In quest’ultimo periodo si è parlato molto dell’argomento microtransazioni e di come alcune case produttrici (sì sto guardando te, EA) ne stiano abbondantemente approfittando.
Cominciamo con ordine e chiediamoci: “esattamente cos’è una microtransazione?”. La risposta è abbastanza semplice, di solito sono acquisti in game che riguardano aspetti secondari del gioco, come ad esempio comprare un oggetto puramente estetico per il proprio personaggio giocante. Inizialmente erano “esclusive” dei giochi free-to-play dove rappresentavano qualcosa come il 90% dei profitti del gioco in sé. Ovviamente in alcuni casi erano tutt’altro che opzionali e anzi obbligatorie se si voleva essere competitivi, il che portava alcuni giochi da essere free-to-play a pay-to-win.
Sicuramente le microtransazioni non sono un sistema perfetto, ma nell’ambito f2p a modo loro funzionavano (e funzionano tuttora). Qualcosa è cambiato con l’avvento di un gioco fra tutti: Overwatch, della Blizzard. L’aggiunta delle loot boxes (casse virtuali al cui interno si possono trovare 5 oggetti cosmetici di qualsiasi rarità, da comune a leggendario) ad un gioco a pagamento, ha significato portare le microtransazioni ad un nuovo livello. Certamente le loot boxes di Overwatch si guadagnano anche giocando, ma è possibile acquistarle a parte con valuta reale. Ora forse mi sto sbagliando, forse Blizzard non è stata la prima ad aver introdotto le microtransazioni in un gioco non free to play, ma sicuramente è stato il caso più famoso. All’improvviso le loot boxes erano ovunque: Paladins, League of Legends, Heroes of the Storm e molti altri.
Il vero problema dietro questa nuova meccanica è che si parla letteralmente di un terno al lotto, dove non si può minimamente sapere cosa si può trovare all’interno del box. Precedentemente quando si spendevano 10 euro su un MMORPG sapevi cosa stavi comprando, mentre non puoi affermare lo stesso spendendo soldi in loot boxes. Ovviamente non è passato troppo tempo prima che altre compagnie capissero che vento tirava, arrivando così al caso eclatante del momento: Star Wars Battlefront II.
C’era tanta emozione per l’uscita di Battlefront 2, il gameplay prometteva benissimo e questa volta a differenza del capitolo precedente della serie è stata introdotta una campagna single player. Tutto sembrava in ordine finché EA ha annunciato che non tutti i contenuti sarebbero stati disponibili da subito, ma si sarebbero dovuti sbloccare giocando o in alternativa per mezzo di microtransazioni. Fino a qui, per quanto si possa storcere il naso, tutto sembrava nella norma visto che in casi come For Honor una situazione simile non ha portato a “troppe” lamentele o calo di godibilità. Peccato che un utente su Reddit abbia fatto un calcolo e stimato che per sbloccare tutto senza spendere un centesimo richieda 4,528 ore, ossia più di 6 mesi di gioco. Questo, unito al fatto che personaggi del calibro di Darth Vader non erano giocabili fin da subito, ha scatenato l’ira del web portando il commento su Reddit di EA dove venivano spiegate le ragioni dietro le loro scelte, a battere il record di voti negativi con -375.000 punti.
Tutto ciò non ha solo portato la casa produttrice ad essere presa di mira dalla satira di internet, ma anche a molte richieste di rimborso sul gioco, e la situazione si è fatta così seria che la stessa Disney è dovuta intervenire, poiché il buon nome della saga di Star Wars rischiava di essere associato inevitabilmente con quello di EA. Alla fine c’è stata una retromarcia da parte del publisher ed è stato annunciato che quasi tutte le microtransazioni sarebbero state rimosse. Una vittoria enorme da parte del popolo di internet, che per una volta ha vinto una battaglia, anche se la questione non finisce così.
La questione Battlefront II ha fatto così tanto scalpore che il ministro della giustizia belga Koen Geens ha affermato: “unire gioco d’azzardo e videogiochi, soprattutto in tenera età, può essere pericoloso per la salute mentale dei bambini” (fonte). Infatti il ministro considera questo tipo di microtransazioni assimilabili alle slot machines, considerando che entrambe si basano su soldi, dipendenza e la voglia quasi irrefrenabile di continuare per recuperare ciò che si è perso (in questo caso, finché non si ottiene qualche oggetto raro). I timori che sono stati mossi da Geens è che incentivare un comportamento fin troppo simile al gioco d’azzardo nei bambini, potrebbe influenzarli da adulti a considerarlo normale.
Il ministro ha anche affermato che farà il possibile per rendere le microtransazioni come quelle di SWB2 illegali. Tutto ciò per quanto possa essere buono da un lato, rischia di creare un precedente pericoloso, fino ad oggi infatti il mondo videoludico è stato quasi un universo a parte, che veniva citato solo di tanto in tanto come causa di comportamenti violenti da giornalisti in cerca di facile visibilità. Adesso invece stiamo parlando di una legge che indirettamente riconosce ufficialmente i videogiochi come qualcosa di presente nella nostra vita di tutti i giorni e che potrebbe essere la prima di molte altre… prevedibilmente non positive.
In definitiva le microtransazioni, che piacciano o meno, sono una parte dei videogiochi moderni. Probabilmente anche se allenteranno la loro presa fin troppo stretta, rimarranno nel panorama videoludico per un bel po’, forse sotto forme diverse. Come i DLC, anche le microtransazioni sono una fase evolutiva del “gaming moderno” e non ci resta che accettarle, rimanendo nei limiti della decenza ovviamente (grazie EA). Il motivo per cui al momento sono così condiscendente è che non sappiamo ancora con certezza come evolverà questa cosa in futuro, anche se i possibili sviluppi un po’ mi spaventano.
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