Se c’è una cosa che di primo impatto mi è parecchio piaciuta di Split è stata il suo andare dritto al sodo, quindi non sarò da meno: un padre si appresta a riaccompagnare la figlia e due amiche da una festa di compleanno, ma poco prima di partire viene narcotizzato da uno sconosciuto che sale sull’auto al posto suo, narcotizza anche le ragazze e le rapisce, segregandole nella stanza di un seminterrato. Il vero fine di questo rapimento non è chiaro e la situazione si fa ancora più inquietante nel momento in cui l’uomo si mostra prima nei panni di una donna e poi in quelli di un bambino di nove anni.
Kevin, questo il suo nome, soffre di un gravissimo disturbo dissociativo dell’identità e dentro di lui convivono ben 23 personalità differenti. Questa informazione ci viene data dalla sua psichiatra, la dottoressa Fletcher, secondo la quale alcuni soggetti con questo disturbo sarebbero anche in grado di modificare le proprie caratteristiche corporee con la sola forza della propria convinzione mentale, facendo coesistere nello stesso individuo, ad esempio, un’identità diabetica, un’altra perfettamente in salute, un’altra ancora miope e così via.
Più o meno tutto quello di cui vi ho parlato finora viene mostrato nella primissima parte del film, e probabilmente già ne eravate a conoscenza se avete seguito i trailer, in cui tra l’altro si accennava ad una ventiquattresima, terribile, identità di Kevin, ricollegata sempre al discorso del pensiero che può cambiare la struttura corporea, ma su questo tornerò dopo.
Prima voglio soffermarmi sul piatto forte del film: James McAvoy. Tutti, sin dall’uscita del primo trailer, ci siamo chiesti come diavolo avrebbe fatto ad interpretare tutte queste diverse personalità. Il caro Shyamalan si è rivelato abbastanza paraculo, perché in realtà le identità di Kevin che ci vengono mostrate in maniera approfondita sono pochissime, poi ce ne viene giusto fatta intravedere qualcun’altra, e insomma di tutte le 23 dichiarate alla fine ne vediamo meno della metà. Ciò non toglie che la performance di McAvoy sia stata sbalorditiva, perché si è ritrovato a dover imparare comunque troppi ruoli per un attore solo, riuscendoli persino a portare in scena in maniera eccezionale. I personaggi interpretati non sono esageratamente complessi, si è trattato piuttosto di renderli estremamente distinguibili tra di loro mediante tutta una serie di dettagli, e fare in modo che questi poi andassero a tratteggiare nell’insieme l’identità di fondo del protagonista. Una personalità è da bambino e parla con la zeppola, una ha un disturbo ossessivo compulsivo, una è di un altro sesso e con maniere più pacate, e a parte queste macro caratteristiche ognuno ha i suoi specifici tic, espressioni facciali ed altre subdole particolarità, che McAvoy mette davanti agli occhi dello spettatore con una naturalezza spaventosa, e quasi come un illusionista lo convince di trovarsi di fronte a persone diverse. Capiamo davvero quanto sia straordinario questo attore nel momento in cui lo vediamo passare con scioltezza da una personalità all’altra nella stessa inquadratura, o quando ne mette in scena alcune che interferiscono con altre o entrano in conflitto. La sua è stata un’impresa non da poco, se consideriamo che qui il rischio di dar vita a delle macchiette era dietro l’angolo.
Ora, io francamente sono andato al cinema curioso come una scimmia per questo film, ma con un’unica riserva dovuta alla fantomatica ventiquattresima identità nascosta, la “bestia“, perché il concetto della deriva paranormale su una base così fortemente psicologica mi faceva semplicemente cagare. Ho sperato per tutto il tempo che ciò che trapelava dai trailer fosse solo un modo per far credere allo spettatore una cosa, e poi ribaltare tutto con un plot twist di quelli che ommioddiomicolailcervellodalleorecchie-no. E’ proprio quello che hanno fatto intendere dal principio. Che a sto punto se magari si evitava di sbandierarlo ai quattro venti forse si sarebbe ottenuto tutto un altro effetto. E’ anche vero che cose del genere fanno parte dello stile di Shyamalan e non dubito che a qualcuno possa essere piaciuto l’elemento sovrannaturale, ma per me invece è un grosso punto debole.
Complessivamente però il film funziona alla grande e riesce nell’intento di intrattenere e scaricare camionate di ansia sullo spettatore, non tanto per la trama, perché tutto sommato è abbastanza semplice e non sconvolge più di tanto, quanto per la realizzazione in sé. Ci sono stati momenti di tensione estenuante, con inquadrature che mi sono rimaste impresse in mente per la paranoia che sono state in grado di trasmettermi. Poi ancora sequenze claustrofobiche movimentate (secondo me Shyamalan deve aver giocato ad Outlast almeno una volta), ed altre di inaspettata violenza e ferocia. Tutto questo ad un ritmo bello sostenuto: come ho detto all’inizio il film è molto diretto e con pochi fronzoli.
Anche la narrazione per molti aspetti si è comunque rivelata disturbante, perché c’è di più oltre all’ovvia malattia di Kevin. Tutto ruota attorno al modo in cui un essere umano può reagire ad un forte trauma, cioè isolarsi entrando in una spirale degenerativa o farsi forza e non lasciarsi sopraffare. Vengono trattati argomenti piuttosto delicati in maniera profondamente inquietante, anche perché a chi guarda viene solo lasciato intendere cosa sta per accadere, alimentando così i peggiori incubi che si possano fare sul degrado umano. Questi riguardano il passato di Kevin, ma soprattutto quello di Casey, una delle tre ragazze rapite, interpretata dalla giovane e magnetica Anya Taylor-Joy già molto apprezzata in The Witch, che qui ha dato ulteriore prova della propria bravura. Ad ogni modo, capite perché me la prendo con la deriva sul tema della “bestia”? Anche senza far vedere nulla, in alcune sequenze qui si rimane più turbati dalla sola idea di un certo tipo di crudeltà reale, che da altri aspetti che il cervello cataloga automaticamente come cazzate.
Il finale merita un paragrafo a parte. A me non è piaciuto per niente, perché non chiude nulla e mi ha fatto uscire dalla sala con un grande senso d’incompiutezza, MA (e qua c’è un “ma” bello grassoccio) poco dopo il presunto finale della storia a cui abbiamo assistito, ci viene mostrata una scena ulteriore che costituisce il vero finale, e mette tutto il film sotto una luce completamente differente. Io, me, me stesso e me medesimo giuriamo di non fare alcun tipo di spoiler, mi limito a dire che il film nasconde una natura segreta che ha a che fare con la filmografia di Shyamalan, quindi se amate questo regista e conoscete tutti i suoi lavori, fiondatevi il prima possibile al cinema perché potreste sbiancare per la sorpresa. Questo colpo di scena da solo potrebbe capovolgere improvvisamente l’idea che ci si era fatti del film fino a quel momento, dando oltretutto un po’ più senso a quel finale incompiuto, che così si apre ad un qualche seguito. Io però non me la bevo: il film per come è stato proposto al pubblico dovrebbe essere completamente godibile anche così com’è, invece non lo è fino in fondo e non si può pretendere che lo diventi del tutto solo alla fine con uno schiocco di dita, inserendo un riferimento che tra l’altro non tutti possono cogliere.
In definitiva, imperdibile per i fan di M. Night Shyamalan (e James McAvoy), ottimo in generale per tutti coloro che amano i thriller e gli horror, ma aspettatevi qualcosa di meno complesso di quel che sembra.
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