“Vadano tutti all’inferno tranne la caverna 76”. Così cantava Mel Brooks durante i suoi spettacoli comici assieme a Carl Reiner e questa frase, più o meno, rappresenta lo spirito che permea il nuovo episodio della famiglia Far Cry di mamma Ubisoft Montreal.
Ambientata nell’Europa del 10’000 a.C., il gioco segue le vicende di un giovane cacciatore della tribù dei Wenja di nome Takkar intento a ritrovare i membri dispersi nel vasto continente di Oros. Infatti come ci viene spiegato a inizio gioco dallo sciamano della tribù, un gruppo di Wenja decise di esplorare il vicino continente di Oros in cerca di terre fertili e abbondanza di animali. Fin qui sembra la trama de “l’Era Glaciale” con qualche strizzata d’occhio verso la Bibbia e un certo “Principe d’Egitto”, se non fosse per un piccino piccino sebbene cruciale dettaglino: non essere l’unica tribù di cazzuti cacciatori ricoperti di pelle. Oros infatti si rivela essere la casa di altre due tribù di cavernicoli, i cannibali Udam e i piromanti Izila, i quali non vedono di buon occhio l’arrivo di immigrati (la cosa mi sembra stranamente familiare e attuale) ma, invece di organizzare manifestazioni, gli orosiani autoctoni decidono di catturare i poveri Wenja per schiavizzarli e farne un bel brodino (riderete meno quando troverete un cadavere Wenja allo spiedo). In tutto questo il nostro buon Takkar, dopo aver salvato la vita a Syla, ragazza simpatica e sempre disponibile a “prestarvi orecchio”, comincerà il duro lavoro di ricostruzione della sua tribù andando in cerca dei membri perduti in primis: lo sciamano. Questo essere, per metà medico e per metà pusher, vi permetterà di sbloccare il potenziale latente del personaggio e trasformarlo in un Warpatii, un signore delle bestie, attraverso l’uso di intrugli più o meno allucinogeni (e poi dicono che i vincitori non usano droghe). I primi animali a nostra disposizione saranno un carinissimo e utilissimo gufetto e un lupo che ci renderanno la vita decisamente più semplice fungendo il primo da occhio nel cielo, il secondo da vera e propria macchina di sterminio alimentata a bistecche.
Snocciolata la trama, senza dirvi troppo che poi vi incazzate e il direttore mi sgrida, passiamo al bla bla tecnico.
Come già detto in precedenza, si tratta del quinto capitolo della saga Far Cry e il primo ad essere effettivamente uscito per next gen (che ormai si potrebbe anche considerare current gen), il motore grafico, il Dunia Engine 2, è lo stesso dei due capitoli precedenti mentre come motore fisico troviamo l’immancabile Havok, in grado di regalarci sempre momenti di sano divertimento. Il modus operandi è lo stesso di tutta la serie, ovvero quello dello sparatutto in prima persona (o FPS, come piace a voi smanettoni) a meccanica stealth quindi, vi starete chiedendo, cosa cambia dai precedenti giochi della serie (dimostrandomi così di non aver letto nulla finora, sigh)? Ebbene la recensione di oggi vi è stata offerta dalla parola: preistoria! Mentre nei precedenti capitoli, la scena era occupata dalle armi da fuoco e dalla tecnologia bellica più avanzata (non dimentichiamo quella bellissima trashata futuristica che è Blood Dragon), qui ci troveremo a doverci difendere con lance, clave e l’immancabile arco oltre ad una serie di altri oggetti carini e totalmente realizzabili a mano per voi amanti del fai-da-te.
La gestione del personaggio fonde elementi RPG, come la progressioni in livelli e lo sblocco di abilità, ad elementi gestionali della tribù: man mano la tribù crescerà, più avremo accesso a tecnologie sempre più sofisticate. Il nostro primo compito, infatti, sarà quello di andare in cerca di membri di spicco della tribù in modo da sbloccare abilità e armi o accessori indispensabili per la progressione nel gioco, oltre alle missioni principali della trama. Da non sottovalutare l’alternanza di giorno e notte: mentre durante le ore diurne andare a caccia si rivelerà una passeggiata nei boschi (in tutti i sensi), la sera ci ritroveremo ad affrontare l’ancestrale paura umana del buio. La visibilità sarà scarsa, gli animali più ostili e ci troveremo a dover incendiare le nostre stesse armi per avere un po’ di luce e ritrovare quel poco di coraggio necessario per proseguire. La vista del predatore si rivelerà uno strumento indispensabile in entrambi i momenti della giornata, permettendoci di evidenziare oggetti importanti, materiali e di seguire le tracce olfattive o di sangue degli animali. Menzione d’onore e grandissimo punto di forza del gioco è il doppiaggio: invece di ricorrere a lingue conosciute, gli sviluppatori hanno voluto dare maggiore immersione al giocatore creando una lingua primeva con cui far parlare i personaggi e limitandosi all’uso dei sottotitoli per renderla più comprensibile (una sorta di Uga Buga, ma più raffinato).
Il ruolo degli animali sarà dominante ed essenziale: infatti mentre nei capitoli precedenti la fauna era stata ridotta ad antagonista, occasionale metodo di distrazione e fornitura di materiali, in Primal potremo avere il nostro personale compagno di battaglia grazie alle abilità di Takkar. Il nostro amichevole Warpatii di quartiere sarà in grado di domare quasi tutte le belve del continente di Oros, ognuno con caratteristiche ripartite tra forza e furtività. Il vostro gufo fungerà da occhio nel cielo, permettendovi di esplorare gli accampamenti nemici, marcare gli avversari (la stessa funzione del binocolo o la macchina fotografica nei giochi precedenti, insomma) e di piombare su di loro. La gestione dei compagni animali e la loro varietà vi permetterà di adottare stili di gioco sempre diversi e complessi.
Per quanto riguarda le missioni, parliamo ovviamente di missioni secondarie, la formula è sempre la stessa: liberare avamposti, accendere pire (l’equivalente delle torri radio), cacciare animali rari e aiutare i membri della tribù. Quest’ultime, purtroppo, si limitano alla liberazione di prigionieri o alle onnipresenti missioni di raccolta rendendo l’esplorazione lenta e ripetitiva. Per quanto riguarda le missioni principali, Primal si conferma un capolavoro di narrativa: missione dopo missione, infatti, ci immergeremo nella vita primitiva dell’epoca ricostruita con accettabile dovizia (eccetto alcune licenze videoludiche necessarie) e soprattutto ci immedesimeremo nei personaggi e nella loro psicologia. Ogni personaggio è dotato di una propria storia e di un proprio cervello (per quanto piccolo possa essere) ed è mosso dalle proprie ambizioni, siano esse a favore o contro il protagonista. Lo stesso Takkar convive ogni giorno con il peso di essere il nuovo capo dei Wenja e di doverli proteggere dai suoi nemici mentre al tempo stesso si interroga sulle motivazioni di questi ultimi.
E ora, dopo tutte queste belle paroline dolci dolci e avervi fatto vedere tutte le cose belle e interessanti del gioco, veniamo alla parte critica: di per sè il gioco si presenta in maniera impeccabile (scenari curati e mozzafiato, personaggi tridimensionali, difficoltà bilanciata) ma purtroppo come tutti i grandi giochi presenta dei lati negativi: il primo forse è proprio la vastità della mappa che molti dicono essere stata ripresa dal capitolo precedente e riadattata e che si rivela dispersiva almeno nelle prime fasi del gioco. Sono presenti numerosi bug quali glitch, malfunzionamenti nel I.A. dei nemici (animali inclusi) anche se in maniera sorprendentemente inferiore per un gioco della Ubisoft.
Tirando le somme, Far Cry Primal è un ottimo titolo sia dal punto di vista grafico che tecnico e ha saputo tener fede all’hype generata con i numerosi trailer (diciamocelo, il trailer in live action era da bavetta). Nessuno finora aveva mai trattato la preistoria, il nostro stesso passato, in maniera così approfondita e verosimile in un videogioco e, nonostante alcune piccole imperfezioni facilmente trascurabili, nulla sarà in grado di rovinare l’atmosfera e l’immersione che questo gioco è in grado di generare. Buona caccia!
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