Gianni Pacinotti si è affermato come uno dei più grandi fumettisti italiani di sempre, uno di quelli capaci di far parlare di “classico” quasi ancor prima che esca un suo fumetto. Piuttosto che “fumettista” io userei la parola “autore“, visto che parlare solo della sua attività nel mondo delle nuvole parlanti sarebbe piuttosto limitante.
In generale, parlare di Gipi non è facile e mette addosso anche una certa ansia da prestazione: a parlare di un talento come il suo ci si sente sempre inadeguati, come se non si fosse riusciti a dire tutto e se si avesse allo stesso tempo detto troppo per il puro gusto di straparlare.
La sua capacità di scavalcare il mezzo espressivo che sta utilizzando, fa in modo che l’essenza di molte delle sue opere avrebbe potuto esprimersi indifferentemente in un film, un libro, un cortometraggio, un dipinto, senza rischiare di snaturarsi, proprio perché ogni sua opera è intrisa e creata anche attraverso l’intervento e l’ispirazione di tante altre arti e mezzi espressivi.
Per intraprendere la lettura di Momenti straordinari con applausi finti (Coconino Press – 2019), bisogna andare oltre gli applausi suggeriti e allo stesso tempo sbeffeggiati dal titolo, oltre l’autoreferenzialità di cui spesso viene tacciato Gipi, e oltre il mezzo espressivo del fumetto. Una delle critiche più spesso mosse a Gipi è quella appunto di essere un artista “autoreferenziale”, di utilizzare il mezzo artistico per espiare le proprie colpe e parlare del proprio vissuto.
Un’opera d’arte, tuttavia, si considera autoreferenziale nel momento in cui è stata creata per parlare solo a se stessa e al suo autore, e non è in grado di comunicare al “mondo esterno”. Nonostante la maggior parte delle opere di Gipi sia caratterizzata da una fortissima componente autobiografica, queste riescono sempre a essere “universali“, a parlare della vita di ciascuno mettendo in scena quasi esclusivamente la vita dell’autore, tanto che spesso ci si sente quasi in colpa ad assistere come impotenti e voyeuristici spettatori alle vite dei protagonisti.
In realtà Gipi riesce sempre ad andare oltre, ed è proprio questo ciò che suggerisce dicendo “parlo di me, ma non voglio che voi parliate di me”. La sua volontà è quella di farsi tramite anche delle storie degli altri. Il fatto che tutti i personaggi abbiano i suoi lineamenti non rende “Momenti straordinari” — né nessuno dei suoi lavori — autoreferenziale, perché in realtà è capace di parlare a tutti: non importa chi stia leggendo, il volto nella pagina-specchio non sarà mai quello di Gipi, ma sempre quello del lettore.
Scrivere della trama di “Momenti straordinari” non è facile, anzi, potrebbe anche rivelarsi controproducente. Tre linee narrative e altrettanti piani temporali si intrecciano per creare un unico universo del racconto: un gruppo di cosmonauti alla scoperta di universi sconosciuti; un uomo delle caverne alle prese con i drammi della quotidianità; un uomo al capezzale della propria madre in fin di vita.
L’attore comico Silvano Landi si ritrova ad assistere impotente agli ultimi giorni di vita della madre malata e a fare i conti con le situazioni irrisolte della sua vita, con le proprie paure e insicurezze, finché non incontra un bambino luminoso che riuscirà a portare un po’ di luce e di autoironia nella sua vita, fatta di risate del pubblico, riflettori e applausi finti.
Quella del bambino è un’immagine ricorrente e risolutiva nelle opere di Gipi, portatrice di una visione giocosa del mondo, in grado di far cambiare prospettiva e punto di vista a chi lo incontra. Il bambino non risolve i problemi, piuttosto li tira fuori, con il suo insistente “gioco dei perché” e la sua infantile curiosità, ma fa sì che l’adulto si trovi faccia a faccia con ciò che non vuole affrontare e si ritrovi, volente o nolente, a dovervi fare i conti.
Il motivo dell’acqua fa da collegamento ai vari piani spazio-temporali: sono quasi sempre immagini dell’elemento tradizionalmente portatore di vita a traghettare il lettore da una scena all’altra e proprio questi passaggi sono spesso “acquarellati” anche nei colori.
Nel frattempo, un gruppo di cosmonauti si muove in un universo completamente in bianco e nero, inchiostrato con un sottile pennino che disegna paesaggi lunari, solitari e impossibili da decifrare. Gli esploratori sono alla ricerca di qualcosa… ma che cosa? La memoria non sembra essere il loro forte e le scene si fanno man mano più surreali fino ad incrociarsi, nella seconda parte dell’opera, con la storia di un grido. Il grido, primordiale, tonante, viene da un uomo di tempi lontani che ha vissuto la stessa impotenza dinanzi alla vita provata da Silvano o dal capitano dei cosmonauti.
Motivo conduttore di Momenti straordinari rimane sì quello dell’inadeguatezza, del senso di impotenza dinanzi alla morte e alla vita, che a volte sembra travolgerci senza lasciarci possibilità di reazione, ma anche quello della ricerca, dell’impulso vitale che ci spinge a indagare sulle origini più che degli eventi, delle nostre reazioni ad essi.
Più si legge Gipi, più ci si rende conto che la sua grandezza sta nella capacità di essere umano e nel non aver paura di ammetterlo. Ma dire che le sue storie piacciono perché parlano di noi sarebbe un’affermazione riduttiva e troppo facile; Gipi non parla solo di quella “storia universale che poi è anche la storia di ognuno di noi”, non giustifica le sconfitte e non propone un’apologia del “non ce l’ho fatta” e del “sono umano anch’io”.
Gipi piace perché racconta storie e lo fa bene. Raccontare storie, ordinare il tempo e le idee è forse l’unica invenzione dell’uomo che non diventerà mai obsoleta. Inoltre, a prescindere dagli spunti riflessivi che offre, e che dipendono molto dall’occhio di chi legge, la morale dei suoi racconti non è mai nitida, il che lascia l’autore piuttosto dietro le quinte, confermando quanto le accuse di autoreferenzialità siano infondate.
Momenti straordinari con applausi finti soddisfa pienamente le altissime aspettative dei lettori, lasciandoli stupiti, meravigliati e in fondo anche un po’ “curati” grazie a questa pratica terapeutica che è la lettura.
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