Maus di Art Spiegelman, la Shoah a fumetti per non dimenticare

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Non si dovrebbe aspettare il Giorno della Memoria per leggere Maus di Art Spiegelman, ma specialmente in questa data è doveroso recuperarlo dagli scaffali. Maus è anzitutto un capolavoro, è la Storia stessa fatta a fumetti e fino ad ora l’unica opera di questo genere a potersi fregiare di un Premio Pulitzer.

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Dalla metà degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80 il mondo dei fumetti venne invaso da grandi sceneggiatori come Alan Moore e Frank Miller, e ancora oggi le storie di quel periodo fanno da colonna portante per tutto il genere supereroistico; dall’altra parte invece crescevano generi più di nicchia e sommersi: quelli delle biografie e del fumetto indipendente. Art Spiegelman è considerato ancora oggi tra i massimi esponenti di quest’ultimi e Maus è la sua opera più famosa ed iconica: parla di guerra, di Shoah, di nazismo, di resistenza, ma soprattutto di famiglia.

Art decide di raccontarci la vita di suo padre Vladek a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Questi da prima è riluttante a raccontare, pensa che nessuno sia interessato alla sua vita, a sentire delle storie tristi, ma poi decide di aprirsi alla penna del figlio. Cominciano così le tante chiacchierate dove il padre ripercorre il tempo della guerra, dei campi di concentramento e di come è riuscito a sopravvivere in quegli anni dove la speranza pareva svanita.

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Lo stile dell’opera è subito riconoscibile nel fumetto indipendente anni ’70. Disegni e personaggi quasi abbozzati senza dettagli non utili alla storia, un bianco e nero violento, senza grigi o retini, come se volesse essere un’ulteriore distinzione tra nazisti ed ebrei, tra ignavi e perseguitati.

Il mondo di Maus non è popolato da persone, ma da animali antropomorfi, come se fossimo di fronte ad una nuova versione de La Fattoria degli Animali di George Orwell. Scelta coraggiosa che premia il realismo, perché le distinzioni del tempo erano tra chi stava in divisa e chi indossava una stella di Davide. Allo stesso modo Spiegelman disegna gli ebrei come topi e i nazisti come dei gatti, mentre gli americani sono dei cani e i polacchi maiali. Questa rappresentazione dei protagonisti però non elimina la crudezza dall’opera. Vladek racconta in modo talmente vivido la sua esperienza che finiamo per immedesimarci in lui.

Maus è prima di tutto una biografia, quella di Vladek Spiegelman, che il figlio Art gli dedica per lasciare che continui a vivere anche dopo la sua morte, per sopravvivere così come era riuscito a fare alla guerra e ai campi; ma è anche un’autobiografia, quella dell’autore e del suo rapporto con un padre così severo, autoritario, tirchio e opprimente da essere il perfetto stereotipo dell’ebreo, quasi un’altra persona rispetto ai suoi racconti.

Vladek non è un uomo più forte di tanti altri, è determinato, ha tanta inventiva ed è molto fortunato. Sopravvive grazie alla sua resilienza, al suo riuscire sempre a trovare un modo per cavarsela nonostante tutto attorno a lui muoia.

Ovviamente la guerra e i campi di prigionia non sono una passeggiata: anche lui viene picchiato, affamato e torturato; in gioventù ha fatto tanti lavori e solo grazie a questo riesce a rendersi utile per sopravvivere. Campa di espedienti, qualsiasi cosa vede o trova la fa diventare utile per vivere un altro giorno e tutto questo si ripercuoterà per sempre sulla sua vita e sul rapporto con il figlio. Anche a distanza di anni continua ad essere parsimonioso con i fiammiferi, sempre accorto in tutto, non butta mai nulla e cerca quanto più possibile di essere meticoloso anche sulla sua salute.

Vladek mette pressione al figlio in ogni momento, come se volesse prepararlo alla stessa vita che ha dovuto affrontare lui, vuole che cresca forte e pieno di risorse, eppure Art questo non lo capisce subito: vede solo un padre opprimente e invadente e si chiede se sia giusto pubblicare la sua storia, far sapere a tutti le sofferenze dei suoi genitori, i battibecchi, le paure e le passioni, far entrare il pubblico e le sue domande scomode nella propria vita, tanto che passano svariati anni tra la pubblicazione dei due capitoli dell’opera.

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Art si chiede anche se il suo lavoro potrà davvero dare giustizia alle vittime della Shoah e alla vita vissuta dal padre; più il racconto va avanti e più si accorge che non è più la storia del suo genitore, ma la storia di ogni vittima del campo e ne sente il peso fino a sentirsi inadeguato.

La semplicità della narrazione di Spiegelman non lascia scampo a interpretazioni e alla fine riesce a regalarci un’opera iconica che rende giustizia non solo al padre, ma a tutte le vittime dei campi, ebrei e non, un libro di Storia a fumetti che colpisce come una fucilata e avvolge come un malinconico abbraccio.

Nerd ancora da prima di conoscerne il significato e sfogliavo i fumetti ancora prima di saper leggere. Cinema, fumetti, manga e libri sono il mio bisogno quotidiano.

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