BoJack Horseman si riconferma una delle serie tv più brillanti degli ultimi anni e, probabilmente, il miglior Netflix Original: in grado di unire un’esilarante satira nei confronti di Hollywoo(d) con una sempre maggiore introspezione nei confronti di tutti i personaggi, questa quinta stagione riesce a stare al passo con le precedenti e a superarle per la complessità di alcuni temi trattati.
Ma ricordiamo velocemente come avevamo lasciato BoJack e gli altri nel finale della quarta stagione: Bojack scopre che Hollyhock non è sua figlia, bensì la sorellastra frutto della relazione extraconiugale tra il padre e la domestica. Nel frattempo, Princess Carolyn offre a Bojack un ruolo in una nuova serie tv (firmando il contratto senza il suo consenso) e la relazione tra Diane e Mr. Peanutbutter è ormai al capolinea. Diversamente dalle altre volte però il finale non è amaro, con una Hollyhock che pur non avendo trovato il suo padre biologico e aver scoperto di non averne realmente bisogno – ne ha già 8 adottivi – può comunque contare sull’affetto di un fratello. Ce la farà BoJack a non rovinare tutto, ora che ha di nuovo qualcosa da perdere?
Il bello di BoJack Horseman è sicuramente la sua capacità di caratterizzare bene tutti i personaggi, non solo il protagonista, che non è un’impresa da poco considerando che parliamo di una serie animata con episodi da 20 minuti ciascuno.
Mr. Peanutbutter inizia a chiedersi perché nella vita commette spesso gli stessi errori; l’episodio di Halloween è a mio parere il più divertente della stagione e un esempio del suo passaggio da sola spalla comica a personaggio tridimensionale.
Princess Carolyn ci sorprende sempre con i flashback sul suo passato, che fanno apprezzare ancora di più la persona che è: la sua difficoltà nel conciliare il desiderio di essere madre con la carriera è una questione che riguarda la maggior parte delle donne oggi, e le spettatrici non potranno che simpatizzare particolarmente per lei.
Todd finalmente ha una storyline tutta sua: non abita più a casa di BoJack e soprattutto gli autori trattano con una sorprendente delicatezza il tema della sua asessualità, senza né ridicolizzarla né considerarla un argomento taboo; il sex robot che costruisce per la sua amica – non chiedete, guardate prima la stagione – è una delle cose più assurde che abbia visto in televisione.
Infine Diane, dopo un breve viaggio alla scoperta delle sue radici vietnamite, torna ad essere la voce della ragione della serie.
Torniamo indietro per un momento all’episodio 11 della prima stagione, quello che a mio parere sancisce definitivamente il percorso che vuole prendere la serie: BoJack dice a Diane “So che posso essere egoista e narcisista e autodistruttivo, ma oltre a tutto questo, nel profondo, sono una brava persona e ho bisogno che tu me lo dica, Diane… dimmi che sono una brava persona”. E nell’episodio successivo Diane risponde che lei non crede nel “profondo”, ma che un uomo sia il risultato delle sue azioni.
In questa quinta stagione non posso dirvi se BoJack riprenderà il suo percorso autodistruttivo o meno – non voglio anticiparvi nulla – ma quel che è certo è che gli autori compiono un passo oserei dire molto coraggioso: BoJack è un antieroe, così come tanti altri protagonisti amati dal pubblico (il primo che mi viene in mente è Walter White), che nonostante le loro azioni deprecabili, sono scritti apposta per essere “capiti”. Gli autori vogliono proprio farci riflettere sul tipo di rapporto che abbiamo con questi personaggi: BoJack Horseman non è stato scritto con l’intento di essere amato, né di essere di conforto alle persone che decidono di comportarsi in maniera orribile nella vita di tutti i giorni.
Ad un certo punto non importa più se BoJack è divertente o se ha avuto un’infanzia traumatica, non importa se pensa di essere “solo un pezzo di merda” o se cerca disperatamente di essere una brava persona nel profondo, sono solo le sue azioni presenti e future che contano. Utilizzando come espediente “Philbert“, la serie tv di cui è protagonista BoJack, gli autori fanno in un certo senso autocritica verso lo show stesso.
Anche in questa stagione ci sono vari cameo di star internazionali e al doppiaggio originale troviamo sempre i bravissimi Aaron Paul, Alison Brie e in particolare Will Arnett nei panni di BoJack, che nel sesto episodio vi lascerà a bocca aperta (Fabrizio Pucci in italiano regge molto bene il confronto) con un monologo di ben 17 minuti. L’unico consiglio che posso darvi è di non guardare BoJack Horseman tutta in un giorno: nonostante le puntate siano brevi, sono emotivamente coinvolgenti e a volte distruttive, pertanto una pausa tra un episodio e l’altro vi farà apprezzare ancora di più questo gioiello di Netflix.
Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.