Il Priorato dell’Albero delle Arance è il frutto dell’ultima fatica letteraria della giovane e talentuosa scrittrice britannica Samantha Shannon, classe 1991. Il romanzo, edito in Italia da Mondadori, arriva dopo la pubblicazione dei primi 3 volumi della saga La Stagione della Falce, e si aggiudica a pieno titolo l’etichetta di miglior romanzo fantasy dell’anno (anche se su Goodreads è solo al quarto posto nella sua categoria per quanto riguarda il 2019). I suoi punti di forza? Uno stile invidiabile, un’ambientazione ben costruita, un cast di personaggi complessi e credibili e la capacità di inserire e trattare con intelligenza questioni di attualità. Ma andiamo con ordine.
Il mondo in cui è ambientato Il Priorato dell’Albero delle Arance è ricalcato sul modello del nostro, con un Occidente che sembra immerso nel Rinascimento europeo, un Oriente chiaramente ispirato alle culture asiatiche e un Meridione molto vicino al Medioriente e all’Africa settentrionale appena usciti dalle Mille e Una Notte. Ovviamente, in questo universo è presente la magia (del fuoco e delle stelle), ma ci sono anche i draghi, splendide creature acquatiche trattate come divinità in Oriente, e i wyrm, crudeli sputafuoco comandati dal Senza Nome che trasmettono all’uomo il morbo rosso, o peste draconica. A causa dell’atteggiamento permissivo dell’Oriente nei confronti dei draghi, i suoi rapporti con il Reginato di Inys sono inesistenti da secoli, ma le cose stanno per cambiare in seguito al risveglio dei wyrm.
Il Priorato dell’Albero delle Arance è un tomo corposo, di circa 800 pagine, ma durante la lettura non se ne sente il peso: narrato in terza persona, con focalizzazione interna, è scritto con uno stile fresco e immediato, privo di fronzoli e travolgente. Il lettore viene catapultato nel pieno dell’azione, senza spiegazioni: dovrà adattarsi e continuare nella lettura, cercando di raccogliere più informazioni possibili per imparare ad orientarsi.
Il vero punto di forza del romanzo, però, sono i personaggi: le voci che si alternano nel corso della narrazione sono quelle di Ead Duryan, dama di compagnia della regina Sabran nel Reginato di Inys, che nasconde un segreto; Tane Miduchi, ambiziosa cavaliera di draghi orientale della quale è impossibile non innamorarsi; lord Arteloth Beck, amico fraterno di Sabran, esiliato a causa del suo rapporto con la regina; infine il dottor Niclays Roos, alchimista in rovina. Le vicende di questi personaggi sono strettamente intersecate, e ognuno contribuisce al mutamento e alla maturazione dell’altro. Solo attraverso la loro collaborazione sarà possibile la salvezza del mondo e la riappacificazione dei due continenti. Non sono ammessi Mary Sue o Gary Stue in questo romanzo: nessuno possiede abilità innate, ogni personaggio deve impegnarsi al massimo per ottenere ciò che vuole, anche al costo di perdere tutto ciò che gli è caro.
Un altro aspetto molto interessante del romanzo è il modo in cui viene trattata la questione della diversità: i personaggi de Il Priorato dell’Albero delle Arance sono un arcobaleno di etnie e orientamenti sessuali diversi, all’interno di una ambientazione in cui a uomini e donne sono concessi pari diritti e l’opportunità ad accedere a qualsiasi carriera professionale. Anche nel bigotto Reginato di Inys i rapporti omosessuali non sono un tabù. Non mancano però episodi di intolleranza: gli abitanti di Oriente e Occidente si guardano con sospetto, ed è illegale spostarsi da un continente all’altro senza autorizzazione. Occorrerà superare i pregiudizi per sconfiggere definitivamente il nemico.
Il finale non è per niente scontato: niente lieto fine in stile fiabesco, ma la riconferma che Il Priorato dell’Albero delle Arance è un romanzo maturo e completo. Nessuno è al sicuro in questo mondo popolato da uomini, mostri e dèi, ogni traguardo va conquistato superando dure prove, ma l’esito non può essere positivo per tutti. Romanzo caldamente consigliato a chi è rimasto orfano de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco: gli intrighi di palazzo, i draghi, i personaggi complessi e le battaglie vi faranno sentire a casa, a patto, però, che siate disposti a sopportare l’enorme senso di vuoto che vi pervaderà leggendo l’ultima pagina.
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