Dopo una lunga attesa, finalmente Outlast 2 è arrivato sul mercato, allietando (ed allertando) i cuori di tutti gli amanti dell’horror. Io il primo Outlast, e l’annesso DLC Whistleblower, li ho adorati, perché sono riusciti a terrorizzarmi come pochi altri videogiochi o film (tra cui il compianto P.T. che conservo gelosamente nella mia PS4), dunque le aspettative che nutrivo per questo titolo erano molto alte, troppo, al punto da farmi temere una cocente delusione, ma per fortuna i ragazzi di Red Barrels sanno il fatto loro e hanno nuovamente dimostrato di saper maneggiare l’orrore con rara destrezza.
Il protagonista Blake Langermann è un cameraman al lavoro con sua moglie Lynn: sono due giornalisti investigativi che intendono far luce sulla strana morte di una donna e le tracce li hanno portati a sorvolare con l’elicottero una riserva nel cuore dell’Arizona, ma a causa di un guasto precipitano e finiscono in un luogo chiamato Temple Gate, una sorta di villaggio rurale. Blake sopravvive, ma dopo il suo risveglio si trova davanti la macabra scena del pilota scorticato, messo su un palo e dato alle fiamme, mentre Lynn sembra scomparsa nel nulla. Da qui inizia la nostra disperata corsa per trovarla e salvarla.
Ci sono diversi elementi che rendono Outlast 2 differente dal suo predecessore, innanzitutto il cambio totale di ambientazione: stavolta abbiamo a che fare con molti più spazi aperti, e sostanzialmente con scenari campagnoli, ben lontani dalle modernità del manicomio di Mount Massive. La storia inoltre fa molto più leva sul tema della religione, infatti la comunità di Temple Gate è formata dai seguaci di una setta cattolica, guidata dal Papa autoproclamato Sullivan Knoth (tra l’altro, il gioco in parte si ispira al massacro di Jonestown del 1978); ciò non toglie che ci troviamo di nuovo alle prese con degli squilibrati, ossessionati dalla venuta dell’Anticristo al punto da commettere i peggiori crimini concepibili da menti umane. Un’altra novità sono gli incubi, o meglio le allucinazioni che affliggono Blake, e lo riportano a un vecchio trauma vissuto durante l’infanzia; sono orchestrati in maniera fantastica, avvengono quando meno ce li si aspetta e riescono a far sentire disorientati tanto quanto lo è il protagonista.
Molto superficialmente, questo sequel potrebbe sembrare completamente slegato dal primo Outlast, se non per gli aspetti che contraddistinguono il gameplay, e infatti volendo è godibile anche come gioco a sé stante. Andando più in profondità però si cominciano a notare altri livelli di lettura della storia. Sin dall’annuncio gli sviluppatori hanno specificato che il titolo si sarebbe collocato nello stesso mondo del primo capitolo, e questa cosa si palesa davanti ai giocatori più attenti ai piccoli dettagli, i dialoghi, le cose scritte nei documenti, gli easter egg… in parole povere il gioco premia particolarmente i migliori fan di Outlast, rivelando loro la sua vera trama. Qualcosa rimane ancora lasciato all’interpretazione (ad esempio l’ultima scena del finale), il gioco fa discutere e dà spazio alle teorie più disparate, dunque è lecito pensare al probabile arrivo di un DLC che faccia luce su alcuni aspetti, come d’altronde è stato fatto in precedenza con Whistleblower.
Outlast anche in questo secondo capitolo continua a vincere là dove molti altri videogiochi horror falliscono: i jumpscare non bastano! Certo anche qui ce ne sono, seppur ben contestualizzati, in quantità inferiore a quelli di Outlast 1 e realmente efficaci solo in un paio d’occasioni. Ciò che davvero terrorizza è tutta l’atmosfera del gioco, qualcosa di estremamente caratteristico che è possibile trovare solo nei titoli di Red Barrels (che poi vorrei sapere di che disturbi mentali soffrono questi sviluppatori, perché le idee che riescono a tirar fuori sono sempre più malate). Ci vengono mostrati perversi rapporti tra religione e sesso, una violenza inaudita e in generale il peggior degrado umano possibile, ed è questo a rendere il tutto così estremamente ripugnante: il suo trovarsi su un piano orribilmente umano. Ad ogni modo astenetevi se siete particolarmente sensibili alla blasfemia, potreste non gradire… tipo… tutti i contenuti di questo gioco.
Ma non si tratta solo di questo, ovviamente anche la visuale in prima persona ricopre un ruolo fondamentale, assieme alla caratteristica di non potersi difendere in alcun modo, ma solo scappare e nascondersi, che restituisce un enorme senso d’impotenza nei confronti delle minacce che ci si parano davanti. Per non parlare della videocamera con visione ad infrarossi, vero marchio di fabbrica del titolo, senza la quale sarebbe impossibile muoversi nelle zone di buio pesto in cui spesso ci troviamo immersi. E poi c’è quella sensazione di essere continuamente braccati che non lascia un attimo di tregua, e costringe i nervi a rimanere costantemente in tensione. Penso che le fughe siano da sempre una delle caratteristiche più ansiogene di Outlast, perché ci si ritrova spesso a dover ragionare in fretta su cosa fare o che strada prendere; alle volte non è per niente semplice capire dove stiamo sbagliando, e questa è anche la causa di alcuni frustranti trial and error.
Se il gioco garantiva un’ottima immersività al suo esordio, in Outlast 2 questo aspetto è stato reso persino meglio, fino a diventare quasi totale (manca solo la compatibilità col VR, ma poi gli sviluppatori avrebbero ricevuto troppe denunce per infarti); nello specifico sono stati rimossi in modo intelligente l’HUD e l’inventario: per accedere alle scene e ai documenti filmati si guardano i file nello schermo della videocamera, e per controllare quanti oggetti portiamo con noi (tra cui le famigerate batterie) si volge direttamente lo sguardo verso il basso, dove abbiamo le tasche in cui sono riposti.
Il gameplay ricalca molto quello del primo capitolo, ma sono state introdotte alcune novità e migliorie che lo rinfrescano un po’, e personalmente le ho apprezzate parecchio. Si possono chiudere i chiavistelli delle porte per rallentare ancora di più i nemici; possiamo portare con noi delle bende per curarci quando siamo prossimi alla morte, aumentando così le possibilità di proseguire senza ricominciare dal checkpoint; si può nuotare e nascondersi sott’acqua, ovviamente finché riusciamo a rimanere in apnea; il protagonista si stanca a seguito di una lunga corsa, subendo un forte rallentamento; la videocamera è dotata di un microfono per captare i suoni e farci capire se vicino a noi c’è una minaccia (il suo utilizzo però consumerà più velocemente la batteria). Sempre riguardo la videocamera, inquadrando alcune scene specifiche (come quella del pilota all’inizio) daremo il via a una registrazione che Blake commenterà quando la andremo a riguardare, fornendoci così ulteriori dettagli.
Anche i puzzle sono stati migliorati in Outlast 2: certo non è mai nulla di particolarmente cervellotico e la loro risoluzione spesso è resa complicata solo dai nemici che non ci danno il tempo di pensare, ma almeno li ho trovati meno ripetitivi del solito “prendi la chiave->apri la porta” di Outlast. Per quel che concerne le fasi stealth, anche a modalità normale l’intelligenza artificiale degli avversari è molto aggressiva e non si può sperare di prenderli in giro facilmente: alla minima disattenzione sono capaci di venirci a prendere per i capelli direttamente nel nascondiglio in cui speravamo di farla franca.
Graficamente il passo in avanti è notevole, soprattutto se consideriamo che il gioco gira ancora sullo stesso motore del primo Outlast, ossia l’Unreal Engine 3. Sono rimasto sinceramente stupito da tutto ciò che mi si è parato davanti agli occhi e non sono riuscito a trovare neanche una texture che mi facesse realmente schifo, poi i modelli, le animazioni, le luci… i ragazzi di Red Barrels si sono davvero superati, e un ulteriore applauso gli va fatto considerando che il gioco su PS4 (standard) gira a 1080p e 60fps granitici. Non ho da segnalare nemmeno particolari bug o glitch! Creare un mondo di gioco il più possibile realistico, dove l’inganno non sia spezzato da problemi tecnici, è fondamentale per un titolo come questo che punta praticamente tutto sull’immedesimazione, e qui il lavoro svolto in merito è ineccepibile. Riguardo tutto il comparto sonoro invece siamo ai livelli del capitolo precedente o poco più, dunque sempre eccellenti.
Su PS4 è stata anche mantenuta la finezza di far illuminare il Dualshock 4 con gli stessi colori del gioco, cosa che si nota e contribuisce all’atmosfera generale se si gioca al buio: verde chiaro in situazioni normali, verde più accesso quando si attiva la visione ad infrarossi e rosso vivo quando si viene uccisi.
Un ultimo plauso va all’adattamento italiano. Il titolo non beneficia di un doppiaggio nella nostra lingua, ma i sottotitoli offrono una traduzione impeccabile (anche se si potevano fare più grandi, quindi o imparate l’inglese o perdete diottrie) e soprattutto non mi aspettavo che fossero tradotti anche direttamente i testi dei documenti in-game, davvero un ottimo lavoro.
Outlast 2 per me è un capolavoro horror al pari di Outlast e Whistleblower, anche se magari sconsiglierei di giocarlo senza aver prima completato quest’ultimi, poiché così facendo ci si perderebbe molto del fascino che ha da offrire. Questa saga finora mi ha donato brividi unici e una soddisfazione che nel suo genere mi ritrovo molto raramente a sperimentare. Ancora una volta i miei nervi sono stati messi a dura prova, eppure nonostante tutto non sono riuscito a scollarmi dallo schermo per ore.
Per un’esperienza più appagante, vi consiglio di giocarlo come faccio sempre io con gli horror (perché mi voglio particolarmente male): di notte, al buio, da solo, con le cuffie a un volume alto quanto basta… e preferibilmente a stomaco leggero.
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