Come promesso, eccomi qui. Ho letto l’albo alla fine di una giornata estenuante, ma non abbastanza da farmi dimenticare la promessa fatta a Nonplus: recensire l’albo il prima possibile. Glielo dovevo, non soltanto a lui per l’onore-onere assegnatomi, ma anche a voi per la recente latitanza.
Come al solito preferisco non spoilerare, anche se gli appassionati avranno già letto l’albo e i non-appassionati se ne fregano di sapere in anticipo qualcosa. Fatto sta che la lettura è iniziata con uno sgomento totale dovuto a ciò che si vede (…?) in seconda di copertina. Una stravagante trovata assolutamente fine a se stessa che rende a modo suo ulteriore onore a mr. Sclavi nel suo acclamato e per molto tempo insperato (anche da lui stesso) ritorno. Secondo punto di forza la china di Casertano, autore di capolavori quali “Attraverso lo specchio”, “Memorie dall’invisibile”, “Il signore del silenzio”… storie che gli appassionati di DyD conoscono praticamente a memoria e che dunque, in duetto con Sclavi, non possono non far sperare in una pur breve resurrezione degli antichi fasti. Speranza ben riposta? Vi dirò: abbastanza, ma i segni del tempo ci sono, e Sclavi in qualche modo ce li sbatte in faccia, come solo lui avrebbe saputo fare, ma andiamo per ordine.
L’annunciata tematica è l’alcolismo del nostro Old Boy, che ci ricasca per “merito” di una donna. Strano a dirsi: il primo “amarcord” si deve non ad un momento di tristezza o delusione ma ad un festeggiamento, e già il cinismo si può tagliare a fette, senza dover ragionare troppo profondamente. Cliente di turno invece un vedovo “tormentato”, alcolista pure lui, dal fantasma della moglie. Ad affiancare l’indagatore, pur per poche pagine, l’immancabile madama Trelkovski e, al lato opposto del ring, il meno celebre professor Julius Adams, già conosciuto in due grandi albi sempre targati Sclavi. Lo scontro tra i due è virtuale: neppure si incontrano, bensì è il lettore che può scegliere di sua sponte per chi fare il tifo.
Provo ora a lanciarmi in una di quelle riflessioni che solitamente fa il collega Nessuno: una visione più profonda dell’albo, inquadrato non tanto nella storia in sé quanto nella sua collocazione editoriale.
Sclavi, pur avendoci concesso questa storia (e la prossima in arrivo), è immensamente stanco. La copertina bianca non è soltanto un omaggio al romanzo “Non è successo niente”, bensì un manifesto tanto dell’albo quanto probabilmente della sua carriera (in virtù di quello sminuirsi e minimizzare il proprio successo che l’hanno reso il personaggio – o dovrei dire la persona? – che tutti noi conosciamo). “Non SUCCEDERA’ niente”. Il foglio è bianco, i sensori elettromagnetici non rilevano nulla, nel vaso di pandora al massimo ci trovate l’eco (no, non Umberto, visto che ci ha lasciato pure lui), se siete fortunati. L’alcolismo non è altro che una scusa per ricordarci che il nostro (anti)eroe, che forse negli ultimi periodi a volte ci ha dato un po’ troppo l’impressione di essere un SUPER-eroe, può tornare ad essere un derelitto umano nel giro di qualche giorno, anche quando le cose gli vanno bene, vedasi una bella serata con una ragazza che sembra essere quella giusta. Che se noi amiamo Dylan alla follia, lui trasformerebbe tutti i fogli stampati (o quasi) in questi 30 anni in un bianco accecante.
Devo dire che, malgrado le storie siano decisamente differenti, quest’episodio mi ha riportato in mente quell’altro pezzo da 90 targato Sclavi che è “Marty”, una storia che nella sua semplicità mi sconvolse. Forse quello che manca più di tutto al Dylan attuale, con buona pace del signor Rrobe, è quel cinismo mega-disilluso e ultra-malinconico, quel reagire alle beffe della vita beffandosene a propria volta (benché l’alcolismo di Dylan riesca a mettere K.O. anche il miglior Groucho!). Nel nostro paese forse nessuno quanto Sclavi ha saputo teatralizzare l’orrore della banalità, la normalità nel suo trasformarsi in incubo, esaltando invece quelli che definire “outsiders” o “freaks” sarebbe estremamente riduttivo. Il successo di Dylan Dog lo si deve al suo essersi fatto al tempo stesso veicolo e riscatto dei “perdenti”, e il fatto che noi eravamo in trepidante attesa per una storia in cui essenzialmente non succede nulla ne è la prova più grande.
In questo paio d’anni forse avete imparato a conoscermi: non sono un grande “analista”, recensisco di getto, elencando punti negativi e positivi degli albi in modo molto istintivo e quasi rozzo, a differenza del collega Nessuno, ma… Sclavi è sempre stata la mia eccezione. Sclavi è la poesia che riesce a toccarmi, il romanzo che leggo in qualche ora e che un domani potrei decidere di pagare fior di quattrini (accidenti a lui che dice apertamente di non avere intenzione di ristamparli), il fumetto che compro da 25 anni e che ha stancato chi lo scrive, ma non me. Sclavi oggi è un messaggio che allo zotico che vi scrive risulta chiarissimo: “la festa per me è finita, vi lascio al pensionamento di Bloch, all’ispettore Carpenter, alle multinazionali di John Ghost, a Groucho che naviga con lo smartphone. Io brindo a voi con non una, non due, ma ben quattro bottiglie di rum, e vi saluto con una storia di una semplicità e di una tristezza devastante, perché è questo quello che sono”.
Io spero di sbagliarmi, ma quello che c’è dietro questa pagina bianca, nella fattispecie le ultime parole del vedovo, sembra davvero un epitaffio alla propria carriera, testimone il fatto che la terza storia che aveva cominciato ha avuto vita breve.
Se dovesse essere così, Tiz, grazie di tutto. Che per te vuol dire “grazie di niente”, e forse va bene così.
Dolan Dox
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