La seconda stagione di Westworld si è fatta attendere per due lunghi anni, e sebbene da fan di Sherlock abbia appreso la nobile arte della pazienza, una parte dentro di me moriva comunque dall’ansia di sapere come sarebbe continuata questa magnifica serie ad opera di Jonathan Nolan e Lisa Joy.
Parto subito col dire che purtroppo questa stagione non è all’altezza della prima, e credo che difficilmente la serie tornerà mai ad avvicinarsi così tanto alla perfezione, ma siamo sempre davanti ad uno dei migliori prodotti televisivi contemporanei, capace di distinguersi tanto per la raffinatezza delle tematiche quanto per l’ottima qualità della realizzazione.
Nonostante ciò sono certo che molti, vedendo deluse le proprie (stratosferiche) aspettative, saranno portati a pensare il contrario (ho trattato l’argomento anche in questo articolo qualche tempo fa), e chi riteneva già troppo lenta e complicata la prima stagione di Westworld probabilmente farebbe bene ad evitare la seconda.
Questa volta gli autori non hanno fatto giochi di prestigio con la trama, ma hanno deciso di giocare a carte scoperte. Il problema è capire in che ordine vadano lette queste carte, come incastrare tra di loro i tanti pezzi di questo puzzle dal disegno sfocato. Questo perché viviamo gran parte della storia dal punto di vista di Bernard e la sua mente è danneggiata, frammentata, passa continuamente da una memoria all’altra rendendogli difficile comprendere l’ordine temporale delle vicende. Noi siamo confusi tanto quanto lui e questa soluzione di farci immedesimare nel personaggio personalmente l’ho trovata brillante, seppur fonte di alcune problematiche.
Non è un segreto che Nolan e Joy si divertano come matti a confondere gli spettatori, sfidarli a capirci qualcosa in ciò che stanno guardando, ma forse qui si sono fatti scappare un po’ troppo la mano, rendendo le cose talvolta più complesse del necessario. La storia tende ad una frammentazione eccessiva e non riesce a scorrere naturalmente come dovrebbe, rendendo in alcuni punti la “sfida” più frustrante che divertente.
Tuttavia è stato fatto un gran lavoro in quanto ad espansione dell’universo della serie, preparando in modo giusto il terreno per ulteriori e imprevedibili sviluppi. Se la prima stagione era molto chiusa in sé stessa, focalizzandosi sull’obiettivo di trovare il centro di un labirinto, la seconda spinge verso l’esterno tramite la ricerca di una porta, rivelandoci l’esistenza di altri 2 parchi della Delos (ne sono previsti 6 in totale) e andando ad approfondire la compagnia stessa assieme ai suoi lati oscuri. Senza dirvi troppo, vi basti sapere che (in barba al GDPR) la Delos raccoglieva in gran segreto una moltitudine di dati sui visitatori, e no, non per scopi pubblicitari.
La questione dei nuovi parchi incuriosisce molto e anche durante tutta la campagna marketing precedente alla premiere si è fatto molto leva sul misterioso Shogun World, parco dedicato al Giappone feudale di cui si era già intravisto qualcosa nel finale della scorsa stagione. Peccato che alla fine l’unico episodio in cui viene mostrato non sia neanche tra i migliori, sebbene riservi qualche significato non trascurabile. L’altro invece viene appena accennato e ha giusto la funzione di introdurci un nuovo ed importante personaggio.
Anche in questa stagione 2 Westworld ci propone tematiche interessantissime, che danno un bel po’ da riflettere. In buona parte vengono riprese e approfondite ancora meglio alcune di quelle già esposte precedentemente, come le domande su cosa è considerabile reale o meno, e la linea sottile che divide una sofisticatissima intelligenza artificiale dall’essere umano vero e proprio. In fondo anche noi siamo spesso intrappolati in loop quotidiani e viviamo secondo un nostro codice, una nostra “programmazione” interiore. “Un uomo è solo un piccolo algoritmo” dice uno dei personaggi.
Ma è anche vero che esiste il libero arbitrio, ed è quello che gli host imparano ad esercitare nella stagione, diventando sempre più umani. Lo dimostrano ad esempio i sentimenti materni di Maeve, che rifiuta la fuga verso la libertà programmata per lei da Ford pur di riconciliarsi con sua “figlia”. E qui subentra anche il modo in cui gli host concepiscono il concetto di famiglia e dei legami sentimentali, non troppo dissimile dal nostro. Altro tema fondamentale è quello della mortalità, l’unica caratteristica che divide nettamente gli host dagli esseri umani.
Altra cosa che ho adorato è come sono stati approfonditi e fatti evolvere alcuni personaggi. Dolores è stata leggermente appiattita in molti episodi, ma non a caso: partendo da nobili obiettivi di libertà per la sua “specie”, alla fine ne viene accecata facendo prevalere più il “lato Wyatt” della sua personalità e dunque diventando una spietata macchina di morte. Il suo percorso però non è banale: è stufa di “giocare a cowboy e indiani”, vuole la libertà assoluta e per raggiungerla è disposta a tutto. Un modo di ragionare freddo (quasi da Terminator), molto meno umano di quello che dimostrano altri host nella loro ricerca della libertà, Maeve compresa.
E poi c’è William, un personaggio super negativo che però è impossibile non amare, grazie soprattutto alla fantastica interpretazione di Ed Harris. Sono particolarmente incentrati su di lui due dei migliori episodi della stagione, ovvero L’enigma della sfinge e Punto di fuga, che vanno ad esplorare altri aspetti del suo passato, quello nel mondo reale, confermandolo come uno dei personaggi più interessanti e meglio caratterizzati della serie. Il finale di stagione ci lascia un enorme interrogativo sulla sua figura: ne vedremo delle belle.
Ma un personaggio a cui vi affezionerete particolarmente in questa stagione 2, grazie ad un solo e stupendo episodio intitolato Kiksuya (che in italiano diventa “Ricordare”) è l’indiano Akecheta, capo della Ghost Nation. A sorpresa, si rivelerà una figura chiave di entrambe queste prime stagioni di Westworld.
Completano il quadro una regia complessivamente ottima, che raggiunge dei livelli eccezionali in alcuni episodi, e una fotografia che a sua volta ci regala delle immagini bellissime. Nonostante si tratti di un prodotto per il piccolo schermo, spesso ha uno stile molto cinematografico. E poi penso sia scontato ribadirlo, la colonna sonora di Ramin Djawadi è superlativa.
Questa seconda stagione di Westworld ha portato profondi cambiamenti nella serie, aprendo un’infinità di nuove strade tutte da scoprire. Non vedo l’ora di vedere cosa s’inventeranno gli autori per portare avanti la storia e come continueranno a rendere lo show intrigante per gli spettatori con nuovi “rompicapi” ai quali pensare per settimane. Bisogna solo sperare che non forzino troppo la mano, perché ormai basta un passo falso per rovinare tutto.
Un ultimo appunto: l’episodio finale della stagione ha una scena dopo i titoli di coda, non perdetela!
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