La figura dell’attore a Hollywod è sempre stata associata a quella del divo, capace di trascinare il pubblico al cinema già solo per la sua presenza. Molto spesso però capita che figure attoriali di spicco decidano di intraprendere anche quella di regista, così da poter raccontare le proprie storie e provare cosa significhi stare dietro la macchina da presa, anziché davanti.
Clint Eastwood è uno dei più lampanti esempi di divo di Hollywood poi spostatosi sempre di più verso le retrovie del set, diventando uno dei più importanti registi americani. Si sono cimentati nella regia anche personaggi illustri come Robert De Niro con il suo Bronx, o recentemente Viggo Mortensen con Falling – Storia di un Padre. Ad unirsi a questa tendenza ora è anche Maggie Gyllenhaal, attrice e sorella del forse più conosciuto Jake, che presenta la sua opera prima sia da regista che da sceneggiatrice: The Lost Daughter, in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha trionfato proprio per la miglior sceneggiatura.
La Figlia Oscura – questo il titolo italiano del film, che riprende quello del libro di Elena Ferrante da cui è tratto – è un esordio molto particolare in quanto non sembra rifarsi a molto del cinema indipendente già conosciuto, ma sceglie una strada tutta sua per raccontare la propria storia. Leda Caruso (Olivia Colman) è una professoressa di Letteratura Comparata Italiana in Inghilterra, che decide di staccare dalla sua vita concedendosi una vacanza di qualche settimana in Grecia, per andare al mare. Sulla spiaggia incontrerà una famiglia numerosa e spesso anche molesta che inizialmente tenterà di evitare, fino a che la piccola figlia della giovane Nina (Dakota Johnson) non si perderà nel bosco limitrofo. Questo scatenerà in lei alcuni ricordi legati alla sua maternità, quando le sue due figlie erano ancora piccole, e la porterà a rubare la bambola della piccola scomparsa, essendo identica a quella che anche lei possedeva e che aveva regalato a loro. Leda riuscirà anche a trovare la bambina di Nina, ma questa continuerà a volere la sua bambola che ormai non si trova più, e che Leda sembra voler tenere per sé.
Se il soggetto può sembrare alquanto straniante e particolare, basandosi tutto sul furto di una bambola da parte di un adulto, è proprio la sceneggiatura a spiccare per la profondità con cui riesce a trattare temi delicati e importanti. Il film infatti parla principalmente della maternità, ma il discorso si può estendere anche al dilemma di dovere/volere fare dei figli, e come queste due cose non siano per forza dei momenti belli o brutti. I ricordi di Leda, che è interpretata nei flashback più lontani dalla bravissima Jessie Buckley (Sto pensando di finirla qui), si alternano tra la nostalgia per l’infanzia delle sue figlie e l’odio provato per loro. Attraversiamo la vita di una giovane donna (ma anche di una coppia) che ha preso troppo sottogamba le responsabilità di avere una famiglia, che l’ha avuta per sentirsi completa ma che in definitiva non era quello che cercava, almeno non in quel momento.
La relazione col suo compagno, il rapporto con le figlie, la carriera universitaria ancora in corso, sono tutti elementi che si intrecciano per la Leda presente alla vista di Nina, giovane madre che rivede percorrere le sue stesse orme, risvegliando traumi latenti da cui la nostra invece voleva solo fuggire. Il bello della protagonista, però, è proprio il suo esser ambigua riguardo le sue figlie, passando dall’amore e le attenzioni più grandi fino al rifiuto e l’odio, in una scena dove non vuole neanche sentirle per telefono dopo giorni che è via di casa. È impossibile, per la regista, riuscire a coniugare la vita libertina da giovane, costellata magari anche di ambizioni di carriera, con quella familiare. Gli ideali conflittuali con il compagno, la mancanza di un vero lavoro che li faccia vivere tranquillamente, sono tutti indizi di un matrimonio che non può andare dove vorrebbe, e quelli che più di tutti ci rimettono sono inevitabilmente i bambini.
La messa in scena della Gyllenhaal è molto claustrofobica: non utilizza mai grandangoli o teleobiettivi ma solo lenti ravvicinate, dove solo uno o massimo due personaggi riescono a stare nell’inquadratura. Questo simboleggia sia la costrizione che la giovane Leda prova nella sua famiglia creata “troppo presto”, ma anche l’inadeguatezza che ogni giorno aumenta nel piccolo paesino greco dove la Leda presente è in vacanza, nel quale “l’indagine” per la bambola scomparsa la fa sentire sempre più male e la disperazione della bambina non fa altro che riaprire vecchie ferite. Inoltre tutti i bambini presentati a schermo sono volutamente maleducati e insopportabili, ma questo non è da intendere come giustificazione per gli adulti a non voler prendersene cura, anzi, è proprio l’opposto. Il punto principale di The Lost Daughter risiede proprio nella sua rappresentazione di un’umanità che dei figli non vuole più farsene nulla, che crescono inevitabilmente male, e che quindi porteranno a crescere generazioni successive basandosi sul modello “malato” che hanno ricevuto.
Il circolo vizioso che si crea però non è neanche mai condannato esplicitamente dalla Gyllenhaal, che si limita a descrivere la realtà che circonda i protagonisti, portando anche a comprendere le ragioni per cui una giovane universitaria poco più che ventenne non voglia occuparsi dei figli, ma vivere ancora la sua vita. La mancanza di esperienza personale, fatta ormai sempre più virtualmente, e l’edonismo e l’egoismo crescenti, rendono impossibile la creazione di una famiglia “sana”, essendo ormai un valore passato in secondo piano, ma a cui comunque nessuno sembra voler rinunciare.
I figli saranno sempre lo status symbol di un matrimonio felice, il punto di arrivo “tradizionale” di una famiglia “completa”, ma il dramma della generazione descritta dalla regista è proprio questo: neanche sulla vita si riesce a prendere una decisione netta e una persona sarà sempre traviata da quello che ha vissuto. Pur non volendo, il passato determina quello che tramandiamo, e il circolo non potrà mai essere spezzato. La figlia perduta non può che essere Leda stessa.
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