L’accostamento tra puzzle-game in prima persona e fantascienza è tra i migliori che si possano desiderare nel campo dei videogiochi, sprigiona un fascino naturale a cui gli appassionati dei rompicapi non possono rimanere indifferenti. Purtroppo però parliamo di una nicchia, in cui i titoli davvero validi si contano quasi sulla punta delle dita, anche perché per degli sviluppatori non dev’essere semplice elaborare ed amalgamare assieme sia una narrativa interessante che dei puzzle capaci di soddisfare chi mastica il genere, e spesso il gioco non vale la candela.
Per fortuna esiste il panorama indie che se ne frega e fa un po’ quel che gli aggrada: senza di esso probabilmente negli ultimi anni non avremmo avuto puzzle-game magnifici come The Talos Principle. The Spectrum Retreat, primo gioco ad opera di Dan Smith e il suo studio, non raggiunge livelli così alti, ma rimane un titolo che non può mancare nella collezione dei fan del genere, soprattutto considerando il prezzo ridicolo a cui è venduto.
Ci risvegliamo nella camera di un albergo deserto, in cui oltre a noi ci sono soltanto degli impiegati robotici. Poi riceviamo una chiamata su dispositivo che in realtà non dovremmo possedere, dal quale una ragazza ci avverte che non siamo al sicuro e dice di volerci aiutarci a fuggire. Da qui la verità su chi siamo e cosa ci facciamo in questo luogo inizierà lentamente a rivelarsi.
Sebbene io sia stato estremamente sintetico per evitare qualsiasi tipo di spoiler, molti di voi avranno già intuito la natura di questo strano hotel in stile Art Dèco, cosa che risulta palese anche dai primi minuti di gioco. Il punto della storia però non sta nello scoprire questo, ma la tragica verità che si nasconde dietro al protagonista, sepolta all’interno della sua stessa memoria. La trama si dipana attraverso la voce della nostra interlocutrice e per mezzo di oggetti sparsi negli scenari, presentando senza far troppo rumore anche dei colpi di scena piuttosto forti. Il finale ci metterà davanti ad una duplice scelta da compiere, ma il risultato in entrambi casi avrà un sapore amaro e non ci farà scordare troppo facilmente il gioco.
Vi segnalo, comunque, che l’audio è solo in inglese, ma i sottotitoli in italiano sono realizzati molto bene.
La componente narrativa si presta in maniera ottimale al servizio del gameplay, motivando in maniera convincente il giocatore a risolvere tutti gli enigmi per scoprire come andrà a finire la storia e dando un senso alla loro presenza.
Le meccaniche alla base dei puzzle sono molto semplici, ma con il progredire dell’avventura evolvono introducendo nuove possibilità e complicandosi sempre di più. Tutto ruota attorno all’utilizzo di colori che costituiscono le chiavi d’accesso per attraversare delle barriere. Il dispositivo tondo che abbiamo con noi (quello su cui riceviamo le chiamate dall’esterno) può acquisire questi colori da cubi luminescenti disposti nello scenario.
Nel gioco si passa progressivamente da 2 colori disponibili a 4 (se contiamo anche il bianco) e ad un certo punto avremo a che fare anche con teletrasporti e disorientanti capovolgimenti della visuale. I rompicapi sono brillanti e mi sono stupito di come tutto riesca a rimanere molto intuitivo fino alla fine. I più pratici del genere non incontreranno mai difficoltà insormontabili, nonostante una parte finale più impegnativa (e a tratti un po’ tediosa), ma trarranno comunque una bella soddisfazione dai puzzle, mentre i giocatori inesperti potrebbero rimanere bloccati per molto tempo in alcuni punti.
Purtroppo, sebbene il level design sia complessivamente di ottima qualità, ci saranno situazioni in cui un solo passo falso ci costringerà a dover riavviare il singolo livello e ricominciare un puzzle da capo, cosa che comunque è possibile fare in qualsiasi momento vogliamo, anche quando abbiamo bisogno semplicemente di un “reset” per schiarirci meglio le idee. La struttura del gameplay inoltre potrebbe risultare un po’ ripetitiva, ma è contestualizzata quanto basta per non far pesare la cosa al giocatore.
La grafica è piuttosto anonima, né meravigliosa né orrenda. È tutto molto piatto, scarno di dettagli, ma ancora una volta il contesto giustifica quest’aspetto in maniera sufficiente. Il classico caso in cui lo sviluppatore unisce in maniera scaltra l’utile al dilettevole. Il frame-rate è costante e incontrare bug è raro, sebbene qualcuno ce ne sia: in un’occasione ad esempio mi è capitato di cadere fuori dalla mappa.
Anche sotto il profilo artistico il titolo non è strabiliante, ma l’atmosfera funziona, il design in generale è efficace e la colonna sonora è molto piacevole.
The Spectrum Retreat è un ottimo puzzle-game, che unisce in maniera equilibrata come pochi una componente narrativa a dei rompicapi intelligenti e impegnativi. Senza alcun dubbio must-buy nel suo genere.
Special thanks to Plan of Attack
Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.