Per chi non lo conoscesse, il cinema di Leos Carax è sempre stato volto alla sovversione e la distruzione dei generi con i quali il regista si è confrontato durante la sua carriera, iniziata nel 1984 con Boy Meets Girl, garantendogli subito l’epiteto di “enfant terrible” del cinema francese. Nella sua ultratrentennale carriera ha però diretto solo 6 film, complici le miriadi di divergenze artistiche coi produttori ed il flop al botteghino del film francese all’epoca più costoso di sempre, Gli amanti del Pont-Neuf. La sua carriera si era infatti fermata nel 1999 con Pola X, per riprendere 13 anni dopo col capolavoro Holy Motors, ed ora, dopo altri 9 anni, finalmente possiamo assistere ad un’altra esperienza visiva di Carax.
Annette nasce dalla collaborazione del regista francese con il duo musicale Sparks, dei fratelli Ron e Russell Mael, attivi fin dagli anni ’70 nella scena new wave americana. La storia era infatti nata come album del gruppo, espansa poi in sceneggiatura da Carax, che ha deciso di portarla in scena come musical, genere che Carax ha sempre apprezzato, e che aveva inserito anche in una scena del precedente Holy Motors. Altra particolarità della pellicola è anche il fatto di essere la prima in lingua inglese per il regista, avvalendosi di attori internazionali come Adam Driver, Marion Cotillard e Simon Helberg (sì proprio lui, Howard di The Big Bang Theory).
So, may we start? – Leos Carax nella prima scena del film
La storia segue la vita di coppia di Henry McHenry (Adam Driver), comico teatrale famoso in America con il suo spettacolo scorretto e irriverente “The Ape of God“, e Ann Defrasnoux, attrice teatrale d’opera seria e impegnata, amata da pubblico e critica. La loro relazione è costantemente sotto i riflettori dati i caratteri “scenici” molto diversi e agli antipodi – anche allegoricamente, seguono i due stilemi della filosofia nietzschana di spirito dionisiaco e apollineo, e a livello artistico sono le incarnazioni dell’arte greve e popolare (commedia), e di quella elevata e colta (tragedia) – ma i due sembrano vivere una vita normalissima, cantando “we love each other so much” mentre passeggiano mano nella mano. I dissapori tra i due inizieranno ad emergere dopo il sempre più rapido declino della carriera di Henry, e la nascita della figlia Annette, che svelerà la vera natura di entrambi.
Già dai titoli di testa, con la voce di Carax in sottofondo, si capisce subito l’intento metacinematografico del regista che, come per Holy Motors, ritaglia una piccolissima parte per sé stesso all’inizio del film. Se nel film precedente, che rifletteva principalmente sul cinema e sul ruolo dell’attore, si rappresentava come proiezionista di una sala cinematografica, in Annette lo vediamo come tecnico del suono in uno studio di registrazione. La particolarità della scena iniziale è inoltre quella di continuare a sfarfallare visivamente, mostrando anche a schermo un flusso sonoro, finché nella sala di registrazione tutti gli strumentisti non sono pronti a suonare, dopo aver accordato gli strumenti e preparato gli effetti. Qui il suono e la musica valgono chiaramente quanto le immagini.
Is nothing sacred to you? – Ann Defrasnoux a Henry McHenry
Ma cos’è che il regista va a distruggere in questo film? È l’impianto base del musical che subisce l’attacco più profondo. Se infatti l’ouverture iniziale si rivolge direttamente al pubblico, con i personaggi che ci fanno l’inchino come a teatro, il resto delle canzoni diventa quasi un accompagnamento al film. Qui il cantare viene paragonato al parlare, e senza particolare verve emotiva, spesso ripetendo anche lo stesso concetto più volte. È un film musicale e quindi la musica dev’essere sì al centro della vicenda, ma smorzando e disattendendo tutte le nostre aspettative sul classico musical, senza mai veri momenti alla “Singin’ in the Rain“, dove i personaggi dichiarano i loro sentimenti e lo spazio filmico diventa il loro parco giochi. L’unico personaggio che canta di sé stesso è Il direttore d’orchestra (Simon Helberg, che qui è davvero impressionante), ma il suo turbamento emotivo non viene cantato per il gusto dell’espressione, come nei classici musical, bensì direttamente al pubblico.
Il mondo fittizio creato da Leos Carax è consapevole di essere una tragedia musicale, e gli stessi personaggi sanno di essere tali, spesso rivolgendosi allo spettatore e mescolando senza problemi parole e canto, pur riconoscendo i momenti di musica all’interno della pellicola. È un film che inoltre vuole riflettere ancora una volta su cosa sia davvero considerabile arte, ma soprattutto dove si ponga il limite tra opera e autore. Nelle fasi finali del film, infatti, un Adam Driver ormai oltreuomo nietzschano viene rappresentato con la stessa mise di Carax. L’abisso di cui parla Henry e al quale si è affacciato, è quello dell’identificazione con la propria arte, impossibilitato a staccarsene e costretto a portarla avanti anche in modi “non convenzionali”.
Stop watching me! – Henry McHenry allo spettatore
Anche l’opinione pubblica è un tema fondante di Annette, che gioca molto con la finzione e la realtà, grazie anche al genere in cui è inserito, spesso ricco di elementi fantastici, per sviare lo spettatore. Spesso infatti verranno mostrate scene in cui anche i due protagonisti sembrano fantasticare, ma allo stesso tempo osservare concretamente le motivazioni e le cause che hanno spinto l’altro a compiere determinate azioni. Tuttavia queste scene non verranno mai contestualizzate, lasciandole volutamente ambigue. Soprattutto con la figura di Henry, comico scorretto e provocatorio, è facile credere che la sua personalità sia quella del suo personaggio, quindi è anche facile montare una versione della realtà che lo rispecchi. Quante volte abbiamo detto: “quell’attore fa sempre ruoli così gioiosi e dolci, dev’essere una persona felice e buona anche nella vita vera” senza conoscere davvero la persona? Uno dei tanti esempi può essere il compianto Robin Williams.
Inevitabilmente siamo portati a giudicare il comportamento di una persona in modo superficiale, e un film di solito fa sempre questo: ci pone una situazione in cui empatizzare col protagonista e disprezzare l’antagonista, seguendolo nel suo viaggio e facendoci immedesimare nella storia. Qui non c’è nulla di tutto ciò, si spinge volutamente sul fatto che non possiamo comprendere le vere motivazioni delle persone, e solo Annette, una volta staccatasi dai genitori (è molto interessante il modo in cui viene proprio rappresentata in scena prima di questo momento), può vedere la verità, sia perché ha vissuto la vicenda dall’interno e poi se n’è separata, sia perché è una bambina, e non ha filtri morali di alcun tipo. Proprio la mancanza di questi filtri è il motore principale dell’ultima parte dell’opera.
I take this oath. Forgive you both? Or forget you both? – Annette nell’ultima canzone Sympathy for the Abyss
La regia di Leos Carax è stupenda – non a caso vincitrice del premio a Cannes – ed è incredibile come riesca a far trasparire tutto il suo messaggio e la sua idea di fondo anche solo dai movimenti di macchina e la direzione degli attori. La scena in cui Simon Helberg canta la sua seconda canzone mentre dirige l’orchestra, con la telecamera che continua a roteargli intorno senza sosta, è uno dei picchi più alti del film. Lo stesso vale per il secondo spettacolo di Henry, dove la fa da padrone un piano sequenza quasi fermo di 10 minuti, in cui la prova attoriale di Adam Driver è forse la migliore della sua carriera, impersonando – nello spettacolo – sia lui che la moglie, e facendoci venire il dubbio che quanto sta raccontando al pubblico sia vero o falso. Anche noi, quindi, cadiamo vittime di quel giudizio dato solo dal tipo di opera che si propone, incarnandola in lui.
Le invenzioni visive sono infinite, dalla scena iniziale, passando per la piccola Annette, fino alla rappresentazione teatrale di Ann, tutto viene messo in scena nel modo più originale possibile, lasciando di classico solo gli archetipi dei protagonisti, che però non sono “template” di personaggi già visti in precedenza, ma l’incarnazione stessa di quel tipo di narrazione.
Annette è un’esperienza filmica magnifica e intellettualmente stimolante, un musical assolutamente atipico, ascrivibile perfettamente però nella poetica del regista francese. Nelle 2 ore e 20 di durata ci si ritrova inondati da musica, immagini, sottotesti più o meno espliciti – che sicuramente richiedono più di una visione, cosa che farò il prima possibile – entrando di diritto nella top assoluta dei film usciti quest’anno in sala. Se volete assistere a qualcosa di nuovo, che spezza volutamene le regole per crearne delle nuove, andate al cinema e godete di quest’esperienza magnifica.
Un ringraziamento speciale a I Wonder Pictures
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