampade a gas abilmente affiancati da zone di buio e dall’assenza di fonti di luce personali contribuiscono a creare nel giocatore un forte senso senso di irrequietezza. Assente una musica di sottofondo ma il rumore battente della pioggia e gli scricchiolii del legno, accompagnati dagli sporadici squittii dei topi che infestano la magione sono quello che serve per incutere timore nel giocatore e tenerlo attaccato alla sedia. A tutto questo di aggiungono sollecitazioni audiovisive (porte che sbattono, rumori di passi e luci che si fulminano) che sono il culmine della tensione generata dall’ambientazione. La natura ridondante degli ambienti (ridondante ma non ripetitiva) sembra raccogliere l’eredità del compianto P.T., la nota demo grafica degli ex Kojima studios apparsa qualche anno fa: nonostante alcuni ambienti possano apparire già visti, la loro risposta al passaggio del giocatore varierà in maniera nuova e varia. Il sistema di controllo è semplice e intuitivo basato sull’utilizzo delle due leve (una per il movimento e una per la visuale) e un solo tasto per le azioni che, combinato con la levetta del movimento, permette l’apertura di porte, cassetti e bauli. Dal punto di vista dell’esplorazione, il gioco non presenta dell difficoltà rilevanti (come se il rischio di avere un infarto ad ogni porta aperta non fosse già abbastanza): gli enigmi, se così si possono definire, si basano sulla raccolta di oggetti, fotografie e schizzi del protagonista e sono facilmente visibili (a patto di sapere dove cercare). Altro punto di demerito, se così si può definirlo, è dato dal punto di vista in quanto sebbene ricrei con assoluta fedeltà la classica camminata da ubriacone (lo so che sapete di cosa sto parlando, mie adorabili spugne del sabato sera), spesso e volentieri è motivo di fastidio e, in alcuni casi, anche malessere per via della sua natura ondeggiante e irregolare. I due motivi sopracitati, e alcuni occasionali episodi di freeze e framedrop (mea culpa per averlo giocato su console), però non vanno ad intaccare la bellezza di questo horror così profondo e inquietante nella sua semplicità.
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Una trama che si dipana davanti agli occhi del giocatore e influenzata dalle sue azioni, una presenza grafica di tutto rispetto unite ad un indagine psicologica profonda e ad un costante sentimento di tensione che vi accompagnerà anche dopo la fine del gioco, rendono Layers of Fear una delle migliori esperienze horror della next gen. Perciò spegnete le luci, indossate le cuffie migliori che avete e già che ci siete indossate un paio di pantaloni marroni: fidatevi di me, vi serviranno.
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