Tutto ha avuto inizio nei confini di un singolo parco a tema, poi la nostra visuale si è allargata sempre di più, portandoci a scoprire gli altri parchi della Delos ed ora possiamo osservare il mondo reale in tutta la sua grandezza. La terza stagione di Westworld rappresenta un punto di svolta importante e difficile per la serie, dal momento che per forza di cose abbiamo a che fare con dinamiche completamente differenti da quelle viste finora e una riorganizzazione dei ruoli all’interno del nuovo contesto. Inoltre cambia l’approccio degli autori Jonathan Nolan e Lisa Joy, che dopo aver effettivamente calcato un po’ troppo la mano con i “rompicapi” nella scorsa stagione, perdendo l’interesse di una grossa fetta di pubblico, questa volta hanno optato per qualcosa di più lineare.
Come sappiamo, Dolores si è introdotta tra gli umani con intenzioni non esattamente pacifiche, portando con sé le perle di altri host tra cui la copia di Charlotte e Bernard. L’incontro con l’operaio edile Caleb (Aaron Paul) tuttavia la porterà a comprendere meglio alcuni aspetti del mondo e degli esseri umani che ignorava. In tutto ciò entriamo a conoscenza della Incite, una società ancora più inquietante della Delos, guidata dall’impassibile Serac (Vincent Cassel).
Ora più che mai la serie mette al centro il tema del libero arbitrio, ma lo fa spostando lo sguardo dagli host agli umani, chiedendosi quanto sia giusto barattare la privacy e la libertà di scelta delle persone in nome di una maggiore sicurezza per tutti, trattare il mondo come un software in cui correggere ogni anomalia che ne mini il funzionamento. Tornano in mente e assumono nuovo spessore le parole di Ford, che nella prima stagione diceva: “viviamo in cicli tanto stretti e tanto chiusi quanto quelli degli host, senza dubitare delle nostre scelte, contenti perlopiù di sentirci dire cosa fare dopo”.
I temi esplorati nei nuovi episodi di Westworld dunque sono interessanti e per certi aspetti, come la gestione dei dati personali, molto contemporanei, ma mancano della profondità che aveva caratterizzato le stagioni precedenti, inclusa la seconda. Non ritroviamo quei concetti affascinanti su cui continuare a rimuginare anche a visione conclusa, al contrario si avverte una certa tendenza a tirare in ballo argomenti cari al complottismo più becero che ho trovato avvilente.
Il peccato più grande commesso in questa stagione 3 è stato sicuramente quello di rendere una serie straordinaria come Westworld qualcosa di normale. C’è sempre più azione e meno dialoghi brillanti, sempre più Terminator e meno Asimov. Aver puntato così tanto sugli aspetti action non ha giovato nemmeno al livello tecnico generale, con alcuni scontri che arrivano ad essere imbarazzanti.
Mi chiedo poi che cosa sia preso a Jonathan Nolan e Lisa Joy, perché il loro stile emerge a malapena: la trama l’ho trovata fin troppo lineare per gli standard della serie e molti colpi di scena o mi hanno lasciato indifferente o mi sono piaciuti con moderazione, ma ci sarebbe anche una corposa lista di incongruenze e dettagli lanciati senza uno scopo preciso. Vi ricordo che Jonathan Nolan ha sceneggiato alcuni dei migliori film del fratello Christopher, tra cui Memento e Interstellar, mica roba da poco.
Manca persino una colonna sonora memorabile come quella delle scorse stagioni, fatta eccezione per una stupenda cover di Space Oddity.
Parliamoci chiaro: purtroppo la serie si ritrova a fare i conti con sé stessa e nello specifico con la sua prima stagione, che rimane ineguagliata, oltre che in generale con gli standard molto alti delle produzioni HBO, ma in ogni caso ci troviamo davanti ad un prodotto sopra la media per la televisione. Il lavoro fatto in termini di worldbuilding è ciò che mi ha affascinato di più, con la creazione di un mondo fantascientifico che non appare poi così assurdo, dal momento che molte delle tecnologie impiegate prendono spunto da quelle odierne. Complessivamente ottimi gli effetti visivi, ma si sa che HBO non bada al risparmio in tal senso, ne abbiamo avuto prova anche in His Dark Materials.
In quanto ai personaggi, tra le new entry ho apprezzato soprattutto Serac, mentre di Caleb mi ha sorpreso più che altro il ruolo di primo piano che gli è stato dato, ma di per sé non è nulla di eccezionale. Gestito in maniera molto deludente lo sviluppo di Dolores e Maeve, appiattite dal carattere action della stagione e incapaci di suscitare empatia nello spettatore. Sprecati Bernard e William, entrambi con uno screen time troppo ridotto e ruoli poco convincenti all’interno delle vicende, un peccato soprattutto nel caso di William perché, complice la fenomenale bravura di Ed Harris, le puntate in cui gli viene dato più spazio sono tra le migliori, ad esempio la sesta, “Decoherence“.
La seconda stagione di Westworld è stata molto criticata due anni fa, ma con tutti i suoi difetti era oro in confronto alla terza. Questa nuova stagione non si può definire brutta in senso generico, è solo che non ha nulla di speciale rispetto a tanti altri prodotti simili. La serie è stata privata della sua identità, di tutti quei momenti iconici e profondi che le permettevano di essere messa su un piedistallo, e tutto ciò che le è stato tolto non è stato rimpiazzato con qualcosa di altrettanto valido.
Nel finale (quello vero, fate scorrere i titoli di coda) però sembra esserci uno spiraglio di luce. Le premesse per la già confermata quarta stagione sono senza dubbio interessanti e da un lato voglio sperare che questa sia stata solo una fase di passaggio per arrivare a qualcosa di meglio. Bring yourself back online, Westworld.
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