Wonder Woman è già stato promosso dalla critica americana come miglior film dell’Universo DC e, ancora più importante, ha soddisfatto le aspettative dei fan di tutto il mondo: il comic movie targato Warner Bros. Pictures e DC Entertainment esordisce incassando 100,5 milioni di dollari, segnando il miglior debutto di sempre al box office per un film diretto da una donna, Patty Jenkins.
Sin dall’esordio di Man of Steel nel 2013, il piano per l’ambizioso progetto dell’Universo Esteso DC non è riuscito a reggere il confronto con il più acclamato e longevo Universo Cinematografico Marvel: Batman v Superman ci ha regalato un’atmosfera eccessivamente cupa e pesante, una sceneggiatura confusionaria e dei protagonisti dalle crisi esistenziali un po’ forzate, impedendo loro di essere ciò che sono, dei supereroi. Wonder Woman, invece, si impone con molta leggerezza narrativa e tanta ironia, rappresentando il primo passo verso un cambiamento concreto: la regista e lo sceneggiatore (Allan Heinberg) esplorano i temi cari all’Universo DC (la ricerca della propria identità e se sia giusto o meno che una sola persona detenga il potere assoluto) con un’umanità che mancava ai predecessori dello stesso franchise. In questo caso, la natura superiore di Diana è data per scontata e considerata un elemento di spicco piuttosto che un gravoso fardello, ma soprattutto ciò che la tormenta non è la sua identità, piuttosto il suo ruolo nel mondo.
Nata sull’isola di Themyscira, Diana è l’unica bambina a vivere tra le Amazzoni, creata dall’argilla da Zeus in persona per volere della Regina Hippolyta (Connie Nielsen). Sin da subito vuole diventare una guerriera, ma sua madre le impedisce di allenarsi, costringendo un’altra Amazzone, Antiope (Robin Wright, anche conosciuta come la simpaticissima Jenny di Forrest Gump) ad allenarla in gran segreto, finché diventerà una guerriera potente e sicura di sè. Ad interrompere la sua routine fatta di cavalcate e combattimenti, arriva Steve Trevor (Chris Pine), pilota americano che precipita con il suo aereo proprio al largo dell’isola, inseguito da una flotta tedesca. Diana a quel punto apprende che al di fuori dell’armonia della sua isola, si sta combattendo quel conflitto che è passato alla storia come la Grande Guerra: i 25 milioni di morti di cui parla Steve, la convincono che gli uomini si uccidano tra loro perché manipolati dal più antico e acerrimo nemico delle Amazzoni, Ares. Decide così di partire alla volta dell’Europa insieme al pilota per uccidere il Dio della guerra, cosicché i tedeschi “possano tornare ad essere dei bravi uomini”.
Wonder Woman rappresenta un perfetto equilibrio tra umorismo e solennità, angoscia e avventura; i temi cari alla DC si intersecano tra loro in una rete di opposti, Steve e Diana, il mito di Ares e la guerra nel mondo moderno: il film si apre sulla magica e lontana isola di Themyscira, ma una volta giunti nel mondo di Steve -il nostro mondo- Diana appare come una figura surreale, appunto una semidea, troppo appariscente per passare inosservata nella Londra del 1918. Eppure il mondo non entra ancora in contatto con altri supereroi, quindi tutti gli uomini che circondano Diana avvertono la necessità di proteggerla, ostacolarla o ancor peggio, sminuirla, ma lei, senza farne una tragedia, non ha alcuna intenzione di ascoltarli: Wonder Woman non comprende le regole della nostra società (che osservate dal suo punto di vista, ci sembrano più assurde che mai), regalandoci una serie di momenti comici molto più maturi che in Suicide Squad, soprattutto quando Steve cerca di fermarla per farla ragionare e lei lo scansa di peso per poi agire come meglio crede; Diana però è anche supponente e le sue idee idealiste sulla natura buona dell’uomo stridono continuamente con la raccapricciante realtà della guerra.
Nonostante questi continui conflitti interiori (e non) portino ad alcune svolte narrative interessanti e il film sia molto al di sopra della mediocrità generale dell’Universo DC, anche Wonder Woman non è un capolavoro per tanti motivi: i cattivi sono molto distanti e distaccati dall’azione principale, mentre è stato concesso fin troppo spazio ai compagni di guerra di Steve, che sebbene avessero tutti una storia individuale dal grande potenziale, non aggiungono nulla alla storia. Sameer, Charlie e Chief si uniscono a Diana e Steve per tornaconto personale, e francamente nessuno di loro gioisce all’idea di essere guidato all’azione da una donna, finché non comprendono la necessità di guardarsi le spalle a vicenda per sopravvivere.
Patty Jenkins purtroppo è caduta nella stessa trappola di molti altri registi di comic movies prima di lei: non importa quanta attenzione sia stata data alla crescita spirituale dei personaggi, alla fine tutto si conclude con le migliori esplosioni in CGI e i peggiori dialoghi cliché sull’amore e l’amicizia. Nonostante ciò, l’azione è sempre elettrizzante e, ancora meglio, ha un significato specifico: la protagonista non è troppo impegnata a soffrire, anzi, prova una grande empatia verso i civili che vuole salvare ad ogni costo.
A differenza degli altri supereroi appartenenti allo stesso franchise, Wonder Woman non si lascia mai sopraffare dalla solitudine e dalla rabbia, ma affronta le sfide che le si presentano con coraggio, convinzione e anche umorismo. Se Batman v Superman si chiedeva cosa significasse essere un supereroe, Wonder Woman risponde senza indugio a questa domanda, conquistando in questo modo il podio dell’Universo DC: essere un supereroe vuol dire onorare la causa in cui si crede e difendere i più deboli, ignorando per quanto possibile la propria sofferenza a favore di un fine superiore.
Guarda la nostra videorecensione di Wonder Woman
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