L’approccio alla Fase 4 del Marvel Cinematic Universe è stato diverso rispetto a quello delle prime tre, e non solo per via della pandemia ancora in corso che ha scombussolato l’ordine delle uscite. Con la conclusione del filone “principale” – possiamo dirlo – degli Avengers, Kevin Feige ed i suoi collaboratori si stanno impegnando per provare ad espandere in ogni modo l’universo che hanno creato, a partire dalle serie tv su Disney+ fino a nuovi film che affrontano territori ancora inesplorati, come Shang-Chi o il qui presente Eternals.
Il film, diretto dalla neo-premio Oscar Chloé Zhao, ha da subito attirato l’attenzione di molti proprio per il suo coinvolgimento, facendo sperare sia in una svolta più autoriale che in una buona rappresentazione del lato più “cosmico” della Marvel, ben noto ai fan dei fumetti ma finora esplorato solo in parte sul grande schermo.
Gli Eterni sono dei personaggi fumettistici creati da Jack Kirby nella seconda metà degli anni ’70, quando a fine carriera tornò a lavorare per la Marvel e questa gli commissionò un lavoro simile al Quarto Mondo che aveva già creato in DC. Nella trasposizione cinematografica diretta dalla Zhao questi personaggi vengono introdotti come creature di Arishem, un Celestiale che ha dato la vita all’universo come lo conosciamo. Arishem ha creato gli Eterni per combattere i Devianti, predatori alieni che danno la caccia alle creature intelligenti e senzienti.
A bordo dell’astronave Domo, una squadra di dieci Eterni viene inviata sul pianeta Terra nel 7000 A.C. per vegliare sugli umani estirpando i Devianti, ma con l’obbligo di non interferire mai con i loro conflitti e il loro avanzamento tecnologico. Facciamo quindi la conoscenza di Ajak (Salma Hayek), Ikaris (Richard Madden), Sersi (Gemma Chan), Kingo (Kumail Nanjiani), Thena (Angelina Jolie), Gilgamesh (Don Lee), Makkari (Lauren Ridloff), Sprite (Lia McHugh), Phastos (Brian Tyree Henry) e Druig (Barry Keoghan).
La storia del film è ambientata ai giorni nostri, dopo il Blip, con gli Eterni che ormai vivono tra gli umani in attesa da 500 anni dell’ordine di rientrare sul loro pianeta madre, Olympia, così da poter effettivamente terminare la loro missione. L’arrivo improvviso di un nuovo Deviante biologicamente più evoluto, dopo secoli che non se ne vedevano, mette in moto Sersi, Ikaris e Sprite nel cercare il resto della squadra in giro per il mondo, così da riuscire a fronteggiare questa nuova minaccia. Durante la ricerca la pellicola gioca spesso con i salti temporali, per mostrare anche cosa hanno fatto i personaggi sulla Terra durante i secoli, e per spiegare più facilmente allo spettatore i rapporti tra di loro. Purtroppo, però, una buona base come questa non porta automaticamente ad un buon film.
Partendo dal concetto principale, poteva essere molto interessante raccontare come queste semi-divinità potessero trovarsi alla base delle varie culture che hanno popolato la Terra – avendo tutti nomi provenienti da quei modelli: Sersi/Circe, Thena/Atena o Gilgamesh che ha proprio lo stesso nome – mentre il gruppo rimane sempre unito e solo in una scena si intravede una “narrativa” epica raccontata al popolo. È un peccato non aver spinto principalmente, soprattutto nei flashback, su questo elemento, che avrebbe potuto aggiungere molta profondità a tutto l’Universo Cinematografico Marvel, ponendolo sotto una luce diversa. L’ampio respiro che il film si concede, però, non riesce neanche a caratterizzare egregiamente tutti e dieci i protagonisti a schermo, sacrificandone la metà a puri stereotipi, mentre si lavora, sempre su base stereotipica, ad un minimo approfondimento degli altri.
Gli Eterni sono etnicamente, sessualmente e sociologicamente variegati. Ci viene presentato un eroe sordo (Makkari), assistiamo a un bacio omosessuale e per la prima volta addirittura vediamo una scena di sesso. Gli intenti sono ammirevoli, ma inevitabilmente lasciano l’amaro in bocca per il loro mancato sviluppo, essendo relegati a singole scene di pochi secondi. Anche il personaggio di Makkari sembra quasi un contentino aggiunto per “fare numero” nella lista dell’inclusività, essendo probabilmente il personaggio meno sviluppato del gruppo, come se la sua caratteristica fosse l’unico motivo di interesse. Il problema principale nello sviluppo dei temi e della narrativa di Eternals è che, nell’idea di base, probabilmente voleva essere una svolta matura ed epica del Marvel Cinematic Universe, partendo anche – e questa è una cosa lodevole – in modo staccato dal resto, senza quasi nessun collegamento. In realtà durante il dipanarsi della storia il film non si rivela altro che l’ennesima copia carbone del modello ormai collaudato.
La contrapposizione tra nascita ed esperienze, il diritto di scegliersi la propria famiglia e la propria vita, sono tematiche già sviscerate ampiamente nel MCU, e sfortuna vuole che siano proprio la base dei film migliori dell’intero progetto, Guardiani della Galassia vol.1 e vol.2, che nonostante la loro narrazione surreale e demenziale riescono incredibilmente a farsi prendere più sul serio di altri prodotti. Eternals infatti ha la pretesa di voler raccontare una zona oscura dell’universo Marvel, fatta di creature cosmiche dai poteri divini, portando nuova linfa al franchise, ma nelle sue 2 ore e 40 di durata non riesce a dare la giusta enfasi a nessuno dei momenti a schermo. Nonostante il susseguirsi degli eventi sia molto serrato, tra digressioni e colpi di scena, il film mantiene per tutta la sua durata la stessa intensità. Che i personaggi stiano piangendo la morte di un caro, siano impegnati in una battaglia o stiano stemperando l’atmosfera con una cena tra amici, il film non riesce a caricarsi emotivamente. Neanche la colonna sonora di Ramin Djawadi è d’aiuto, dal momento che l’orchestrazione enfatica e banale composta rende ancora di più il film una linea piatta, che procede incessantemente come un bulldozer per arrivare alla fine e terminare il suo compito.
In quanto alla regia, come già accennato la presenza di Chloé Zhao faceva sperare in una deriva più autoriale, ma Eternals in realtà è girato come un qualsiasi film Marvel dall’alto numero di personaggi, senza neanche i guizzi tecnici che rendevano così belle le riprese naturalistiche di Nomadland. I lunghi piani sequenza caratteristici della Zhao qui fanno posto al solito montaggio con scene che possono durare massimo 10 secondi, e anche le inquadrature che più vorrebbero richiamare l’immaginario della regista, come i totali o i grandangoli in controluce durante la golden hour, il modo di riprendere i personaggi “alla Malick” o l’immaginario più western, sono relegati a pochi momenti, inseriti più per gaudio del pubblico, che può così trovare la sua “firma” fasulla, che per vero interesse artistico. Sono di poco conto anche le scene d’azione, che un minimo riescono ad essere ispirate nei combattimenti uno contro uno, mentre nelle battaglie più concitate il montaggio prende il sopravvento, iniziando a cambiare la prospettiva in modo troppo rapido per far capire effettivamente cosa stia succedendo.
Purtroppo, in questo caso, il polso della regista si è piegato fin troppo facilmente a quello dell’industria che l’ha ospitata – vi ricordo che in Nomadland si vedeva un cinema chiuso che doveva proiettare Avengers – diventando solo una prestanome per attirare più gente al cinema. Ovviamente il film non è completamente da buttare, ma trova i suoi punti di forza in ciò che qui avrebbe dovuto avere meno rilevanza: la comicità. Infatti è incredibile come, per la prima volta in un film non scritto da James Gunn, i dialoghi tra i personaggi, brevi e didascalici nei momenti più seri, esplodano durante quelli comici con soluzioni che non sembrano mai forzate o fuori luogo per il contesto. Anche il comic relief del film, l’Eterno Kingo, che si è nascosto tra gli umani diventando una star del cinema di Bollywood, trova nella sua follia una dimensione divertente e in linea col prodotto, riuscendo a stemperare l’atmosfera nei momenti giusti e a far digerire un pasto che altrimenti sarebbe stato fin troppo indigesto.
La recitazione dei vari protagonisti tutto sommato è molto buona – eccezion fatta per Angelina Jolie, che riesce a sembrare plasticosa anche in un film della Marvel, oltre ad avere il personaggio più inutile e problematico – con i picchi stilistici del buon Don Lee, attore coreano molto dotato e già presente in cult del suo paese come Train To Busan e The Gangster, The Cop, The Devil. Anche Richard Madden, Gemma Chan e Lia McHugh svolgono egregiamente il loro lavoro, pur non potendo contare sempre sullo stesso livello di scrittura. Molte scelte compiute dai personaggi verso la fine, infatti, potrebbero risultare insensate o forse solo troppo affrettate per comprendere fino in fondo la loro psicologia, che però doveva essere il focus centrale dati i 2/3 precedenti della pellicola.
In generale la sceneggiatura, scritta a dieci mani – forse un po’ troppe – arranca nell’arrivare alla fine e delude nello svolgimento della premessa iniziale, con un colpo di scena a metà film prevedibile fin dai primi momenti, e dei risvolti narrativi molto ispirati (per non dire plagiati) a Jupiter delle sorelle Wachowski, film sicuramente non perfetto ma che dalla sua aveva delle idee geniali. Il finale inoltre distrugge completamente qualsiasi speranza di “autorialità” data dall’incipit, più che altro perché si fa dimenticare ai protagonisti un elemento principale, si genera l’aftermath degli eventi, dopodiché si fa tornare quell’elemento nell’ultimo minuto riaprendo completamente la narrazione. Anche qui il bisogno di serialità ha prevalso su un’idea che, ripeto, poteva generare risvolti quantomeno interessanti.
Eternals è un film mediocre in ogni suo aspetto, che non riesce a brillare neanche negli effetti visivi, spesso più che posticci soprattutto nei Devianti e nelle scene dove l’ambiente è completamente ricostruito al computer. Solo nei poteri dei personaggi si nota una certa qualità, ma questo non giustifica il budget di circa 200 milioni di dollari di cui il film ha disposto. La mera linea comica non può sopperire a un film che vorrebbe essere “rivoluzionario” per poi cadere continuamente nei soliti cliché, non solo quelli dei cinecomic Marvel, ma di tutto il genere d’avventura, senza riuscire né a tratteggiare delle tematiche in modo maturo né a raccontare una storia di puro intrattenimento in grado di essere appagante, emozionante e originale.
Se questo è il trattamento che i Marvel Studios riservano ai registi più acclamati, mi viene il terrore a pensare a cosa possa succedere a Sam Raimi con il prossimo Doctor Strange. Spero solo che si trovi una direzione più luminosa per questa Fase 4, che fatica a decollare e conta una scarsità d’idee come mai prima d’ora. Sono rimasto deluso ma, incredibilmente, non sorpreso.
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