Un altro giro, un cocktail frizzante e catartico

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Questa è una recensione nata all’improvviso, come all’improvviso il protagonista di questo film, Martin (Mads Mikkelsen), si lancia – e non è un verbo scelto a caso – nel vorticoso mondo dell’alcol. Certamente questo articolo non nasce come esperimento, rispetto a quello che invece è al centro delle vicende di Un altro giro, l’ultimo lungometraggio vincitore del Premio Oscar come Miglior film in lingua straniera. La suddetta sperimentazione da parte del personaggio di Mikkelsen e compagni è forse l’elemento più stuzzicante dell’intera pellicola, ma andiamo con ordine.

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Martin, Tommy (Thomas Bo Larsen), Nikolaj (Magnus Millang) e Peter (Lars Ranthe) sono quattro amici di lunga data e insegnanti in un prestigioso liceo danese: insegnano rispettivamente storia, educazione fisica, psicologia e musica. Le loro vite non sono particolarmente soddisfacenti, né dal lato lavorativo – Martin ha infatti molti problemi a gestire il rapporto con gli studenti e finisce spesso a scontrarsi con i loro genitori – né dal punto di vista sociale e sentimentale: c’è chi, come Martin, è sull’orlo del divorzio; chi, come Tommy e Peter, ha difficoltà persino a trovare una compagna.

È il quarantesimo compleanno di Nikolaj a presentare al quartetto la possibilità di cambiare lo status quo. Il professore, infatti, racconta agli altri tre compari una curiosa teoria elaborata dallo studioso Finn Skårderud – realmente esistente – secondo la quale gli esseri umani sono nati con un deficit da alcol pari allo 0,05%. Questa “mancanza” renderebbe meno attivi sia nelle relazioni sociali che in quelle psicofisiche.

L’elucubrazione viene presa con ilarità, tuttavia Martin decide spontaneamente di testarla su sé stesso, bevendo di nascosto prima di una lezione. I risultati sono inaspettati, ma positivi: le spiegazioni dell’insegnante di storia sono più sciolte e ritmate; ciò migliora di molto il rapporto che l’uomo ha con i suoi studenti. Constatando gli effetti “miracolosi” dati dagli alcolici, Nikolaj, Tommy e Peter si uniscono all’amico in una progressiva ma inevitabile discesa nell’alcolismo.

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A lezione Martin cambia volto: grazie all’alcol è un professore energico e creativo

I compagni di bevute, dopo essersi ispirati alle vite di grandi bevitori come Ernest Hemingway e Winston Churchill per fissare alcuni limiti da rispettare, che permettano loro di non eccedere e di mantenere il tasso alcolemico sempre sullo 0,05%, danno un tono autorevole al loro nuovo stile di vita redigendo una vera e propria ricerca accademica – sulla falsariga di un dottorato – divisa in capitoli (che di fatto suddividono anche la progressione del film stesso). Ogni parte della tesi vedrà i quattro aumentare progressivamente il consumo di alcolici, con la scusa di nuovi ed eccitanti test. L’asticella fissata allo 0,05% passa dall’essere un rigido paletto ad un limite da superare in nome della scienza. Con l’arrivo dello 0,10% le cose si evolvono vertiginosamente e, purtroppo, quell’aura di promettente positività svanisce sempre di più.

L’idea di donare alla progressione degli eventi una parvenza scientifica è molto buona. Lo spettatore viene continuamente stuzzicato e spinto a riflettere sulla delicata tematica dell’alcolismo con un ragionamento più serio di quello che potrebbe sembrare. A questo proposito, Un altro giro non risulta mai pedante, moralista o snob: pone sul piatto una storia sviscerata in maniera equilibrata, senza mai scadere nell’esasperazione poetica da film indipendente (nonostante i momenti commoventi non manchino affatto). Il lungometraggio pone l’accento sul realismo e il coinvolgimento, e i suoi 117 minuti di durata volano.

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Martin in compagnia dei suoi amici: da sinistra, Nikolaj e Peter

Dal punto di vista prettamente tecnico, la regia del film è quasi completamente affidata a riprese con macchina a mano che restituiscono quella vaga sensazione di precarietà e vertigine propria dell’ubriachezza. L’autore Thomas Vinterberg (Il sospetto) presta particolare attenzione all’atto del bere tramite inquadrature che indugiano su calici di vino, bottiglie e bicchieri da tracannare. Come se non fosse chiaro abbastanza, lo scolare litri e litri di alcol è il filo rosso che guida tutte le azioni dei nostri personaggi, in senso positivo e negativo. A questo proposito, è palese l’alternanza – a livello fotografico – di sequenze più luminose e di frangenti più oscuri, che rende chiara la volubilità dell’esistenza di Martin e dei suoi colleghi.

Questi ultimi – interpretati davvero bene dagli attori, specialmente se si parla del buon vecchio Mikkelsen – compiono dei viaggi interiori che si influenzano a vicenda. L’alcol è la chiave per accedere ad un mondo irrazionale e fuori dall’ordinario, fatto anche di apprezzati e mai banali siparietti comici che sopraggiungono nei momenti in cui il quartetto di professori passa la soglia della razionalità per approdare nell’ebbrezza alcolica.

Un dettaglio che sicuramente non sfuggirà ai cinefili più svegli è la brillantezza della sceneggiatura, affidata a Tobias Lindholm e a Vinterberg stesso. La scrittura di Un altro giro – volendo citare un aspetto in cui eccelle – riesce a sfruttare a dovere il meccanismo di “setup e payoff“. Questa è una classica tecnica usata nello storytelling che sedimenta (set-up) nei dialoghi dei dettagli o delle affermazioni apparentemente irrilevanti; questi piccoli accorgimenti acquistano un’importanza che diviene sorprendentemente più chiara col proseguire del racconto, in altre parole ripaga (“pays off”) con un sorriso lo spettatore attento.

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La sopracitata ebbrezza alcolica raggiunge il suo picco massimo in quella che è diventata, forse, una delle sequenze più note e memorabili della pellicola: la catartica danza di Martin/Mikkelsen sulle note della galvanizzante What A Life del trio danese Scarlet Pleasure. È questa nota finale, questo spiccato tocco di classe, che rende impossibile non uscire dalla sala con un senso di leggerezza come quella data dall’alcol; alla fine del film ci si sente svuotati ma allo stesso tempo riempiti, come dopo aver bevuto un bel bicchiere di vodka che riscalda l’animo.

Un altro giro è un lungometraggio purificatorio che fa venir voglia di danzare anche da sobri: è un buon bicchiere di champagne per festeggiare la bellezza della vita. Un film che certamente merita di esser visto e che entra di diritto tra i miei preferiti dell’anno. Una pellicola che – come un perfetto cocktail – mischia sapientemente il lato scanzonato dell’esistenza con i suoi meandri più introspettivi.

Trailer italiano ufficiale del film:

What A Life degli Scarlet Pleasure:

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Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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