“Ah! Un altro adattamento a fumetti di un classico: non sarà mai come leggere l’originale!”
Gli adattamenti dei classici della letteratura hanno avuto un ruolo consistente nel lungo percorso di riconoscimento del fumetto come arte degna di figurare nel pantheon delle Magnifiche Sette (poi aggiornate a nove, a dimostrazione di come tutto sia in cambiamento costante). Questo passaggio obbligato ha sdoganato il fumetto anche negli ambienti più classici e intransigenti, ma il passo successivo non è ancora avvenuto, ossia assimilare il fatto che l’adattamento di un’opera non pretende di essere sostitutivo all’originale.
Leggere un adattamento a fumetti (ma lo stesso ragionamento si può tranquillamente applicare anche agli adattamenti cinematografici, teatrali e così via) non sarà mai come leggere l’originale; ogni adattamento non ambisce a sostituirsi all’opera che l’ha ispirato, ma le si affianca, dialogando con essa e andando ad arricchire quell’apparato paratestuale in continua evoluzione ed espansione, alla pari di un testo critico o di una rivisitazione dell’opera. Tornando all’esclamazione che apre quest’articolo, un adattamento “non sarà mai come l’originale” ma mira a gettare una nuova luce sull’opera, illuminandone i dettagli lasciati in penombra o immergendola in nuovi contesti inesplorati.
Il dialogo che Marino Magliani e Marco D’Aponte, rispettivamente sceneggiatore e illustratore di La luna e i falò (Tunué, 2021), instaurano con Cesare Pavese è visibile in ogni tavola, grazie allo smantellamento della linea narrativa originale dell’opera e a un nuovo assemblaggio che la accosta alla rappresentazione degli ultimi giorni dell’autore.
La luna e i falò è infatti l’ultima opera scritta e pubblicata da Pavese prima di togliersi la vita in un albergo di Torino nell’agosto 1950, e la scelta di un alter-ego dell’autore come protagonista incentiva una lettura del volume come testamento letterario dello scrittore piemontese. La decostruzione e ricostruzione della linea narrativa intreccia le vicende di Anguilla e Nuto, comprimari della storia narrata, con un dialogo tra Pavese e il suo amico Pinolo che commentano l’opera e ricordano le storie che l’hanno ispirata. Quest’intersecarsi di piani è evidenziato da un forte stacco cromatico, bianco e nero per Pavese e Pinolo e colori solidi, rubati ai Macchiaioli di fine Ottocento, per le vicende ambientate sulle colline delle Langhe.
I due piani a volte si confondono, intrecciandosi nella stessa pagina e nella stessa vignetta, creando parallelismi veramente efficaci, capaci di rendere tangibili quei nuovi significati di cui sopra. Magliani e D’Aponte superano alla perfezione la difficile prova di adattare la narrazione poco lineare dell’originale alla sequenzialità delle vignette a fumetti, ma la linea emotiva dei ricordi del protagonista, che salta da un racconto a un altro inseguendo le proprie memorie, viene restituita al lettore grazie a un sapiente uso delle palette cromatiche.
L’Italia contadina tra le due guerre e poi dopo la Liberazione emerge vivida nei suoi colori e nelle sue contraddizioni, scontrandosi con quelle tematiche care a tutta l’opera di Pavese, come il ritorno a casa, la memoria e la ricerca di sé stessi a prescindere dagli occhi degli altri.
Un elemento che va a perdersi nell’adattamento è il linguaggio, che nell’opera di Pavese si rifà alle tendenze realiste a lui contemporanee, riportando dialetti e parlate popolari che qui vengono appiattite in favore di un italiano standard con qualche accenno di colloquialismo, ma la vivacità della cadenza piemontese delle colline viene recuperata attraverso elementi narrativi e caratterizzazioni estetiche dei personaggi.
Leggere un adattamento non sarà mai come leggere l’originale. Al massimo, può aggiungere qualcosa in più.
Un ringraziamento speciale a Tunué
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