Non state sognando, il voto che vedete è una chiara dichiarazione d’intenti. Il brand di Call of Duty è un appuntamento annuale fisso e ormai anche i non-giocatori ripetono come un mantra: “è sempre lo stesso gioco”, “non si impegnano mai abbastanza”, “che lo comprate a fare”.
Quel voto vuole dare un segnale, forte, a tutte quelle persone che odiano a prescindere Call of Duty solamente per il nome, e non riescono ad andare oltre una cattiva reputazione (in parte anche meritata per le cose terribili fatte in determinati capitoli) riconoscendo i meriti oggettivi di una saga che è il fondamento dell’FPS moderno, e che quest’anno ha portato sugli scaffali probabilmente il suo capitolo più sperimentale e complesso dai tempi del primo Black Ops, nel lontano 2010.
Campagna
La modalità single-player di Call of Duty non è mai stata considerata il punto cardine del gioco da molti, infatti non sono rari casi di giocatori (io in primis, ma solo nelle ultime uscite) che pur avendo centinaia di ore sul multiplayer o su zombi, non si sono mai azzardati a toccare “la storia”. Dall’uscita di Ghosts nel lontano 2013 fino al recente Modern Warfare – con l’eccezione di Advanced Warfare che aveva uno splendido single-player – le campagne di CoD non hanno più avuto quel piglio stilistico, quella voglia di sperimentazione che c’era negli anni precedenti. Se non fosse stato per il nome, il primo Black Ops oggi sarebbe considerato una pietra miliare della narrativa nei videogiochi, con accostamenti a mostri sacri come Metal Gear per tematiche trattate e complessità dell’intreccio.
Finalmente, con questo Cold War, anche la campagna torna ad essere una modalità bellissima e ricca di contenuti, nella quale i ragazzi di Treyarch sono riusciti a sperimentare al massimo i limiti dell’FPS classico. Il gioco si pone come un “midquel” della saga di Black Ops, in quanto sequel diretto del primo capitolo, con vari riferimenti al secondo.
Ci troviamo nell’anno 1986: Jason Hudson, il pezzo grosso della CIA già presente nel primo episodio, è costretto a mettere in piedi una task force segreta con sede a Berlino Ovest per scovare la spia russa Perseus, un individuo sconosciuto che risulta sempre presente dove si verificano degli squilibri della Guerra Fredda. In questa storia noi interpreteremo Bell, una spia appena reclutata per la task force, e di cui potremo creare il background a nostro piacimento, scegliendo anche determinati “quirk” e specialità che andranno a cambiare l’esperienza di gioco.
Se già l’idea della creazione del personaggio risulta innovativa per Call of Duty, tutto quello che c’è in queste 7/8 ore di gioco vi farà gridare al miracolo. È presente un hub dove selezionare le missioni da compiere, divise tra quelle principali e due secondarie, che sarà possibile affrontare in qualsiasi momento. La particolarità delle due missioni secondarie è che sarà necessaria, per il loro corretto completamento, la scoperta di varie informazioni e indizi presenti in quelle principali, nonché la loro decrittazione una volta tornati all’hub. Tutto è lasciato all’abilità del giocatore (ho dovuto prendere carta e penna!).
L’hub inoltre è pieno di segreti, tra documenti da leggere per scoprire i retroscena della storia, dialoghi da poter intraprendere con tutti i personaggi e addirittura l’opportunità di sbloccare un finale segreto se si compiono le giuste mosse e si aprono determinate porte. In tutte le missioni infatti verremo posti di fronte a scelte da compiere e ad opzioni di dialogo con le quali rispondere, facendo sì che dopo il finale principale (canonico, non canonico e segreto) ci sia uno slideshow con tutte le conseguenze delle nostre azioni.
Anche nel gameplay è stata riposta una cura maniacale, con ogni missione resa diversa dalla precedente, passando dallo stealth all’azione pura. Le vette più alte del gioco però vengono aggiunte con l’infiltrazione nella sede del KGB, gestita come se fosse un livello di Dishonored, nella quale potremo muoverci a piacimento in un’enorme area sorvegliata dai nemici e compiere 6/7 scelte diverse per completarla, ed una missione che, pur non potendone rivelare il contenuto perché sarebbe uno spoiler pesantissimo, vi basti pensare che è molto ispirata a “The Stanley Parable”, un nome che non avrei mai pensato di poter accostare ad un blockbusterone come Call of Duty.
Narrativamente parlando, le implicazioni morali presenti nella storia, la presenza di progetti segreti come Greenlight e Mk Ultra, lo spionaggio, rendono questa campagna l’erede perfetto del primo Black Ops e sono, insieme, il meglio che il single-player di CoD abbia mai potuto offrire, al netto di qualche piccolo difetto come la brevità della storia o la riduzione di Woods e Mason (protagonisti del primo) a macchiette simpatiche, inserite più per nostalgia che per un vero apporto alla trama.
Multiplayer
Il comparto multigiocatore, già rinnovato dallo scorso Modern Warfare, viene preso come base e declinato secondo la formula Black Ops. Così è possibile riavere indietro, funzionante, il radar della minimappa (spento sul gioco precedente), un time to kill molto più alto e finalmente giocabile (MW aveva il più basso della saga), il ritorno delle wildcard anche nel nuovo sistema di creazione di classi e il ritorno delle serie di punti a differenza di quelle di uccisioni.
Il sistema di progressione fino al level cap, il 55, è rimasto pressoché invariato dalla formula standard di Call of Duty. Quello che ora cambia è la modalità prestigio, che non va più a resettare il livello costringendo il giocatore a compiere di nuovo il percorso di progressione, ma è una modalità che si attiva automaticamente una volta completato l’ultimo livello e si compone di 100 ulteriori livelli per prestigio. I prestigi, su Cold War, vengono aggiunti dalle Season di gioco e saranno 4 per ognuna, caratteristica che rende la progressione più “attiva” ed in linea coi tempi, permettendo di sbloccare ricompense come se fosse un Battle Pass.
Il gunplay del multigiocatore, seppur mutuato dal CoD di Infinity Ward, ha un feeling riconoscibilissimo per gli appassionati più incalliti, rendendolo un Black Ops in tutto e per tutto, il primo che torna completamente alle origini, eliminando anche quasi tutta quella voglia di “tatticità” che aveva reso ingiocabile Modern Warfare. Black Ops 4, ad esempio, pur non avendo i jetpack, aveva gli specialisti, un abominio concepito dal demonio che permetteva di avere killstreak a tempo a costo zero come abilità passive che rendevano ogni partita un’esplosione continua; al contrario, se c’è una colpa da dare all’ultimo gioco di Infinity Ward, è quella di aver voluto premiare i camper in maniera quasi masochistica, rendendo le mappe dei labirinti complessissimi, con una visibilità ridottissima, senza minimappa e con un time to kill ridicolmente basso.
Fortunatamente, in Black Ops Cold War Treyarch ha cercato di mettere una pezza a molte di queste “feature”, rendendo ad esempio di nuovo le mappe semplici, ma l’eco di MW purtroppo rimane in livelli come Armada o Miami, e nella visibilità molto scarsa che rende ogni partita “il corvo parlante” della settimana enigmistica o “Dov’è Wally?”. Al netto di questo, il multiplayer è divertente e soddisfacente da giocare, con le classiche modalità già disponibili e nuovi contenuti che verranno aggiunti durante le Season, essendo questo il primo Call of Duty ad avere i contenuti aggiuntivi completamente gratuiti.
Da segnalare la nuovissima e interessante modalità Bomba Sporca, nella quale 10 squadre da 4 giocatori vengono paracadutate in un’ampia mappa (alla Warzone, con infatti anche le stesse meccaniche di loot ed armatura), dove dovranno riempire con l’uranio e poi far detonare quante più bombe possibili prima degli avversari.
Zombi
Dopo il fallimento della modalità zombi di Black Ops 4 – non per colpa del gioco, che portava alcune fantastiche innovazioni, ma della community tossica creatasi attorno a questa modalità – Treyarch ha deciso di non puntare più alla sua fanbase per attirare nuovo pubblico, ma di rendere il tutto più simile al feeling che si può avere su Warzone, il Call of Duty free-to-play, per permettere a tutti di giocare in maniera accessibile.
Uno dei problemi principali di questa modalità a orde era infatti la sua elitarietà, essendo ormai diventato totalmente inutile fare una partita solo per sopravvivere, e dovendo per forza seguire storyline complessissime impossibili da completare senza una guida esterna. Su Cold War la parola d’ordine è “accessibilità“: il gioco permette a chiunque di trovarsi a suo agio nella modalità, sia che si voglia solamente sopravvivere – ora di nuovo utile in quanto il livello di progressione è syncato con quello del multiplayer e di Warzone, permettendo di farmare XP ed accessori per le armi tramite la sopravvivenza Zombi – sia che si voglia seguire l’Easter Egg, la storyline, ora finalmente con tutto quel che serve a schermo.
Anche il core gameplay è stato rinnovato, rendendolo ad un primo impatto visivo quasi un misto tra Destiny e Borderlands, con scrap da raccogliere per craftare equipaggiamento di supporto come granate, scimmie coi piattini, autorianimazioni e killstreak da poter utilizzare contro gli Zombi, ma anche armature di protezione e Wonder Weapon. Anche il sistema di armi si è adeguato agli standard moderni con l’introduzione della rarità (da Bianco a Giallo), rendendo così, nella loro variante leggendaria, qualsiasi arma più o meno viabile, senza più costringere ad usare solo mitraglioni o armi speciali. Inoltre, la Raygun è tornata ad essere come doveva: un’arma fortissima e desiderata, cosa che, dopo il primo Black Ops, era andata gradualmente a perdersi.
Anche questa modalità quindi risulta rinnovata al punto giusto, per rendere Call of Duty ancora al passo coi tempi nonostante i suoi quasi 20 anni di carriera, soprattutto grazie ai contenuti aggiuntivi gratuiti, che permetteranno finalmente di giocare la modalità zombi senza dover obbligatoriamente spendere 50 euro in più di season pass per le mappe successive.
Call of Duty ce l’ha fatta ancora e Black Ops Cold War è la dimostrazione di come anche una multinazionale che vuole sole macinare denaro possa, con le giuste idee, dar vita ad uno dei prodotti di intrattenimento migliori che ci siano sul mercato, con una sperimentalità quasi impossibile da pensare ed una correttezza nella monetizzazione che, dopo i nefasti trascorsi, non mi sarei mai immaginato.
Proprio per questo il voto è così alto: giocate questo CoD, perché al netto dei suoi difetti è un’esperienza fantastica, che non vivevo in questo modo dal lontano 2012 con Black Ops 2, e che sono felice di aver ritrovato. Solo il tempo ed i contenuti aggiuntivi ci diranno se, alla fine del percorso, sarà stato un Call of Duty degno di nota, ma la base da cui si parte, questa volta, lascia spazio per sognare in grande.
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