Ammetto una mia grande pecca: escluse rare eccezioni non ho mai letto o visto nulla di Rumiko Takahashi, anche se mi riprometto da sempre di recuperare almeno Inuyasha e Ranma. Il suo talento nel disegnare e le capacità narrative sono indiscutibili, o il suo soprannome non sarebbe la Regina dei Manga e non avrebbe vinto svariati premi e riconoscimenti nel corso della sua carriera. Tuttavia, dato che sono convinto che non bisogna obbligatoriamente leggere un libro per capire il film da cui è tratto o conoscere vita, morte e miracoli di un qualsiasi autore per usufruire delle sue opere, mi approccio al primo albo di questa storia in cerca di qualcosa che mi sorprenda.
MAO è molto probabilmente più godibile da persone come me che ne sanno poco o niente rispetto ai vecchi lettori, a meno che non siano accanitissimi fan; non perché la storia non sia coinvolgente, i disegni non siano belli o i concetti dietro stimolanti, ma basta aver sentito parlare anche solo una volta del succitato Inuyasha o aver visto un frame dell’anime o una tavola del manga, per vedere che a livello di character design e di contesti non sia cambiato poi molto.
Nanoka, studentessa quattordicenne (ricordatevelo, ci servirà dopo) da piccola ha subito un incidente d’auto nel quale sono morti i suoi genitori e anche lei, ma solo per un breve lasso di tempo; da allora vive con il nonno e una cameriera, e problemi di salute vari la portano a non essere la prima delle atlete o stare sempre in forma. Un giorno, in compagnia di alcune amiche, si imbatte nel luogo dell’incidente: dopo aver attraversato una galleria di negozietti chiusi, viene catapultata da sola in quello che sembra un altro mondo e tempo.
Neanche il tempo di ambientarsi e viene attaccata da un Bakemono (mostro mutaforma del folklore nipponico), ma un misterioso ragazzo e il suo piccolo assistente la traggono in salvo, sconfiggendolo. Le dicono che lei stessa non è umana ma un Ayakashi (altro tipo di Yōkai) e credendoli pazzi, Nanoka corre via e ritorna nel suo tempo. Tuttavia dal giorno successivo comincia ad avere capacità sovrumane e cambiamenti fisici non indifferenti, cosa che la spingerà alla ricerca di quei bizzarri individui. Quando riesce a trovarli, le viene spiegato che Mao, il giovane uomo che l’ha soccorsa, è un Onmyōji (guerriero che pratica l’ Onmyōdō, forma di magia e stregoneria giapponese antica) maledetto dal gatto demone Byōki, a cui dà la caccia.
Viste alcune caratteristiche simili con Nanoka, Mao conclude che anche lei sia stata maledetta dallo stesso spirito malvagio e che tutto questo abbia qualcosa a che fare con la morte dei suoi genitori e le sue attuali condizioni. In sintesi, per cercare di comprendere se stessa e questa strana situazione, si fa coinvolgere nella vita del mago, nonché dottore per mostri, e del suo piccolo e peculiare aiutante Otoya.
Lascio a voi conoscitori di questa mangaka e dei suoi lavori il compito di trovare le similitudini in quanto a trama e disegni tra quest’opera e le precedenti. Da neofita devo dire che sembra davvero divertente, con delle scene d’azione dinamiche e ricco di momenti tanto ilari quanto inquietanti; personalmente l’ambientazione e i personaggi di questo fumetto mi pungono particolarmente nel vivo, perché lingua, letteratura e folklore giapponese sono il mio campo di studi e quella di sceneggiatore è la mia qualifica. Proprio in merito a ciò, però, devo muovere la mia più grossa critica a questa edizione: l’adattamento italiano fa un po’ acqua da tutte le parti, poiché mette in bocca a ragazzine e altri personaggi nostri contemporanei espressioni molto astruse, che sembrano irreali e frutto di un adattamento probabilmente troppo letterale.
In generale bisognerebbe evitare di caratterizzare anche i personaggi di epoche passate con un lessico troppo forbito e distante, essendo questo principalmente un lavoro di intermediazione. Non è l’unica cosa che non funziona tra l’altro, poiché la trascrizione in romaji (dai caratteri giapponesi alle lettere latine) spesso manca di dettagli importanti che non solo fanno sbagliare la pronuncia, ma portano a un significato completamente diverso o a parole inesistenti (come la “ō” che manca sempre).
Infine, il lettering nelle note segnate dagli asterischi per le definizioni di parole giapponesi sono a volte messe a caso o in posti scomodi nella tavola, rendendo la lettura poco scorrevole. In altre parole, si poteva fare di meglio, magari affidando il lavoro a dei madrelingua o studiosi affiancati da dialoghisti, o a persone in grado di svolgere ambedue le cose; tutto ciò purtroppo mi porta a dover svalutare il prodotto, essendo questa l’unica edizione di cui molti possono fruire.
Ripeto, in generale e soprattutto agli appassionati, la storia e i disegni di MAO potranno sicuramente piacere ed emozionare, ma se potete leggere solo questa versione e ci tenete ad avere un’esperienza più completa ed immersiva, forse conviene aspettare l’anime.
Un ringraziamento speciale a Star Comics
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