La saga di Detective Conan è tra le più longeve nel mondo dei manga e degli anime. In Giappone il suo fascino continua ad attrarre migliaia di fan, tanto che ogni lungometraggio dedicato al piccolo investigatore si trasforma sempre in un grande e meritato successo al botteghino (ad oggi il franchise ne conta ben 24!). In Italia la situazione è ben diversa; si potrebbe infatti dire che i fumetti di Conan vengano trattati con un certo ostracismo: “ma quando finisce?”, “è troppo lungo!”, “non succede mai niente di interessante!”, queste e altre numerose affermazioni vessano da tempo la creazione di quel genio incompreso che è Gosho Aoyama. Il primo e, forse, unico manga investigativo – qui in terra italiana – viene apprezzato da una nicchia ristretta di lettori, puntualmente tacciata di follia, come se da noi non esistessero opere simili: Dylan Dog vi dice qualcosa?
Oggi, tuttavia, non sono qui per vaneggiare su Detective Conan a livello sociologico o commerciale, bensì per parlarvi – e in un certo senso rendere giustizia – ad uno dei tanti spin-off della serie principale: Zero’s Tea Time, la cui pubblicazione si deve a Star Comics. L’iterazione, attualmente in corso in patria, pone la lente di ingrandimento su uno dei personaggi secondari del brand, il poliedrico Rei Furuya, anche conosciuto come Toru Amuro e Bourbon. Detective per l’Ufficio di sicurezza dell’Agenzia nazionale di polizia – il nome è tutto un programma – lavora sotto copertura sfruttando, appunto, i suoi vari pseudonimi per svelare le misteriose macchinazioni degli Uomini in Nero, organizzazione che i lettori di lunga data conoscono molto bene.
Il manga nasce dalla stretta collaborazione tra Aoyama – che qui supervisiona la storia e gli storyboard – e Takahiro Arai, giovane mangaka e fan sfegatato del maestro che con questa sua creazione spera di offrire una lettura appassionante agli amanti dell’universo narrativo di Conan. L’ardente amore che Arai nutre per l’opera di partenza è palpabile sin dalle prime pagine: il suo tratto, anche ad un occhio esperto, risulta praticamente identico a quello del sensei, sia per quanto riguarda la resa delle espressioni dei personaggi, sia per la gestione magistrale dell’inchiostro, delle ombreggiature e dei retini, marchi di fabbrica di Detective Conan.
L’elemento grafico costituisce quindi, da subito, un grosso punto a favore per Zero’s Tea Time, siccome permette ad un ideale e avido lettore – come il sottoscritto – di passare agilmente dalla serie principale allo spin-off senza discontinuità. A rinforzare l’identità di questo manga sono anche gli ovvi e necessari legami e riferimenti all’opera cardine: il lavoro di Takahiro Arai si inserisce – a livello logico e temporale – tra un caso e l’altro, approfondendo spesso e volentieri l’operato dell’Organizzazione nera, interesse primario degli appassionati.
Dettagli tecnici a parte, di cosa parla questo manga? Metto subito le mani avanti dicendo che si tratta principalmente di uno slice of life, quindi non aspettatevi i furbi twist di sceneggiatura o i frangenti ansiogeni propri della serie madre (almeno non in questo primo numero). Rei, che nella vita di tutti i giorni si fa chiamare Toru, porta avanti una routine fitta di impegni: mentre lavora come cameriere al caffè Poirot, prende “lezioni” di investigazione da Kogoro Mori, iconico comprimario che non ha bisogno di presentazioni. Durante le sue giornate si trova ad interagire con vari personaggi, tra cui la dolce ed energica Azusa – collega di lavoro al Poirot – o lo sbadato Yuya, agente di Pubblica Sicurezza della Questura di Tokyo. Non manca, inoltre, la presenza di un’altra importante figura: Shuichi Akai, investigatore dell’FBI e infiltrato nel gruppo degli Uomini in Nero con il nome in codice di “Rye”; quest’ultimo è legato a Rei a causa di drammatici eventi passati che vengono ricapitolati in Zero’s Tea Time e che, al contempo, fanno parte delle fasi più avanzate di Detective Conan.
In sostanza, l’opera di Arai – nonostante ci ponga al cospetto di diversi personaggi noti solo a chi conosce bene il franchise – riesce a non risultare del tutto incomprensibile a chi non ha mai affrontato il celebre giallo, anzi potrebbe benissimo costituire un interessante punto di partenza per dei neofiti, visti i continui rimandi alla saga del maestro Aoyama. Rimandi che vengono, se necessario, opportunamente contestualizzati.
Le pagine di questo spin-off scorrono leggere e senza fretta, tanto che a tratti non sembra proprio di trovarsi di fronte ad un fumetto figlio di un thriller: il primo volume ci mostra spensierate mattine al supermercato – colorate da buffi litigi per accaparrarsi l’ultima confezione di bottarga – problemi quotidiani risolti con furbizia o piacevoli e stuzzicanti aneddoti. Il tutto è ben inframezzato da divertenti quanto inaspettati siparietti come una rocambolesca corsa contro il tempo nella RX-7 di Toru, o il dolcissimo e sincero rapporto che si instaura tra il protagonista e un cucciolo randagio a cui verrà dato il nome di Haro, a seguito di un’originale trovata narrativa.
Rei Furuya, in fin dei conti, è un personaggio sfuggente che in Detective Conan – al momento della scrittura di questa recensione – è sempre stato caratterizzato a spizzichi e bocconi. Finalmente Zero’s Tea Time lo infittisce caratterialmente senza dimenticare il suo accattivante background a cui è dato ampio spazio. Basti pensare che, prima dell’uscita di questo spin-off, l’unico approfondimento che ci è stato concesso in merito è presente nel ventitreesimo lungometraggio dedicato a Conan, ovvero Detective Conan: Zero The Enforcer del 2018, che invito caldamente a recuperare per completezza.
Facendo affidamento alla mia esperienza e al mio infinito ed eterno amore per l’universo narrativo creato da Gosho Aoyama, mi sento di consigliare Zero’s Tea Time a due tipi di lettori: coloro i quali non conoscono le gesta del “detective in miniatura” e che magari desiderano avvicinarsi al suo mondo senza passare per forza dalla serie principale – molto più cruda – ma tramite un manga decisamente più disteso. La seconda possibilità è rappresentata da quei fan inesauribili che, come me, vogliono vedere i riflettori puntati su Rei, di cui abbiamo abbondantemente parlato.
Si potrebbe dire che questa sia stata una recensione molto di parte e non mi vergognerei ad ammetterlo. Spero, tuttavia, che il mio palese affetto per uno dei capolavori della letteratura a fumetti giapponese possa avvicinare più persone al suo franchise quasi trentennale, passando stavolta da una strada inedita e accattivante, rappresentata da un’opera derivata da non sottovalutare.
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