A Vincent Van Gogh sono stati dedicati molti omaggi nel mondo televisivo e cinematografico (indimenticabile la puntata di Doctor Who al Museo d’Orsay), ma niente è paragonabile a questo film visionario.
Nella pellicola seguiamo gli ultimi anni di vita del pittore, dal suo trasferimento ad Arles, passando per l’amicizia tormentata con il collega Paul Gauguin e il rapporto con il fratello Theo, fino alla tragica morte. Non c’è molto altro da aggiungere alla descrizione di una trama latente, dove gli eventi scorrono lenti e sono quasi un contorno alla vera essenza del film: l’estetica.
È molto difficile parlare di questo argomento così complesso e io da profana non voglio addentrarmi in una selva oscura, ma è innegabile che ciò che colpisce di più in assoluto di questo film è l’immagine, intesa nel senso più puro del termine. Ogni scena è studiata nei minimi dettagli come se fosse una vera e propria opera d’arte. La regia di Julian Schnabel, anch’egli pittore espressionista oltre che regista e sceneggiatore, fa sì che la vera essenza della filosofia e del dramma di Vincent siano evidenti anche ad un pubblico poco ferrato sulle questioni artistiche.
I primissimi piani, gli zoom sui dettagli, le sovraesposizioni, ci danno un’idea di ciò che Van Gogh vedeva e come lo vedeva. A causa di una patologia chiamata xantopsia egli guardava davvero il mondo con un alone giallo, e il regista del film lo ha introdotto in alcune riprese, dandoci l’illusione di guardare il mondo come lo vedeva il pittore. L’uso della telecamera a braccio e le riprese tremolanti di alcune scene concitate hanno suscitato in me un notevole fastidio, tanto da farmi distogliere lo sguardo per evitare di stare male. Questa forse è l’unica pecca che posso trovare in questo film dall’incredibile gusto estetico.
Un contributo notevole alla bellezza del lungometraggio è dato dall’interpretazione di Willem Dafoe, che con la sua bravura riesce ad incarnare ed esprimere tutto il dramma del pittore olandese. La sua malattia mentale, fonte di accesi dibattiti nella comunità psichiatrica, è ciò probabilmente lo rende più umano e fallibile agli occhi del pubblico. L’attore con la sua incredibile mimica facciale riesce a regalare delle emozioni profonde, a commuovere, arrivando dritto al cuore di ogni spettatore per fargli vivere il tormento interiore dell’artista.
La gamma dei colori usata per le singole scene si accorda perfettamente con la trama, dandoci quasi l’impressione di osservare un quadro animato, ma la tonalità prevalente, nonché la preferita di Van Gogh, è il giallo. Lui usava molto nei suoi quadri questo color giallo cromo, all’epoca fabbricato con il piombo al suo interno e di fatto altamente nocivo. Si dice che Vincent ne fosse ossessionato, tanto da spalmarselo sulle mani e dipingere con esse, o addirittura ingerirlo; secondo alcuni studiosi ciò avrebbe potuto portare ai disturbi psichiatrici di cui soffriva, ma non vi è una conferma scientifica.
Nel film è ben rappresentato anche il rapporto che aveva con il collega Gauguin, da Van Gogh considerato uno dei migliori artisti della sua epoca. I due sono ottimi amici poiché condividono le stesse idee anticonformiste che li hanno portati lontano da Parigi e la sua rigida scuola, però hanno modi molto diversi di esprimere queste idee sulla tela. Gauguin è più relativista, per lui non importa dove o cosa si dipinga, basta che provenga dall’animo dell’artista. Van Gogh invece è molto legato alla natura, si sente perso se non ha un soggetto fisico da rappresentare, ma attraverso i suoi quadri lui celebra questa bellezza divina, creata dal Signore.
Prima di diventare un pittore, Vincent aveva studiato teologia per seguire le orme del padre e diventare un pastore, per questo nella sua filosofia artistica è molto presente questo aspetto. Si sente in dovere di rendere omaggio a tanta bellezza, quando dipinge è travolto da una sorta di estasi mistica che lo porta a trascendere lo spaziotempo. Le scene ambientate nelle campagne di Arles, dove ha vissuto e prodotto più quadri, ci vengono presentate crude, a volte anche senza musica, per lasciare che l’estasi di Van Gogh arrivi fino a noi.
La bellezza di questo film viene recepita nel suo essere un prodotto artistico: non solo cinematografico, ma anche visivo e sensoriale. La vista è il più importante senso con cui ci rapportiamo al mondo e il regista ha giocato proprio su questo, regalandoci un film che è un’estasi per le nostre pupille, ma che allo stesso tempo arriva al cuore come uno stiletto, facendoci conoscere più da vicino Vincent Van Gogh, il primo vero pittore espressionista della storia.
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