Come tutte le grandi serie che si rispettino (per quanto si stia parlando di un videogioco indipendente), The Lion’s Song giunge alla sua fine con il quarto e ultimo episodio: Closure. La piccola casa videoludica viennese Mi’pu’mi ci offre ancora una volta un piccolo capolavoro di semplicità, ma dal forte impatto psicologico, tratto distintivo anche degli altri tre episodi della serie.
Questa volta ci ritroviamo nei panni un personaggio sconosciuto e dall’aria malinconica in attesa di salire su un treno. Il suo viaggio lo porterà, attraverso i racconti dei suoi compagni di scompartimento, a venire a conoscenza delle storie dei protagonisti degli episodi precedenti.
Durante tutto l’episodio permane un’aura di cameratismo e di innocenza nelle parole dei vari personaggi: ognuno di loro narra con affetto e orgoglio di come sia stato parte, anche magari in maniera non del tutto rilevante, delle vicende di personaggi illustri che grazie ai loro racconti si ergono ancora di più come giganti nella loro unicità. Ma qual è la meta? Lascio che siate voi a scoprirlo perché il bello di questo viaggio (se penso a questa serie non posso che paragonarla ad un lungo ed emozionante viaggio) non è la sua destinazione, ma in questo caso i percorsi che hanno portato i protagonisti di questo episodio a incontrarsi nell’anonimo vagone di un treno con solo le loro storie come biglietto da visita.
Dal punto di vista tecnico l’episodio non presenta differenze con gli altri precedenti (che ho già analizzato nella mia scorsa recensione): sempre presente è lo stile minimal simil 8 bit, ormai marchio di fabbrica della serie che volutamente richiama alle avventure del passato, mentre le schermate di transizione continuano ad essere un piacevole contorno alla vicenda. La musica è sempre delicata e mai invadente, intervallata da reminiscenze strumentali del primo episodio riproposte questa volta in chiave nuova e per nulla banale.
Gli enigmi (perché ogni avventura grafica che si rispetti deve esserne sempre provvista) sono il semplice passatempo che fa da cornice a tutta la vicenda, senza risultare forzati o ripetitivi e riuscendo talvolta anche a strappare una risata inaspettata. Sono le nostre scelte ad essere il vero enigma: in base a ciò che sceglieremo di far dire o fare al nostro personaggio, si aprirà un ventaglio di possibilità sempre nuove e diverse per mandare avanti la storia.
Purtroppo anche il migliore dei giochi ha i suoi difetti, anche se in questo caso è proprio il più grande pregio del titolo ad essere annoverabile tra i difetti: la semplicità. Per quanto sia molto apprezzabile in questi tempi di giochi frenetici e adrenalinici mettere le mani su un titolo calmo e rilassante, ci si aspetterebbe un grado di difficoltà maggiore. Ciononostante l’imprevedibilità delle conseguenze delle nostre azioni di gioco spesso ci porta ad esitare prima di decidere quale linea di dialogo selezionare, quasi come se fossimo di fronte ad un boss di Dark Souls (ogni riferimento ad altre opere videoludiche è puramente casuale).
Concludendo, si sa che i finali talvolta spaventano i giocatori, specie quando si tratta della fine di una serie: abbiamo paura che le vicende rimangano aperte o che la conclusione della saga che tanto ci ha appassionati si riveli banale e prevedibile. Non è certo questo il caso di Closure, che riesce a tenere alto il tenore della serie offrendoci qualcosa di innovativo e una visione nuova e fresca degli episodi precedenti, oltre a farci provare un’empatia maggiore per i protagonisti e le loro vicende.
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