Le cose si mettono sempre peggio per Grix e il suo equipaggio, anche dopo essere stati salvati dalla fratellanza della rinascita. Proprio lì, infatti, Wilson e Ward avevano chiuso il secondo volume de Il Regno Invisibile, introducendo nel racconto un nuovo elemento attraverso la classica tecnica – sempre efficace – del cliffhanger. Il terzo e ultimo volume della saga, In Altri Mondi, rappresenta in tal senso la perfetta chiusura di una saga che ha avuto moltissimo da dire ai propri lettori.
Nel corso di tutto il volume si cerca infatti di riportare ogni personaggio al suo posto, lì dove la via lo vuole condurre – per abusare degli elementi utilizzati dagli stessi autori. Si arriva ad un punto critico, perché nessuno è ciò che sembra e la corruzione ha gettato la sua ombra anche su chi sembrava del tutto innocuo. Sarà difficile per Grix e Vess capire di chi fidarsi e non cadere nel giogo di chi segretamente ambisce solo al potere.
Senza entrare troppo nel dettaglio, l’acme della storia è forse un pelo più prevedibile ma non per questo meno efficace; ogni elemento narrativo, infatti, non sembra puntare esattamente allo stupore, quanto piuttosto a una critica che colpisce senza distinzione società, politica e religione. In tal senso, dunque, si sfruttano elementi narrativi non proprio innovativi, lasciandoli però interagire in modo profondo, perfettamente equilibrato e davvero potente. La poetica de Il Regno Invisibile sembra infatti la summa di tutte le più grandi influenze pregresse, ma il collage è così ben costruito che ne emerge un messaggio ancora più potente di tutti i lavori presi in considerazione.
Nuova carne al fuoco, insomma, per un lavoro che, come avevo già anticipato parlando dei volumi precedenti, ha fatto della stratificazione il suo marchio distintivo. Ed è qualcosa a cui gli autori hanno scelto di non rinunciare e, anzi, con In Altri Mondi riescono a far quadrare il cerchio pur aggiungendo i nuovi elementi descritti. Non si rinuncia infatti all’esaltazione della figura femminile, che qui tocca il suo apice; allo stesso modo si sono spinti ancora un po’ più in là nel tentativo di mostrare quanta corruzione ci sia nel mondo religioso, questa volta anche con l’aiuto della fratellanza su menzionata.
Altri piccoli dettagli, disseminati come perle quasi nelle pieghe delle pagine, arricchiscono poi il quadro, mostrando una società ormai sopita, che pensa solamente ai beni materiali e al denaro. Mentre, infatti, le cose peggiorano notevolmente e si tenta di spiegare alla folla cosa sia davvero la Lux, il primo pensiero di una civile è chiedere il rimborso. Un balloon di appena 3 parole, ma di una potenza indescrivibile.
A mio avviso però l’aspetto più importante, come accennato, è però il percorso di crescita affrontato da Vess, che completa un arco narrativo davvero notevole. La coprotagonista passa da una condizione di totale e cieco servilismo – che a sua volta cercava di essere una ribellione alla condizione sociale in cui è cresciuta – ad una di protagonista attiva e responsabile delle grandi vicende che concluderanno la saga.
Se Grix è infatti la donna forte, capitano di un cargo e responsabile della rivoluzione in atto, Vess affronta invece una crescita decisamente più importante; si tratta di una vera e propria emancipazione sia rispetto le tradizioni del suo popolo – secondo cui avrebbe dovuto sposarsi e procreare – ma anche nei confronti della congrega di cui fa parte, costituita non a caso da sole donne. Si oppone inoltre ad un’azienda e ad una fratellanza con una purezza che fa da perfetto contraltare alla corruzione delle due istituzioni, che invece hanno sempre volti maschili.
Un po’ più scontato il subplot romantico che la riguarda, soprattutto per l’esito a cui inevitabilmente conduce il finale: l’amore porta le protagoniste a rivelare una forza di cui nemmeno loro erano consapevoli ed è l’unico sentimento in grado di contrastare anche il peggiore dei mali, qui rappresentato dalla corruzione. Una retorica un po’ banale, che però pesa solo sulle ultimissime pagine, lasciando intonso tutto il resto dell’opera.
Esteticamente, invece, rischio di ripetermi, perché ho già approfondito nelle precedenti recensioni l’incredibile capacità che ha Wilson di far vibrare i colori e farli sconfinare dagli esili tratti che delineano i personaggi. Arrivati a questo punto, infatti, lo stile quasi abbozzato che caratterizza le tavole non è più un problema, si ha perfetta familiarità con i personaggi, che sono dunque sempre riconoscibili; ma è proprio grazie all’incredibile e delicato equilibrio di linee e tonalità che i protagonisti sembrano vivere davvero, quasi il lettore potesse sentire sulla propria pelle l’effetto dei colori. Si tratta di un raro fenomeno, che si può quasi associare alla sinestesia. Se infatti, in filosofia, il termine indica l’accostamento di due termini che si riferiscono a due sfere sensoriali diverse, mi sembra anche piuttosto indicato per le sfavillanti tavole de Il Regno Invisibile; i colori non si limitano a fuoriuscire dalle linee, ma anche dalla tavola stessa, coinvolgendo dunque due sensi.
Inutile dire, infine, che il pregio dell’intero lavoro risiede nella sua brevità, che ha permesso di condensare al meglio la storia ed impedire che ci fossero tempi morti o inutili ripetizioni nell’arco narrativo. Ogni elemento è perfettamente bilanciato, si prende il giusto tempo per essere illustrato e non si incappa in alcun momento in tavole che fanno desiderare al lettore di procedere oltre. Difficile trovare dei difetti davvero mortali, perché il lavoro svolto da Wilson e Ward è davvero incredibile sotto tutti i punti di vista. Si tratta di tre volumi davvero imperdibili, pieni di colpi di scena, narrativamente appaganti ed esteticamente ipnotici. Qualcosa che mi sento di consigliare caldamente, con la speranza di poter tornare presto a parlare degli autori appena menzionati.
Un ringraziamento speciale a Magic Press
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