Era il 15 marzo dello scorso anno quando venne pubblicato il primo trailer di Devilman Crybaby, che al tempo sembrava una rivisitazione psichedelica del manga del maestro Go Nagai. Fece molto discutere i fan sulla sua natura: sarebbe stata una storia originale basata sugli storici personaggi della serie o avrebbe ripercorso fedelmente la storia originale del fumetto? L’ansia era palpabile, i fan più accaniti del manga non vedevano l’ora di poter mettere finalmente le mani su una versione animata fedele e completa dell’opera magna di Nagai.
La serie classica è nei cuori di tutti, ma stravolge completamente il senso del manga per abbassarsi ad un target di pubblico non adatto ai suoi temi crudi, e anche i due OAV di pregevole fattura non sono sufficienti, dal momento che non comprendono l’intero arco narrativo fermandosi a qualche capitolo prima del finale. Il trailer sembrava promettere bene in tal senso, ma i dubbi restavano.
A distanza di quasi un anno, questo 5 Gennaio la serie è approdata sulla più famosa piattaforma di streaming al mondo, Netflix, che oltre alla distribuzione si è anche impegnata nel realizzare più doppiaggi tra cui quello italiano, che tutto sommato si attesta nella media, senza vantare particolari doppiatori nostrani di spicco. L’anime è stato realizzato dal neonato studio Science SARU cofondato dal visionario Masaaki Yuasa, già famoso per serie come “The Tatami Galaxy” e “Ping Pong The Animation”, insieme a Eunyoung Choi.
Il regista che si è occupato della serie è lo stesso Yuasa, affiancato dal discusso sceneggiatore Ōkouchi (“Code Geass” e “Guilty Crown”). Il loro compito non era certo dei più semplici, grande era l’attesa e l’hype dei fan per questo titolo, e ancora più grande era la possibilità di fare un errore che avrebbe fatto crollare l’intero castello di carte. Accontentare i vecchi fan e allo stesso tempo avvicinare nuove leve alla serie svecchiandola e rendendola moderna (un po’ com’è avvenuto con la modernizzazione di Mazinga nel film Mazinga Z Infinity) non è certo una cosa facile. Tutti questi fattori e la mia ossessione morbosa per il brand (non lo nascondo) mi hanno praticamente costretto a finire i 10 episodi che compongono la serie animata in meno di due giorni.
Con sommo piacere la storia rispetta effettivamente quella del manga, il sesso, la violenza, tutto è al suo posto, l’esagerazione e il grottesco spadroneggiano come il buon Devilman originale ci ha insegnato. Tutto questo non è fuori luogo o esasperato senza motivo: la violenza è contestualizzata in una fitta trama di eventi che non possono non richiedere lo spargimento di sangue, il sacrificio di vite e la carnalità più sfrenata e brutale.
Non ci si è limitati soltanto ad una copia 1:1 del manga, ma sono state effettuate anche delle piccole aggiunte o modifiche, come ad esempio con l’aspetto adolescenziale-sportivo e con sottotrame secondarie che, non stravolgendo la natura primigenia dell’opera, contribuiscono ad approfondire qualche evento e qualche caratterizzazione che nel fumetto erano rimaste in sospeso o poco approfondite (come il capitolo dedicato al demone Jinmen e all’amica di Akira, che nel manga era buttato un po’ lì senza troppe spiegazioni, ed ora invece viene maggiormente contestualizzato utilizzando personaggi che già conosciamo).
Il tema principale della storia è la contrapposizione tra la mostruosità dell’aspetto demoniaco del protagonista Akira che però mantiene un cuore buono e puro, e la malvagità degli uomini che vivono in preda al pregiudizio e alla paura che li spinge alle azioni più brutali e sadiche, anche più degli stessi demoni. Non sono i demoni la vera minaccia, ma è l’uomo stesso che con le giuste condizioni rivela matematicamente la sua natura autodistruttiva, corrotta ed egoista. La distopia è dietro l’angolo e non serve andarne a cercare la causa in creature immaginarie o in particolari eventi catastrofici, basta guardare dentro di noi.
Ovviamente la storia è stata riambientata ai nostri giorni: smartphone, social network, chat sono onnipresenti. Inoltre lo stile, come già detto in precedenza psichedelico, quasi onirico, ha reso giustizia al tratto sporco e “malato” di Nagai, riproponendo perfettamente il terrore e la paura dell’anime anni ’70 (il sangue dei demoni è giallo proprio come allora!). Particolarmente graditi e degni di nota sono i continui rimandi e citazioni alla serie storica di Devilman in calzoncini, poster, pubblicità, sigle, action figure ed altro, sparsi qui e lì tra gli episodi.
Certo, c’è da dire che con 10 episodi più di tanto a livello psicologico non si poteva approfondire. Anche lo stesso Ryo avrebbe meritato maggior rilievo, considerando il ruolo primario che riveste negli eventi, e alcuni nuovi personaggi purtroppo sono facilmente dimenticabili e non caratterizzati con particolare maestria. Nulla che infici sulla qualità generale del prodotto o degli eventi narrati, ma era necessario specificare questo aspetto per amor di completezza. I veri protagonisti della storia non sono i singoli individui ma l’intera razza umana e la sua natura, motivo per cui quasi passano in sordina i personaggi secondari: sono solo un contorno sfumato, una cornice, tanto che la nostra attenzione non è focalizzata su di loro ma sulla situazione catastrofica in cui si trova tutta l’umanità.
Ad alcuni potrebbe non piacere il particolare stile di animazione minimalista di Yuasa, croce e delizia del regista, che da un lato lo ha ha reso famoso e riconoscibile, ma dall’altro non sempre va giù volentieri a tutti. Nel complesso però le animazioni si attestano su una qualità più che discreta, considerando il budget che è stato dedicato alla realizzazione dell’anime. I combattimenti sono concitati ed incalzanti, la velocità la fa da padrone in tutte le scene. La colonna sonora si fa valere riuscendo ad intercambiare momenti di pura epicità con altri di calma con una naturale fluidità, ed è firmata da Kensuke Ushio, già collaboratore di Yuasa per la serie Ping Pong.
La potenza del messaggio dell’opera non è cambiato, anzi, i risvolti finali della trama di Devilman Crybaby colpiscono dritti al nostro cuore. Le corde che tocca sono sempre tese, pronte a scattare (ed ammetto di essermi commosso negli ultimi due episodi). La natura umana non è mai cambiata, ed è come quella che Nagai colse appieno 46 anni fa, rendendo in questo modo immortale e sempre attuale la sua opera.
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