Diretto da David Yarovesky e prodotto dal ben più famoso James Gunn (regista di Guardiani della Galassia), Brightburn è un film horror supereroistico approdato nelle sale italiane il 23 maggio.
Ricordo molto chiaramente la prima volta che sono entrato a contatto con il film: il trailer mi aveva catturato grazie ad un montaggio serratissimo e la musica incalzante, ma più di tutto mi aveva colpito l’accostamento di due generi apparentemente molto diversi tra loro e le premesse sembravano decisamente ambiziose. Si sentiva davvero il bisogno di un nuovo step evolutivo per gli horror che, negli ultimi anni, si sono sempre di più affossati in un pantano qualitativo medio-basso, con pochissime novità e scarsa fantasia.
Brightburn aveva in sé il potenziale per riportare l’horror in auge al grande pubblico, accostandolo al ben più apprezzato e di successo genere supereroistico.
Un film di origini come se ne vedono tanti, ma questa volta su un essere straordinario arrivato sulla Terra non come salvatore, ma come distruttore e portatore di morte. Due contadini del Kansas, senza figli, adottano un bambino caduto dal cielo a bordo di un’astronave. Vi ricorda qualcosa? Beh, l’occhiolino che si fa verso la storia, praticamente analoga, di Superman è evidente ma con una differenza sostanziale: l’alieno sarà intrinsecamente portato ad usare i suoi poteri con scopi malvagi ed egoistici.
C’erano tutti i presupposti per riuscire a decostruire allo stesso tempo sia la storia dell’iconico Superman, che è per antonomasia l’ottativo dell’eroe, sia il genere di cui si fa capostipite. Tutte queste promesse purtroppo sono state mantenute solo in parte, lasciando molta amarezza a chi, come me, aveva creduto davvero tanto in questo film. Un potenziale immenso sprecato probabilmente sia a causa del basso budget a disposizione (solo 6 milioni di dollari), sia forse per un regista e degli sceneggiatori non all’altezza.
Se la prima metà di Brightburn costruisce sapientemente molto phatos e tensione, riuscendo perfettamente nel gioco registico tipico dell’horror dove lo spettatore sa benissimo quello che sta per accadere mentre i personaggi del film no, la seconda metà, dopo che Brandon (è così che si chiama il piccolo anti-Superman) scopre i suoi poteri diviene improvvisamente piatta e scontata. I colpi di scena sono troppo telefonati, l’ansia diventa inesistente e proprio in questi frangenti il budget del film si fa sentire per via di una post-produzione poco curata ed effetti speciali davvero deludenti.
Manca fondamentalmente un approfondimento psicologico dei personaggi, soprattutto quello del protagonista che finisce per comportarsi in maniera cattiva semplicemente perché sì, senza una motivazione specifica o un suo risentimento verso qualcosa o qualcuno. Allo stesso modo i personaggi di contorno, anche gli stessi genitori, sono solamente delle maschere prive di carattere. Nota interessante, invece, è il rapporto tra Brandon e sua madre che, pur comprendendo la natura malefica del figlio adottivo, non può fare a meno di amarlo; anche questo aspetto viene poi a mancare nella parte finale, che ribalta questa relazione vanificandola.
Una colonna sonora non troppo ispirata, con un occhiolino alla musica mainstream del momento (vedi Bad Guy di Billie Eilish nei titoli di coda), si limita a svolgere il suo compito senza brillare particolarmente.
Un pizzico di splatter non fa mai male, soprattutto in un film come questo, ma purtroppo le poche scene esageratamente spinte in tal senso sono state censurate senza un reale motivo nella versione arrivata nelle sale (forse per mantenere il divieto sotto i 14 anni), eliminando circa due succosi minuti dal totale della pellicola che, pur non togliendo nulla alla storia in sé, avrebbero senza dubbio aggiunto un altro valore al film. La paura, se non in alcuni brevissimi momenti della prima parte, è praticamente assente e viene affidata per tutto il film a jumpscare nemmeno troppo riusciti, molto scontati per i più avvezzi al genere.
Il problema del film è uno solo e potrebbe essere sintetizzato con “chi troppo vuole nulla stringe”. Pur avendo una fantastica idea di partenza, con ottimi spunti riflessivi e metacinematografici, il voler fare troppo con di fatto troppo poco ha penalizzato molto questa pellicola che, se si fosse mantenuta su più modeste intenzioni, avrebbe senza dubbio riscosso un maggiore successo di critica e botteghino. Il tentativo di unire l’horror ai supereroi è molto intelligente ma si sarebbe potuta sviluppare meglio. A causa del budget sarebbe stato preferibile puntare a un ridimensionamento dei toni generali, magari incentrandosi più su una paura “intima” e meno vistosamente esagerata, il motivo principale per cui nella seconda parte del film si avverte un calo della qualità.
Si sta già vociferando di un possibile sequel, che dovrebbe ampliare il mondo supereroistico alternativo che Brightburn ci ha proposto. Spero che questa esperienza abbia aiutato gli sceneggiatori a capire il reale potenziale di quello che hanno tra le mani e assimilare gli errori commessi, in modo che eventuali seguiti si rivelino all’altezza delle aspettative e riescano a coronare questo connubio mancato.
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