A dieci anni dalla conclusione della fortunata saga letteraria di Hunger Games, il 19 maggio Suzanne Collins è tornata in libreria con il prequel Hunger Games – Ballata dell’usignolo e del serpente, di cui è stato immediatamente annunciato un adattamento per il cinema.
La vicenda è ambientata 64 anni prima delle avventure di Katniss e dei personaggi che abbiamo imparato ad amare, ma non ne è del tutto slegata: il protagonista della storia è Coriolanus Snow, il cinico e spietato presidente di Panem, che osserviamo nei difficili anni di un’adolescenza vissuta in un mondo post-bellico.
L’uscita di un prequel dopo tanti anni dalla conclusione della saga non lasciava ben sperare, soprattutto pensando ad annunci come quello di Stephenie Meyer riguardo un retelling di Twilight dal punto di vista di Edward Cullen, nonché l’attuale tendenza nel mondo del cinema e della letteratura di raccontare le storie dei “cattivi” mostrandone il lato umano e talvolta banalizzandoli, senza contare la parabola discendente in fatto di trama e stile che aveva caratterizzato gli ultimi due libri di Hunger Games.
In realtà Ballata dell’usignolo e del serpente si è rivelato sorprendentemente ben scritto, fatta eccezione solo per le prime pagine, nelle quali sembra che Collins abbia tentato di riprendere quello stile lirico che aveva caratterizzato gli ultimi due capitoli di Hunger Games, e che era evidentemente incapace di gestire, oltre ad alcune scene che potevano essere gestite meglio dal punto di vista delle motivazioni dei personaggi. La scrittura, finalmente priva di banali metafore, è vivida e scarna. La scelta di narrare i fatti al passato e in terza persona, dal punto di vista di Coriolanus, è un notevole miglioramento: il flusso di coscienza del protagonista si prende lo spazio che merita e la lettura è più scorrevole rispetto al resto della saga.
La scelta di raccontare la storia di un cattivo è gestita magistralmente da Collins, che riesce ancora una volta a farci apprezzare un protagonista antipatico: Coriolanus Snow è un personaggio piatto, nel senso che non subisce mutamenti significativi all’interno della storia, anzi, consolida le sue credenze e i suoi ideali, e per questo si dimostra coerente dall’inizio alla fine. Fortemente indottrinato sin dalla nascita a proposito della superiorità degli abitanti di Capitol City rispetto a quelli dei distretti, il suo personaggio offre una preziosa occasione per riflettere sulle tematiche della discriminazione e del colonialismo.
La narrazione non vuole giustificare le cattive azioni del futuro presidente agli occhi del lettore, né cercare di convincerlo che se le cose fossero andate diversamente nella giovinezza di Snow, questi non sarebbe diventato crudele: sin dall’inizio è spietato, calcolatore, e sfrutta senza batter ciglio chiunque possa dargli anche un minimo vantaggio. La vita gli offre numerosi spiragli per redimersi, ma lui sceglie sempre di continuare per la sua strada. Nonostante ciò, specie nelle conversazioni con i compagni di scuola, emerge da parte di Coriolanus e degli altri giovani protagonisti il disagio di ritrovarsi a vivere in un mondo plasmato dalle scelte della generazione precedente, ancora molto forte e influente, e la percezione che l’unico modo per sopravvivere sia adattarsi.
La sua controparte femminile è Lucy Gray che, come si evince dalla sinossi, verrà scelta come tributo per i decimi Hunger Games: compito di Coriolanus sarà quello di tenerla in vita fino alla fine per riottenere il prestigio perso dalla sua famiglia dopo la guerra. La caratterizzazione di Lucy è quella di una ragazza solare, forse un po’ eccentrica, ma assolutamente nella norma per quanto riguarda sogni e aspirazioni: fra lei e il suo mentore nascerà un interesse romantico per niente banale, ben costruito nelle tempistiche e sorprendente nel suo epilogo. I personaggi secondari sono piatti quanto Coriolanus Snow e meramente funzionali allo svolgimento della trama: degna di menzione è però la dottoressa Gaul, l’inquietante docente di biologia avanzata che fornirà al protagonista le basi per sviluppare la propria visione del mondo.
Per i lettori più affezionati, la parte relativa alla sopravvivenza nell’arena potrebbe rivelarsi deludente: gli Hunger Games, in questo libro, sono ancora allo stadio embrionale e ben lontani dalla spettacolarizzazione raggiunta negli anni in cui si svolgono le avventure di Katniss. Ma proprio questa edizione dei giochi sarà decisiva per costruire quelle future, ed è qui che entrerà in gioco il talento di Coriolanus Snow. Molto interessante è anche la spiegazione della filosofia che sta alla base degli Hunger Games: nella sua formulazione si nota una ricerca approfondita da parte di Collins, ed è un importante punto di forza del libro. Le scene di azione vengono sacrificate per mantenere il focus sulla psicologia dei personaggi.
La parte più problematica del libro è però la terza e ultima: nonostante la scrittura sia pensata per trasmettere al lettore il senso di monotonia e disperazione provato dai personaggi, l’obiettivo non viene raggiunto e la narrazione risulta lenta e noiosa. Un approfondimento delle relazioni che vengono a crearsi in questa fase del racconto avrebbe aiutato a creare l’atmosfera giusta per il finale, che paradossalmente appare troppo affrettato, eppure ci sarebbero stati tutti i presupposti per qualcosa di grandioso.
Nel complesso, Hunger Games – Ballata dell’usignolo e del serpente è un libro inaspettatamente ben riuscito: la scrittura di Suzanne Collins ha subito un notevole salto di qualità e la lettura risulta scorrevole e immersiva. I personaggi sono ben caratterizzati e approfonditi, anche se non subiscono mutazioni nel corso della narrazione, e le tematiche della violenza, dell’amore e del potere sono trattate in modo intelligente e affatto banale. Insomma, una lettura caldamente consigliata anche se non si è letta la trilogia originale e un piacevole (si fa per dire) ritorno a Panem per gli appassionati degli Hunger Games.
Che la fortuna possa essere sempre a vostro favore!
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