Un treno a vapore attraversa lo sterminato continente americano lasciando una scia densa e nera ad aleggiare sopra i binari, cavalli selvaggi galoppano al passaggio del convoglio, una vecchia signora imbronciata e un baffuto cowboy dallo sguardo torvo sono seduti al fianco di William Pontry, detto “Pon-Pon”, il giornalista di Frisco che ci racconta questa storia assurda, maledetta, ai limiti del reale. Scendiamo dall’affollata e afosa carrozza e ci ritroviamo nel bel mezzo del set di un film di Sergio Leone; sì, perché La notte del corvo è uno spaghetti-western a tutti gli effetti, a partire dal fatto che a scriverlo e a illustrarlo è un italiano: Marco Galli/Apehands.
“Apehands, tutto attaccato: mani di scimmia. Con questo ‘nom de plume’ ho ricominciato a disegnare, era l’aprile del 2017.”
Lasciamo per un istante le polverose strade del Vecchio West, perché sono due in realtà le storie che quest’opera porta con sé: la prima è la storia degli orrori de La Bajada – città di frontiera cui torneremo a brevissimo –; la seconda è una storia di perseveranza e di riabilitazione. La notte del corvo infatti è la prima opera pubblicata da Marco Galli dopo una malattia invalidante che gli ha fortemente compromesso il sistema nervoso e quindi il controllo delle mani. Ma l’autore non si è dato per vinto, anzi, ha utilizzato questa invalidità temporanea per creare qualcosa che prima non sarebbe stato in grado di creare: un disegno naïf, primitivo, anarchico, libero. E la firma non poteva essere la stessa usata per le sue opere prima della malattia.
Come lo stesso Galli afferma, “ho fatto un fumetto ‘Apehands’. Mio e non mio. Mio e della mia mano destra anarchica. Un unicum irripetibile: non disegnerò mai più così liberamente”. E così quasi ogni tavola è marchiata “Apehands” in maniera estremamente visibile, a tratti ingombrante, come a sottolineare lo sforzo fisico e mentale fatto per ottenere questa prima e unica versione de La notte del corvo. Il risultato è folgorante, e lo è ancor di più se si pensa che non ci sono state matite preparatorie né storyboard. Insomma, buona la prima! Interessante è cogliere l’evoluzione del segno – che va di pari passo con la riabilitazione – nelle 176 pagine che scorrono sotto l’occhio del lettore: dalle prime appena scarabocchiate, a quelle finali con ombre acquarellate e sfumate che riescono a connotare l’umore dei personaggi.
Ma torniamo alla nostra ballata di frontiera e a Pon-Pon, che abbiamo lasciato smarrito e guardingo alla stazione di La Bajada.
Il giornalista si ritroverà suo malgrado coinvolto in una faccenda molto più grande di lui: una nave piena di schiavi è rimasta incagliata in una baia lì vicino e pare che il suo carico di peones si sia riversato sulle montagne dell’entroterra. Lo sceriffo Nada vede questa come un’ottima occasione per ribadire il proprio ruolo di “protettore della gente onesta”, soprattutto in vista delle elezioni del nuovo sindaco, cui egli stesso concorre. Le spedizioni di ricerca sono però un fiasco totale, e quando lo Stato invia i rinforzi dell’esercito, Nada cerca in ogni modo di mettergli i bastoni tra le ruote perché, come in ogni western che si rispetti, la giustizia non è una questione di Stato, ma una questione d’onore! Nel frattempo la gente de La Bajada comincia a manifestare i primi sintomi di isteria collettiva, che sfocia in brutale e ottusa violenza nei confronti di Seneca, un ex-schiavo finito per errore sulla traiettoria della folla impaurita (ci ricorda il narratore, in maniera molto attuale: “Nonostante la strigliata dello sceriffo, le persone pavide trovano spesso il coraggio nell’idiozia collettiva! Così la ronda degli incappucciati diventa realtà”).
Ma la paura spinge lo sceriffo a chiedere aiuto a un personaggio decisamente poco rassicurante: uno spietato pistolero che si fa chiamare El Grajo per via dell’inquietante maschera da corvo che non è mai stato visto togliersi di dosso. È così che Pon-Pon, in quanto giornalista, si ritrova invischiato in questa pericolosa situazione, e parte con El Grajo alla ricerca dei famigerati fuggitivi, con la stessa verve con cui lo sfortunato Sancho Panza segue il folle Don Quijote. Ed è qui che il demone-corvo dà il peggio di sé, incarnando quella violenza tanto temuta quanto invocata dagli spaventati abitanti de la Bajada. Il momento più crudo e violento dell’opera viene presentato attraverso prospettive assurde, distorte, così irreali da rendere la tragedia grottescamente comica, come in un film di Tarantino.
Oltre che dal punto di vista grafico, visivo e della sceneggiatura – decisamente cinematografica, con sequenze che rimandano ai generi più diversi, dall’horror delle scene più cruente alle vecchie comiche inglesi con la loro ripetitività e serialità – l’opera edita dalla Coconino Press è appagante e curata anche dal punto di vista puramente materiale. Un volume 19,5 x 26 cm ben rilegato, in cui perfino la scelta della carta veicola significato: una carta spessa e avoriata perfetta per il segno scarno di Galli e capace di richiamare quella luce arida e accecante che faceva stringere gli occhi a Clint Eastwood!
La notte del corvo è un’opera viva, innanzitutto perché attuale, capace di portare alla luce temi tremendamente contemporanei quali la paura del diverso e la mitizzazione della violenza; è poi viva perché brulicante di echi letterari e culturali, dal già citato Don Quijote a Dracula, da tutta la filmografia western ai Beatles dell’allucinata animazione di Yellow Submarine.
Insomma, una vera e propria “ballata anarchica“, nella realizzazione, nei rimandi e nei riferimenti culturali, nella morale grigia del Vecchio West.
Un ringraziamento speciale a Coconino Press
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