Morte di una sirena è un giallo storico dove la fantasia e la realtà si mescolano per dare una storia alternativa al noto scrittore di fiabe Hans Christian Andersen. Alcune delle opere nate dalla sua penna, giusto per citare le più famose, sono La sirenetta e La bambina dei fiammiferi, e ai lettori attenti non sfuggirà come in queste vicende, con meccanismi che sfuggono alla normale logica, si sia voluta fornire una triste fonte d’ispirazione per la loro genesi.
La biografia ufficiale di Andersen presenta alcuni vuoti e il romanzo Morte di una sirena, scritto da Thomas Rydahl e A. J. Kazinski, e pubblicato in Italia dalla casa editrice Neri Pozza, si insinua proprio in uno di questi. La storia ha poco a che fare con il fanciullesco tratto delle sue fiabe, anzi, qui Andersen viene condannato a morte per un omicidio che non ha commesso, con l’unica colpa di essere un personaggio inquietantemente eccentrico.
Secondo una testimone è stato l’ultimo a vedere la vittima, una prostituta. Paradossalmente, ad attirare i sospetti su di lui è il non richiedere alla donna i servizi da lei normalmente offerti: tutti gli uomini pagano una puttana per andarci a letto, ma non Andersen, che invece voleva solo ritrarre la bellezza femminea delle sue curve attraverso dei graziosi ritagli di carta. Chi dà dei soldi ad una prostituta senza averci rapporti è pazzo, quindi Andersen è il pazzo omicida.
Questo è il ragionamento di Molly, sorella della vittima, urlato in faccia al questore indicando il disgraziato scrittore. Il poliziotto, anziché soffermarsi su ulteriori dettagli, coglie la palla al balzo e dichiara Andersen colpevole. In questo modo può chiudere il caso poiché, nel giro di neanche un’ora, è stato ritrovato un cadavere con il suo assassino e questo gli permetterà di andare tranquillamente, con la coscienza pulita, a mangiare una cena gustosa e fumante in un ristorante della città (nessuno spoiler, sono davvero le prime pagine del romanzo).
Fortunatamente, con un aiuto esterno e dal nome importante per la capitale danese, Andersen riesce a farsi dare tre giorni di tempo per dimostrare la sua innocenza, a patto che trovi il vero assassino. È proprio Molly, stanca dei continui soprusi che costellano la sua vita da triste prostituta, a decidere di collaborare con l’eccentrico scrittore per provare, almeno per una volta, un po’ di giustizia.
La narrazione è un vortice di miserabile agonia, all’interno del quale i due sciagurati corrono costantemente contro il tempo e la logica per venire a capo di un mistero totalmente ignaro alle autorità locali, fino a scoprire una realtà ancora più profonda del mare di escrementi dove Andersen dovrà nuotare per trovare un tassello essenziale al suo puzzle investigativo.
Il problema è che quel tassello è una mano bianca, attaccata al corpo di una bellissima donna, al quale sono stati cuciti dei seni. Un’altra morte inspiegabile, un altro cadavere legato alla sorella di Molly e un altro disgustoso rompicapo. Come ha fatto lo sfortunato (e costantemente bastonato dal crudele destino) scrittore a trovare un indizio così importante quanto letale? Seguendo con la mente e con il corpo i versi della filastrocca di un pazzo, cantata con voce singhiozzante e disperata nel buio di una cella umida.
Fa da cornice all’enigmatico puzzle una Copenaghen dove i cittadini sono più freddi della neve che si posa sulle strade, e chi ha un minimo di potere sociale è gelido nei confronti di chi lotta per la propria sopravvivenza; dopotutto, come cita un famoso proverbio, “il sazio non crede all’affamato”. E nel retro del quadro vagano con movenze tentacolari ideali oscuri, mistico-scientifici, attorcigliati ad un folle desiderio di amore. A conti fatti, come insegna la fiaba della sirenetta, una trasformazione ha sempre un suo prezzo.
Ora mi rivolgo direttamente a te, caro lettore. Preparati a veder crollare l’origine rosa e gioiosa delle fiabe che ti hanno fatto crescere e, mi raccomando, tieni sempre con te uno zolfanello. Non hai idea di quanto la neve sia fredda quando hai lo stomaco vuoto da giorni.
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