Nel costante revival di mode e opere del passato, questo può essere considerato l’anno dove a farla da padrone sono stati i grandi scrittori di fantascienza degli anni ’50/’60. Se al cinema il film più atteso era l’adattamento di Dune di Frank Herbert da parte di Denis Villenueve, in televisione si aspettava al varco Apple TV+ con il suo progetto più ambizioso: la trasposizione, sotto forma di serie TV, del Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov da parte dello showrunner David S. Goyer. Le opere di partenza di entrambi i progetti sono due capisaldi della fantascienza, che hanno influenzato pesantemente tutto l’immaginario di genere a venire, e sono inoltre affini per temi trattati, anche se sviluppati in modo diametralmente opposto.
Il concetto alla base di Fondazione è molto semplice: nell’anno 21000 circa l’Impero Galattico regna incontrastato, garantendo la pace nell’universo. Il matematico Hari Seldon (Jared Harris), grazie ai suoi, riesce a creare una nuova scienza, la Psicostoria. Questa, tramite calcoli complessissimi, riesce a predire gli avvenimenti delle grandi civiltà e popolazioni, e conduce lo scienziato alla scoperta dell’imminente caduta dell’Impero Galattico e il ritorno, per l’universo, ad oltre 30000 anni di oscurità. Il suo piano è quindi quello di creare una Fondazione – in realtà “foundation” qui starebbe più per “fondamenta” – di tutte le conoscenze umane, per permettere così una riduzione del periodo di questo nuovo “medioevo” a soli 1000 anni, garantendo una rinascita della civiltà in tempi molti più brevi.
Il Ciclo delle Fondazioni è una di quelle opere da sempre considerate infilmabili – al pari di Dune – per la sua mole infinita di informazioni e personaggi, i quali possono scomparire e riapparire 300 pagine dopo, come invece può accadere di voltare pagina e ritrovarsi catapultati di 500 anni nel futuro. I personaggi nell’opera di Asimov sono solo un pretesto, perché i veri protagonisti sono la scienza e la cultura umana, la politica ed i movimenti sociologici che portano a determinate scelte. L’azione del singolo non è nulla in confronto a quella della massa, e la sua narrazione quasi fanta-storiografica rende impossibile la trasposizione sullo schermo senza un ovvio lavoro di adattamento, che in questo caso è stato affidato a David S. Goyer. Quest’ultimo è un regista di poco conto e un mediocre sceneggiatore, che annovera nel suo curriculum Ghost Rider: Spirito di Vendetta e Batman v Superman: Dawn of Justice, e che si può dire essere riuscito nel suo lavoro solo con Dark City di Proyas e Batman Begins di Nolan.
Il lavoro svolto su Fondazione è secondo me insufficiente per vari motivi; nonostante dei valori produttivi elevati ed una solida base di partenza, è proprio nel momento in cui ci si allontana dal materiale originale, perdendo tutti gli spunti interessanti di Asimov, che la serie inizia a perdere colpi. La prima puntata mostra molto bene le carte in tavola e rimane fedele ai temi di base, pur cambiando alcuni dettagli – Gaal Dornick (Lou Llobell), l’aiutante di Seldon, ora è una donna proveniente da un pianeta retrogrado e religioso che uccide gli scienziati – ma è dalle successive che qualcosa inizia davvero a stonare. La trasformazione di genere colpisce tutti i personaggi principali della serie, creando una ridondanza di donne afroamericane caratterizzate anche allo stesso modo, e relegando l’unico uomo bianco nel ruolo del malvagio imperatore patriarca (Lee Pace) sempre sopra le righe e nevrotico, cadendo così in un vortice di politically correct raramente visto prima. Ma se su questi elementi si può (forse) soprassedere, non si può rimanere impassibili di fronte allo sviluppo da pura telenovela che è stato dato alla trama.
La messa in scena spinge moltissimo sulle relazioni amorose dei personaggi, tentando anche di costruire un rapporto con lo spettatore, ma questo è totalmente impossibile se nel giro di due puntate i personaggi hanno già consumato tutto il ciclo della loro relazione, dalla conoscenza alla separazione, senza creare alcun tipo di empatia. I 4 punti di vista che si alternano durante le puntate sono troppo rapidi e carichi di informazioni per soffermarsi anche sulle storie d’amore, sui drammi interiori di personaggi che non hanno personalità, ma si muovono solo in base alle necessità di sceneggiatura. È impossibile conciliare il tema dello spostamento delle grandi masse di persone ed il loro cambiamento con la storia dei singoli, ma sembra che a Goyer questo non sia importato. Nelle 10 puntate che compongono questa prima stagione si viene costantemente annoiati dalle dinamiche classiche delle soap opera, tra triangoli amorosi, cliffhanger inesistenti e piani segreti telefonatissimi, che smorzano completamente i toni del racconto originale, che dovrebbero essere un minimo epici.
Il cambio di tono si nota anche in come vengono proposti determinati temi come l’inclusività e l’abbattimento del passato, tutti spunti potenzialmente interessanti ma trattati come farebbe qualsiasi neoliberale di Twitter. Non mancano infatti scene dove la protagonista, una giovane donna piena di arroganza, “blasterà” i vecchi scienziati “boomer” bianchi, anche con una certa spocchia, su dinamiche come la scelta della cultura da preservare, spingendo per salvare ad esempio ogni tipo di metodo per contare (in base 10, 8, eccetera) perché nell’universo serve diversità. Ponendosi in questo modo, tutte le battaglie vengono banalizzate e portate su un piano che non è più neanche quello ideologico, ma quello del litigio al bar (o sui social), perdendo completamente la riflessione di Asimov sulla necessità della cultura, sul perché determinati popoli agiscono in modo diverso. Volendo inculcare una visione prestabilita e moderna, si tradisce completamente lo spirito dell’opera, che magari era da rimodernare in alcuni tratti – come la totale assenza di personaggi femminili – ma senza stravolgere completamente gli aspetti più importanti.
Un altro punto che mi sento di criticare a Fondazione è la totale mancanza di abilità nella gestione del budget per la resa visiva. Se alcune scenografie sono azzeccate e molto pregnanti, così come anche molti costumi, in alcuni momenti si scade nel trash involontario. Stona tantissimo, ad esempio, la pettorina di plastica blu dell’imperatore, totalmente priva di dettagli e presa direttamente da Spy Kids 3, così come i vestiti della popolazione di Anacreon, praticamente dei giocatori di ruolo dal vivo con l’armatura di cuoio comprata al negozio. Lo stesso si può dire per gli effetti speciali in CGI, che vengono spesso ben sfruttati quando rappresentano lo spazio siderale, ma crollano rovinosamente quando vengono mostrate le astronavi in movimento sui pianeti. Anche gli oggetti di scena il più delle volte non sono altro che dei normali oggetti di uso comune, riconoscibilissimi, ma pitturati e messi fuori contesto per dar loro un tono “alieno”.
La regia è spesso traballante, e non bastano alcuni shot in controluce, magari fotografati in teal and orange, per fare una buona fotografia. Soprattutto nelle scene d’azione delle puntate centrali, la macchina da presa non sa mai veramente dove posizionarsi, e per sopperire a questo troviamo una sovrabbondanza di inquadrature montate rapidamente che in più occasioni scavalcano anche il campo, rendendo confusionari tutti i combattimenti. L’ora abbondante di durata di quasi tutti gli episodi poi non giova a un ritmo che quasi sempre diventa soporifero per l’eccessiva quantità di cliché televisivi, che rendono la visione ancora più stancante e sempre più lontana da quello che Fondazione dovrebbe veramente trasmettere. Anche il design della tecnologia è veramente discontinuo e poco ispirato, passando dal minimalismo retro di Simon Stalenhag al classico sci-fi generico dalle curve tonde.
Purtroppo Fondazione perde il suo fascino molto presto, e solo un paio delle sue 10 ore circa di visione possono dirsi davvero riuscite e puntuali su quello che si voleva raccontare. Il resto, come molto spesso accade per i prodotti televisivi, non è altro che un allungamento del brodo che fa terminare la stagione a neanche metà del primo libro, annoiando terribilmente per i suoi continui filler e non avendo un briciolo di personalità artistica, ma rivelandosi solo per quello che è: mediocre televisione. Un prodotto che sfrutta il celebre nome di Asimov per farsi portatore di battaglie universali nel modo in cui gli utenti social sono abituati, tradendo completamente lo spirito di un genio della fantascienza che, oltre 70 anni fa, riusciva a parlare delle stesse cose senza infarcirle di retorica e stimolando molto più il cervello che la pancia. Ma è una storia che prima di tutto parla di collettività, dell’unione di popoli sotto l’unico vessillo della cultura, e questo non può convivere nel mondo moderno fatto di individualismo estremo, dove anche una battaglia per i diritti diventa nient’altro che un vanto personale. Se questa deve essere la Fondazione del mondo a venire, preferisco il fondamentalismo messianico di Dune.
Un ringraziamento speciale ad Apple TV+
Asimov era uno scienziato e come tale scrisse di scienza, non solo in quanto matimatica, ma anche sociologia, quali strumenti per la conoscenza e quindi la storia dell’umanità. Questa serie è invece incentrata sull’individualismo di alcuni personaggi quasi tutti alle prese con premonizioni e visioni, che sono cosa ben distanti dalla scienza. Nel complesso è una serie di fantascienza godibile a patto di non pensare a quello che dovrebbe essere.
Secondo me invece fallisce proprio come prodotto audiovisivo, non solo come trasposizione o serie di fantascienza. Di 10 puntate 8 sono praticamente incentrate su “piccoli problemi di cuore” quasi fosse una soap opera e con cliché esagerati (tutta la storyline dell’imperatore adolescente ad esempio). Poi hai ragione a dire che è una serie incentrata sull’individualismo e le profezie, e questo non può che portare a una scrittura davvero mediocre. Se vuoi vederti una bella serie di fantascienza ti consiglio Raised By Wolves, di cui a breve dovrebbe uscire anche la seconda stagione.
Mmmm, “Raised By Wolves”. A parte bravura di Ridley Scott, a leggere le recensioni è ben più infarcita di spiristismo, dualismo fede/religione per cui non penso sia il mio genere, oltre al fatto che Sky non è nel mio carnet (sperando che non ci finiscano Star Trek e Picard con Paramount Plus..). Grazie per le recensioni 😉
..dualismo fede/scienza..
Ho finito adesso di vedere la serie, con enorme fatica devo dire.
Conosco la Fondazione di Asimov a memoria e ho abbandonato al secondo episodio la speranza di vederla su schermo.
Anche se non si pensa all’opera da cui prende il nome Fondazione non funziona, avrebbero dovuto spendere meno soldi per gli effetti speciali e qualcosa in più per la sceneggiatura.
Il problema infatti secondo me non è tanto la fedeltà agli eventi, quanto proprio allo spirito dell’opera originale. Questa serie è, proprio come dici tu, tutto fumo e niente arrosto, essendo ancorata a mille cliché della narrativa neanche fantascientifica, facendola diventare una soap opera nello spazio. Non funziona non solo come adattamento di Asimov ma proprio come prodotto a sé, che è ancora peggio.
Delusione. A parte gli sconvoglimenti temporali (Raych che uccide Seldon mentre nei libri muore su Santanni con la moglie e il figlio piccolo). I scambi di sesso dei personaggi e quella “cacata” dell’imperatore clonato, di Eto Demerzel che oltre a cambiare sesso diventa seguace di una religione, lui che (ricordiamo che è un robot, il mitico Daneel Oliwaw) e quella ridicola posa con le mani sulla panza tipo “ho preso le cozze a pranzo è forse non erano freschissime”!! Yugo era un matematica (ex cistermista) morto prima che la fondazione fosse iniziata, cosa mi significa farlo diventare un guerriero..