Sull’onda dell’incredibile successo di John Wick, ormai arrivato ben 7 anni fa in sala, il pubblico ha assistito ad un’ulteriore trasformazione dei film action che hanno per protagonisti killer mercenari e spie. Basti pensare che tre anni dopo usciva Atomica Bionda e per molto tempo ci si è rivolti al film con Charlize Theron come il “John Wick al femminile”, sebbene la sceneggiatura si sviluppi su basi completamente diverse. Le straordinarie coreografie delle scene di lotta, unite ad una sapiente regia, hanno portato molti addetti ai lavori ad urlare al miracolo, soprattutto a fronte dei registicamente più canonici Bond e Bourne.
Tuttavia manca qualcosa a questi film, almeno secondo le logiche più recenti della grande macchina di Hollywood. Il pubblico ha bisogno di ridere, ora più che mai. Ed ecco che negli ultimi anni la commistione di generi si è fatta ancora più prepotente; serviva qualcosa che riuscisse ad unire la serietà di tutti gli action appena menzionati con le più brillanti e acute commedie degli ultimi tempi, senza sfociare in film profondamente comici come Johnny English. Un pallido tentativo qualche anno fa si è intravisto con Operazione U.N.C.L.E., non perché il film non sia riuscito, ma perché rimane molto ancorato alla serietà delle storie ambientate durante la guerra fredda. Idem per Kingsman – altro film assolutamente fortunato, che però si sbilancia più verso toni seri, pur avendo a mio avviso un ottimo equilibrio.
Perché tutto questo discorso sui migliori film d’azione degli ultimi tempi per introdurre la recensione di Gunpowder Milkshake? Perché la pretesa di Navot Papushado, con questa pellicola, è quella di realizzare una totale contaminazione di generi, partendo proprio dalle migliori scelte narrative ed estetiche dei suoi predecessori e cercando di fare un passo più in là. Che l’operazione sia riuscita o meno, poi, è tutt’altro discorso.
Di per sé la trama è piuttosto promettente, seppur non innovativa. Sam è la killer che l’Impresa invia quando la situazione si fa seria e c’è bisogno di ripulire la scena. La ragazza ha sempre svolto il suo lavoro senza fare troppe domande, ma l’ultimo incarico la mette davanti ad una scelta difficile – nonché al suo passato di orfana – e arriverà a mettersi contro l’associazione criminale che la paga pur di fare la cosa giusta. Ciò che qui Papushado tanta di fare, come anticipato, è sfruttare una trama abbastanza classica cercando però un equilibrio con dei toni più scanzonati.
La vena comica è infatti prevalente in tutta la parte centrale, al punto però da diventare ingombrante. Alla lunga le macchiette comiche forzate – proprio perché numericamente considerevoli – stancano lo spettatore invece di divertirlo ed intrattenerlo. I personaggi di contorno sono molto spesso tratteggiati in modo sbrigativo, con l’unico scopo di fare di loro delle spalle comiche, ma il più delle volte risultano quantomeno ridicole nella loro idiozia. Siamo ben lontani, insomma, dall’apporto grottesco ma equilibrato che riusciva a raggiungere Samuel L. Jackson in Kingsman, per tornare ad uno dei primi esempi.
Allo stesso modo anche l’estetica del film è forzatamente fiabesca, in pieno contrasto con la brutalità della figura da killer della protagonista. Papushado ha sentito persino il bisogno di inserire tre fate madrine come ne La bella addormentata nel bosco. Non è difficile notare, infatti, che le tre bibliotecarie indossano gli stessi colori delle fatine della fiaba e che il loro legame evidenzia proprio un rapporto materno con la protagonista, per quanto adattato al genere. Tutta la composizione estetica, a ben vedere, procede in quel senso: i colori che esplodono senza tregua, dall’inizio alla fine del film, cercano di alleggerire tutta la messa in scena di un action più classico, eccedendo purtroppo in più occasioni e risultando – più che scanzonato – insensatamente fanciullesco. Sembra quasi, a voler essere rudi, una storia raccontata da un narratore adulto continuamente interrotto da una bambina che tenta di aggiungere dettagli infantili alla storia, per adattarla alle sue esigenze.
Inutile dire che anche registicamente il film pecca in più punti; se prima ho parlato della perfetta regia delle sequenze di lotta in John Wick e Atomica Bionda è proprio perché qui, invece, troviamo l’opposto. In una coreografia di lotta è necessario che ci sia una certa continuità nel campo e controcampo, così che non avvengano dei piccoli salti visivi tra l’inquadratura in cui – ad esempio – il pugno parte e quella in cui il colpo arriva. Creare un piccolo vuoto, un’ellissi, tra le due rende senz’altro la scena meno fluida e – di conseguenza – meno efficace sul piano visivo. Purtroppo, come anticipato, in quasi tutto Gunpowder Milkshake questa esigenza non viene rispettata, e per circa due terzi del tempo si ha sempre la sensazione che il film sia stato montato male. Un po’ meglio le ultime sequenze, puramente action, che però arrivano tardi e in misura minore rispetto alla moltitudine di scene riuscite di gran lunga peggio.
L’unico vanto del film è Karen Gillan, che – ormai perfettamente capace di vestire i panni della killer spietata dopo Guardiani della Galassia – porta a casa un’interpretazione più che sufficiente. All’attrice, infatti, non è richiesta chissà quale grande espressività, ma è perfetta in tutte le scene in cui – al contrario delle sue doti da killer – deve risultare sgraziata e per nulla sensuale. Se infatti Sam, il suo personaggio, è in grado di eseguire delle coreografie letali per chiunque la incontri, fuori dal corpo a corpo è totalmente priva di grazia e avanza trascinandosi in modo rozzo e scomposto.
Purtroppo però quasi mai un attore solo riesce a salvare un film intero di questo tipo, poiché non è la sua interpretazione ad essere decisiva. Gunpowder Milkshake resta un film mediocre sotto ogni punto di vista; non c’è equilibrio tra azione e commedia, è inutilmente esagerato dal punto di vista estetico e ha delle carenze sul piano registico, che forse è il punto più importante degli action movie contemporanei, come ho scritto a monte. Un film che vale la pena vedere solo se avete davvero esaurito il catalogo di Prime Video e non sapete più come far passare la domenica pomeriggio; ma forse mi sentirei di consigliare comunque una bella e sana passeggiata al suo posto.
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