«Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza.»
Un isolotto che potrebbe ricordare una Nantucket letteraria o una Innsmouth meno deforme. Traghetti come unici mezzi per raggiungere il continente. Un disastro ambientale che ha reso la pesca un lavoro complicato e poco conveniente. Benvenuti a Crockett Island.
Mike Flanagan, dopo le mura di Hill House e Bly Manor, va ad allargare il suo microcosmo horror con Midnight Mass, nuova serie Netflix composta da 7 episodi. Non fatevi ingannare dall’aggiunta di casupole e personaggi, l’ambientazione è la più claustrofobica che l’autore abbia mai ideato, una vera e propria prigione tribale dalla quale non c’è via di fuga. Ce lo racconta Riley Flynn (Zach Gilford), uno dei personaggi principali, appena uscito di galera a inizio serie: riportando alla luce la massima danese secondo la quale la libertà è la vera dannazione dell’anima, lamenta il malessere di essere tornato a casa, di non avere più un obiettivo, di non avere più uno scopo. Scopo che in prigione era chiaro: dormire, mangiare, arrivare al giorno dopo, aspettare la scarcerazione. Non capisce che, di fatto, si è solo trasferito in un’altra prigione, una più ingannatrice e spaventosa.
L’impianto della storia è un classico: un nuovo parroco arriva sull’isola per sostituire il vecchio e malandato Monsignor Pruitt e, da quel momento, l’isola e i suoi abitanti assistono a una serie di miracoli e prodigi. Quello che si apprezza sempre di Flanagan è la sua capacità di creare atmosfera e di spaventare con il “non visto”, secondo l’antica regola dello storytelling che ci rammenta che suggerire è sempre più efficace che mostrare. E in quanto a creare immagini piacevoli e cariche di significato, che è la base del cinema (e quindi delle serie TV), anche stavolta Flanagan non delude: un baule che risponde a una debole bussata, un padre incerto che stringe la mano al figlio e gli dà una sofferente pacca sulla spalla, una sagoma col fedora che corre sulla spiaggia durante una terribile tempesta. Qui sta tutta la magia dell’autore, in questi piccoli e più o meno significativi momenti studiati a puntino.
Il mondo creato, proprio come una bolla nella quale è tutto, costantemente, sotto controllo, ci viene mostrato attraverso subdoli piani sequenza che rimbalzano tra i vari personaggi e inquadrature dall’alto, come se non si battesse ciglio senza che la divinità suprema, l’autore, che guarda dall’alto, lo sappia. Nonostante la finezza e l’attenzione, però, Midnight Mass è la serie meno spaventosa delle tre proposte finora, e lo dico tenendo comunque presente che la paura è soggettiva. Siamo sempre stati abituati a non subire l’infame pratica del jumpscare quando si parla di Flanagan, ma piuttosto a farci spaventare con atmosfere, suoni e ombre. Questa volta però si privilegiano il rapporto tra i personaggi e le lunghe conversazioni decentrate, togliendo aria ai momenti spaventosi che sono, di fatto, molto pochi.
C’è soprattutto un problema strutturale che, a differenza delle produzioni precedenti, rischia di rendere la visione un po’ faticosa: la prima metà della serie si regge su un plot twist che è abbastanza telefonato, complice una messa in scena abbastanza ingenua che non sfuggirà a un occhio attento. Proprio qui, Flanagan si permette di mostrare troppo e inizia a sdrucciolare. Superata poi la metà della serie, il focus si sposta su altro, ma con meno misteri e tutto già alla luce del sole.
Con così tanti temi a disposizione tra il bigottismo, il contrasto tra magia e religione, la fede come fattore socio-culturale e pulsione alla salvezza a tutti i costi, mi viene da chiedere come sia possibile che Midnight Mass abbia dei momenti in cui preferisce ristagnare, depistare e dilatare la narrazione, portando via lo spettatore dalla verità che noi, esseri umani, lupi siamo e lupi rimaniamo.
Discorso assolutamente a parte va fatto per l’ultimo episodio, il settimo, che invece conquista in toto ed è forse il migliore mai girato e scritto da Flanagan. Senza scendere in dettagli, c’è davvero tutto ciò che si possa desiderare, complice la consapevolezza che, con questo autore, non abbiamo mai l’orrore fine a sé stesso, mai un becero tentativo di spiazzare e schifare, ma sempre una meravigliosa metafora di qualcos’altro, come la narrazione di genere vorrebbe. Con il finale di stagione tutto va al suo posto, tutto diventa luminoso; non con risposte facili, intendiamoci, perché in questo tipo di storia non possono esistere, ma solo attraverso un grande, sincero, atto di fede, di comprensione e di ammenda.
Midnight Mass è sicuramente una spanna sopra tante altre produzioni Netflix, abbandonando anche la solita estetica trita e ritrita in cambio di qualcosa di più autoriale, ma purtroppo non ha la dolcezza di Hill House o l’eleganza di Bly Manor. Rimane comunque un titolo interessante, che ci consegna uno spaccato di (dis)umanità perspicace e fin troppo reale.
Un ringraziamento speciale a Netflix
https://www.youtube.com/watch?v=y-XIRcjf3l4
Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.