Le feste di compleanno adolescenziali sono totalmente differenti dai diciottesimi e questi ultimi sono, a loro volta, distanti anni luce dai party serali a base di apericene ed amenità simili che in molti affrontano coraggiosamente al sopraggiungere dei trenta. Spesso si tratta di feste alle quali partecipiamo per “necessità di cose”, per non scontentare l’amico di turno o il parente prossimo all’agognata laurea. Ci accostiamo ad un angolo, seguiamo il procedere della serata con sempre maggior distacco rispetto all’iniziale (tiepido) accoramento e non aspettiamo altro che il suo termine, tra uno sbadiglio ed il rimpianto per quelli che sono stati i festeggiamenti a cui abbiamo partecipato nella nostra giovinezza. Lupin III – Il film è esattamente assimilabile a tale patema d’animo, un’attesa così a lungo agognata solo parzialmente ripagata, affogata con cattiveria in un marasma di noia, soprattutto se comparata alla serie animata del ladro in giacca e cravatta creato da Monkey Punch.
Nell’ormai lontano 1979 nelle sale cinematografiche italiane faceva il suo ingresso il nipote di Arsenio Lupin, con uno dei film d’animazione più autoriali dell’intera serie: La pietra della saggezza, terribilmente ridoppiato nella seconda edizione trasmessa televisivamente, è un’opera di rara poetica, leggera e senza fronzoli, un cartone in grado di miscelare ironia, trasgressione e lanciare citazioni anche di un certo peso (i meravigliosi inserti pittorici posseduti da Mamoo, che spaziano da Botticelli a De Chirico), oltre a suggerire una riflessione morale sul tema spinoso della manipolazione genetica del DNA umano. Successivamente l’animazione progredisce ulteriormente e nell’anno successivo Lupin è protagonista nel famoso Castello di Cagliostro, lasciando spazio nell’85 ad una Leggenda dell’oro di Babilonia dall’atmosfera particolarmente decadente, iniziando tuttavia ad alimentare una lunga lista di special televisivi di mediocre fattura fino al sopraggiungere nel 2009 ad un crossover interessante negli intenti (ma poverissimo nei contenuti) come Lupin III vs Detective Conan, in cui si fronteggiano due pezzi da novanta dell’animazione nipponica, giungendo ad un reale scontro (solo metaforico) in pochissime sequenze.
Sorvolando su paragoni improbabili tra film in animazione ed in live-action, la pellicola realizzata da Ryuhei Kitamura sembra essa stessa un processo alle intenzioni. La storia è scialba e sfilacciata, annegata in un minutaggio spropositato rispetto al materiale filmico proposto sullo schermo e i personaggi sembrano arrancare alla ricerca di una iconicità che mal si rispecchia in una riproposizione dal vivo del personaggio animato. Se Oguri, un perfetto Lupin quasi al pari del Mastandrea di Basette (il cortometraggio realizzato dal Gabriele Mainetti che, pochi anni dopo, avrebbe stupito l’Italia riportando in auge il genere supereroistico con Lo chiamavano Jeeg Robot), conferisce una buona organicità alla propria interpretazione, rendendolo equiparabile al suo alter ego animato per gestualità e mimica facciale, lo stesso non si può dire per gli altri personaggi che, ad accezione del Goemon in carne ed ossa (carattere tipicamente inespressivo finanche nell’anime) tendono ad essere oltre le righe non nel modo in cui sarebbe lecito aspettarsi da un prodotto di tale genere, ma sconfinando quasi nel parodico.
Kitamura ce la mette tutta e prova anche a coreografare adeguatamente sia i combattimenti che le scene più d’azione ma il ritmo si perde in un montaggio scolastico, impedendo anche al comparto registico un corretto lavoro di adeguamento filmico al materiale del manga, relegando il direttore dei lavori a mero esecutore privo di qualsivoglia stile personale (stile che sembrava aver ampiamente dimostrato con l’ottimo horror Macelleria mobile di mezzanotte, in cui l’azione era presente e la narrazione scorreva fluente come la metro rappresentata). L’unico tentativo di sperimentazione in campo registico avviene con l’utilizzo di GoPro e simili in particolari situazioni che tendono ad aggiornare un prodotto, tuttavia, dichiaratamente old style. Se la regia sembra essere in pausa caffè perenne, una simile colpa non può essere imputata alla fotografia, la quale svolge un lavoro egregio di riproposizione delle atmosfere del fumetto giapponese e rende i fotogrammi carichi di colore, aumentandone la carica ironica in alcuni frangenti e sviluppandone toni leggermente drammatici (o, per lo meno, più concitati) in altri, apportando una notevole miglioria al prodotto e rendendolo pregno di un’autorialità apprezzabilissima ma quasi superflua, in quanto non supportata adeguatamente nè dalla regia nè dal debole comparto sceneggiatura.
L’ironia, uno degli elementi fondamentali che da sempre contraddistingue il personaggio di Lupin, sembra presentarsi a corrente alternata, funzionando in poche sequenze ed apparendo, talvolta, come forzosa, impressa con lo stampino sui volti degli attori. Discorso a parte deve essere quello sul doppiaggio: un’opera tanto complessa quanto pericolosa come quella legata al ladro in giacca rossa (verde o blu, la sostanza è all’interno di essa e non al suo esterno), influenzata da un fandom non a torto agguerrito, non può essere distribuita con un doppiaggio così scadente, penalizzante in più punti sia le scene – alle quali smorza inevitabilmente ogni carica ironica – che i personaggi, azzerante molto spesso i rumori di fondo e giungendo sino allo sfiorare del raccapriccio. Le voci sono per la maggioranza cambiate dai tempi della messa in onda dell’anime sulle reti italiane, e come ci ha insegnato la ormai famosa diatriba sul cambio di doppiatori avvenuto nell’edizione italiana dei Simpson (dove, poco prima del nuovo timbro vocale di Homer avvenuto a causa della morte del grande Accolla, si ebbe un rimescolamento causato dal mancato rinnovo del contratto), non sempre un simile cambio porta sviluppi positivi nel piano immediato, salvo successivi adattamenti “per necessità” alle nuove leve.
Con maggiore accortezza, un piglio registico più deciso di quello di Kitamura e con uno script che avesse saputo davvero valorizzare la carica eversiva impersonata da quel tipo che è Lupin III, sicuramente il film sarebbe stato davvero in grado di mettere un punto dal quale prendere il via per future sperimentazioni sul personaggio. Tuttavia il buon proposito avuto dagli autori, oltremodo autorizzati intellettualmente da Monkey Punch in persona, si rivela inconcludente ai fini della rivisitazione in live-action e priva di reali spunti in grado di dar vita ad un’ipotetica continuazione dello stesso. Ed è davvero un peccato, perchè il nostro amato ladro gentiluomo meriterebbe ben altri trattamenti.
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