Penso di potermi ancora definire un fan di Westworld: nonostante l’ultima stagione qualunquista e approssimativa, il ricordo delle prime due (soprattutto la prima) continua a farmi sperare in una conclusione appropriata, ma soprattutto a darmi fiducia verso i suoi autori. Jonathan Nolan e Lisa Joy infatti sono stati capaci di scrivere alcuni dei momenti più alti della fantascienza televisiva moderna. Dopo la visione di questo Reminiscence, primo lungometraggio da regista e sceneggiatrice per Lisa Joy, comincio a pensare che forse le idee siano terminate da un pezzo, e che l’inizio di Westworld sia stato solo un enorme colpo di fortuna.
Il film, che riprende molto del cast artistico della serie HBO – Ramin Djawadi alla colonna sonora, Mark Yoshikawa al montaggio, Paul Cameron alla fotografia, Jonathan Nolan alla produzione, le attrici Thandiwe Newton e Angela Sarafyan, la stessa Lisa Joy – naviga purtroppo in lidi già troppo battuti dalla fantascienza per essere almeno un minimo originale, scopiazzando le atmosfere di Blade Runner e la base di Strange Days, ma senza riuscire ad avere neanche un briciolo dei pregi di questi capolavori.
Hugh Jackman interpreta Nick, un ex-militare ormai dedito – assieme alla sua assistente Watts (Newton) – al business della Reminiscenza, che consiste nel far rivivere alle persone i propri ricordi in maniera estremamente realistica, utilizzando un macchinario. L’uomo cade vittima di un complotto ordito ai suoi danni dalla femme fatale Mae (Rebecca Ferguson), della quale si era innamorato, e pertanto è intenzionato a scoprirne il passato e i veri piani. Una storia altamente soporifera, scontata, ma soprattutto cerchiobottista.
Forse l’unico aspetto davvero interessante è il setting: una Miami del 2030 ormai completamente allagata a causa del riscaldamento globale, attiva solamente di notte per via del caldo insopportabile che c’è durante il giorno, e con le dighe che dividono i distretti sommersi, gli slums ed i quartieri più ricchi. Visivamente il film è fotografato nel modo più anonimo possibile, come qualsiasi blockbuster supereroistico degli ultimi dieci anni, con un teal and orange e dei lens flare così onnipresenti da far venire il voltastomaco.
La CGI con cui la città è costruita (sia mai volerla far sembrare vera) è spesso di basso livello, e soprattutto nelle riprese in movimento si può notare lo sfondo soffrire di lag rispetto ai protagonisti in scena. Solo nelle inquadrature fisse forse viene risaltata un po’ l’estetica, ma anche in questo caso il design è forzatamente anni ’50 con font, locali, abiti e luci d’epoca non contestualizzati, utilizzati solamente per rientrare nel genere “noir” classico senza offrire il minimo apporto alla narrazione.
Questa voglia di noir “alla Blade Runner” crea solo danni, lasciando personaggi abbozzatissimi solo perché devono aderire a dei luoghi comuni (il protagonista buono ma tormentato, la dark lady, l’aiutante, il ricco senza scrupoli). In più i pensieri che ci regala la voce narrante del protagonista, onnipresente nel film, oltre ad essere profondi quanto una pozzanghera servono a spiegare quello che l’incapacità della regista non riesce a mettere in scena.
La regia infatti è del tutto anonima e priva di mordente, il che affossa inevitabilmente il ritmo del film. Inoltre le tre scene d’azione presenti nel film sono tra le più brutte mai viste al cinema negli ultimi anni: mal girate, troppo lunghe, ma soprattutto confusionarie, non si capisce mai in quale luogo dello spazio si trovino i personaggi e da dove arrivino i colpi. La regista cerca di rubacchiare qualche idea dai grandi classici, prendendo scene in primis dai già citati Blade Runner e Strange Days, ma anche da Old Boy, quest’ultimo coinvolto in una sorta di citazione davvero imbarazzante. Solo le musiche di Ramin Djawadi rimangono in qualche modo credibili ed azzeccate per l’ambientazione, ma non basta.
Il livello narrativo del film non va oltre il tema di fantascienza scritto da un bambino di quinta elementare, e non capisco come Lisa Joy abbia avuto bisogno di ben 5 anni per scrivere questa sceneggiatura che di fantascienza ha forse il setting distopico, ma che non riesce ad essere credibile neanche fosse un fantasy dei più sfrenati. L’idea dei ricordi come “perle una dietro all’altra”, che è possibile rivivere nel minimo dettaglio solo concentrandosi tantissimo con la giusta guida, è proprio un’idiozia fatta e finita che non si ispira ad alcuna realtà scientifica. E se un film di fantascienza non basa la sua fantasia su qualcosa di scientifico, per quanto poi ampliato e reso finzione, magari per raccontare tramite iperboli qualcosa di importante sul mondo contemporaneo, non so a cosa possa servire.
Reminiscence è un blockbuster senza cuore, dal passo troppo lento e “finto autoriale” per l’intrattenimento spicciolo, ma anche troppo superficiale per essere preso sul serio. In quello che vuole raccontare, ovvero la scelta di vivere nel passato o nel futuro, l’autrice riesce ad essere non solo cerchiobottista, ma anche ruffiana, facendoci tifare per “la storia d’amore d’annata” senza il coraggio di dare un messaggio forte.
Reminiscence è uno di quei film la cui esistenza porta sempre a farsi tante domande. Ad esempio, possibile che questi 68 milioni di dollari di budget non si potessero spendere in modo migliore? Qui abbiamo uno Hugh Jackman al suo limite minimo di recitazione (dimostrando come solo il personaggio di Wolverine e pochi altri possano essergli cuciti addosso), mentre gli altri attori, da Rebecca Ferguson a Thandiwe Newton, passano così inosservati che si sarebbero potuti sostituire con qualsiasi nome sconosciuto e non sarebbe cambiato nulla, cachet a parte.
Non perdete tempo a guardare un film che minimizza la fantascienza ad un genere che neanche 80 anni fa poteva vantare una pochezza di questo tipo, con delle scene al limite del ridicolo, un protagonista autocompiacente, una sceneggiatura delirante e un comparto tecnico che dire anonimo è un complimento. Statene alla larga, questa non è immondizia, è peggio: è mancanza completa di idee e vuotezza artistica votata completamente al dio denaro.
Un ringraziamento speciale a Warner Bros.
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