Rambo: Last Blood

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Quando nel 1990 uscì Rocky V, tutti pensarono che Sylvester Stallone avesse ormai chiuso col celebre pugile (poi fortunatamente così non è stato, ed è addirittura arrivato a sfiorare l’Oscar con Creed tre anni fa). Lo stesso accadde nel 2008, quando uscì il dignitosissimo John Rambo: erano già passati 20 anni dall’ultimo capitolo e tutti pensarono che Sly avesse realmente chiuso col reduce del Vietnam, ma anche in questo caso è andata diversamente.

È passata poco più di un’altra decade e in Rambo: Last Blood la storia riprende esattamente le fila dell’ultima scena intravista nel quarto capitolo: John si è ritirato in Arizona nel ranch di famiglia, insieme alla sua nipote adottiva adolescente Gabrielle (Yvette Monreal) e sua nonna Maria. Il perenne PTSD da reduce di guerra non smette di accompagnarlo, tanto da averlo spinto a costruire sotto terra un bunker fatto di cunicoli in cui dorme e passa parte della giornata, desiderando una sola cosa: la tranquillità.

Piccola nota: ora Rambo ha anche i capelli corti, quindi l’unica cosa che lo contraddistingue da Balboa è la capacità di Stallone di passare dall’espressione bonacciona del pugile suonato a quella del veterano perennemente incazzato… e sì, queste due gli riescono perfettamente, lo sappiamo.

rambo last blood stallone 1

Se con John Rambo e Rocky Balboa Sly si volle riaffidare, in maniera più matura, agli stessi elementi che avevano reso popolari le sue saghe, qui, senza ricorrere a comprimari protagonisti (come accaduto con Creed), decide di cambiare totalmente registro e dà vita ad un capitolo totalmente diverso dai precedenti. Ciò che ne esce fuori è un soggetto trito e ritrito, che Stallone tenta senza troppi sforzi di rendere più personale possibile, riuscendoci solo in minima parte: qualcuno fa del male ad una di quelle rarissime persone a cui Rambo tiene, questo qualcuno poi si permette anche di esagerare, e allora son ca**i.

Dopo essere passato per Washington, tornato in Vietnam, fatto una capatina in Afghanistan ed essere finito in Birmania, non poteva mancare (da vero Americano DOC) prendersela con un cartello messicano per chiudere col botto.

rambo last blood cartello messicano

Se si dovesse scegliere il titolo perfetto per questa pellicola, sarebbe uno a metà tra “Io vi Ramberò” e “Old Man Rambo“. Spero di aver reso l’idea.

Rambo: Last Blood è sostanzialmente diviso in tre atti: nel primo abbiamo la presentazione dei personaggi, dei loro stati d’animo, delle loro motivazioni, e anche gran parte dello sviluppo della storia (oltre ovviamente all’individuazione di quel paio di persone che moriranno male entro la fine del film). Il secondo ed il terzo atto sono invece una doppia sfida, una partita di andata ed una di ritorno, una gara fuori casa ed una gara in casa e, calcisticamente parlando, non è difficile immaginare come un vecchio e ferito Rambo possa aver preparato la partita di ritorno in casa.

I villain sono piuttosto stereotipati, ed anche qui nulla di nuovo sotto il sole, ma fortunatamente hanno il pregio di essere totalmente differenti dai loro predecessori e di risultare estremamente spregevoli sotto tutti i punti di vista, del tutto inconsapevoli di aver incrociato la loro strada con l’ultima persona alla quale pestare i piedi, caratteristiche che fanno senz’altro venire l’acquolina in bocca.

rambo last blood stallone 2

Il risultato è una pellicola atipica, dove troviamo una parte centrale con tempi non particolarmente ben gestiti, con i suoi momenti di profondità, i suoi momenti tremendamente drammatici e riflessivi, ma soprattutto con un Rambo che in pochissimi si sarebbero mai aspettati. La domanda sorge spontanea: e se magari fosse proprio questa, nella sua maturazione artistica da settantenne, la sensazione che aveva intenzione di trasmetterci Sylvester Stallone? In altre parole il solito amabilissimo Rambo (“frenato” per gran parte del film, per poi esplodere nella sua magnificenza nell’ultima parte) ma inserito in un contesto totalmente diverso, con dinamiche e sviluppi differenti da ciò che avevamo apprezzato negli ultimi 37 anni?

Alla luce di questa deduzione, si può affermare quindi che Sly abbia centrato il suo obiettivo?

Sì, ma con riserva. Rambo: Last Blood è tutto sommato un film senza troppe pretese. In particolare c’è quella di rivedere in azione per un’ultima volta (questa volta per davvero) il nostro veterano del Vietnam preferito, e sotto questo punto di vista forse abbiamo il capitolo più sanguinario e crudo dell’intera saga, oltre ad un ultimo vero assaggio di ciò che un uomo addestrato e tormentato possa arrivare a fare quando non ha più nulla da perdere.

rambo last blood ranch

Lontana anni luce dal primo capitolo ed inferiore anche al suo predecessore, quest’ultima avventura Rambesca chiude definitivamente un cerchio, un cerchio che poteva essere chiuso osando certamente di più, con un qualcosa di più articolato e con meno rischi di scadere in una trama in fin dei conti banale, ma non si può di certo dire che con Rambo: Last Blood il buon Sly non si sia impegnato, perlomeno a fornire un’ultima sfumatura caratteriale che probabilmente mancava ad uno dei personaggi più celebri della storia del cinema.

Se potessi averlo davanti lo abbraccerei e gli direi: “Non è andato esattamente tutto come previsto, Sly, ma con un velo di malinconia e ripensando ai fasti del passato, ti dico comunque grazie e mi terrò stretta anche questa tua ultima fatica. Ti voglio bene.”

Un ringraziamento speciale a Notorious Pictures

Il Tac non è un critico cinematografico o uno studioso di cinema, ma semplicemente un cinefilo, seriofilo e all'occorrenza fumettofilo, a cui piacere mettere il becco su tutto quello che gli capita sotto mano... o sotto zampa.

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