Un qualsiasi prodotto d’intrattenimento ha la capacità incredibile di non esaurirsi in quanto tale: l’opera in sé può oggettivamente essere catalogata in generi, la trama riassunta in qualche riga e via discorrendo, ma alla fine esiste solo nel momento in cui una persona ne usufruisce e scatena in sé pensieri ed emozioni. In questo modo, cose fatte in un paese lontano con un certo retaggio culturale alle spalle e in un’epoca apparentemente distante, possono essere attuali e comunicare con noi in maniere impensabili.
Io il primo Godzilla (ゴジラ, 1954) l’ho visto ormai diverse volte, ma non ho mai tratto conclusioni diverse da quelle di chiunque altro: il Kaijū (怪獣) non è altro che il folklore nipponico (e quindi l’essenza dello stesso Giappone) che viene contaminato e imbastardito dall’energia atomica, portando ovunque distruzione e morte come la bomba H.
Questa lettura è però abbastanza asettica, perché la condizione sociale di chiunque l’abbia visto, che non fosse un giapponese sopravvissuto al secondo dopoguerra, non è forse mai stata comparabile, anche se di stragi gratuite e immeritate ne sono seguite negli anni. Non che la nostra situazione ci vada poi troppo vicino, ma i suoi punti di connessione li ha. Fatemi andare avanti col mio vaneggiamento così vi spiego.
Poco tempo fa ho visto un’altra volta questo film, ed oltre alla soddisfazione nel capire diverse battute in giapponese e una ritrovata commozione in alcune scene che non ricordavo, mi sono reso conto di due cose: la prima, un tanto palese quanto meraviglioso parallelismo tra il Dr. Serizawa (creatore dell’Oxygen Destroyer) e Oppenheimer, in come tutti e due volessero creare una fonte di energia pulita e sana e si sono invece ritrovati a generare dei veri mostri. Ma ciò che mi ha davvero scioccato è come il film parli a noi di noi e di cosa stiamo vivendo ora in questo 2020 disgraziato.
Abbiamo politici che all’inizio non vogliono diffondere la notizia per non scatenare il panico e per non far saltare i delicati equilibri di potere ed economici riconquistati a fatica dopo la seconda grande guerra, ma non riescono a evitare che la verità verrà a galla. Quando questo succede, vengono mostrate delle foto del mostro e si impone l’obbligo di non uscire in mare a pescare per l’incolumità di tutti, cosa che fa infuriare i pescatori che con quella attività ci vivono, portandoli a protestare. Infine ci sarà anche gente che penserà bene di sminuire il problema e andare a farsi una crociera in mare aperto, morendo poi brutalmente.
Credo che tutto questo vi abbia fatto suonare più di un campanellino in testa, dato che la stupidità e l’arroganza dell’umanità tutta di fronte a qualsiasi pericolo siano sempre le stesse, da chi è in posizioni di potere e finisce per dimenticarsi l’aspetto umano, fino al resto del popolo che agisce di pancia senza mettersi nei panni di chi li governa, non pensando alle migliaia di cose che devono gestire e dei piani a lungo termine (ovviamente queste sono osservazioni da fare con occhio critico e da osservare caso per caso, i piani e le idee di un moderato possono essere decisamente distanti da quelle di un leader sovranista).
In altre parole, un film del 1954 che viene da tutt’altro mondo e pensato per parlare principalmente di altro si fa sentire a gran voce ai nostri giorni, dicendoci che forse dovremmo fare attenzione a come reagiamo ai problemi, e che una soluzione che sia al 100% sicura e ottima per tutti non esisterà mai.
È vero, qui nessuno ha risvegliato un mostro giocando con forze più grandi di quelle che poteva gestire (checché ne dicano i complottisti), ma stiamo rischiando di essere i Kaijū di noi stessi: il nostro soffio atomico sono le cattiverie che spariamo su tutti invece delle critiche costruttive, la violenza è quella che diventa fisica ed esuberante, portando davvero a distruggere le nostre città e le nostre vite.
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