Correva l’anno 1998 quando Cowboy Bebop esordiva nelle televisioni giapponesi, lasciando un segno indelebile nella storia dell’animazione. L’atmosfera cyberpunk, condita però di una serie di riferimenti piuttosto nostalgici e uniti ad una colonna sonora davvero pazzesca, hanno reso questa serie indimenticabile. La trama si svolge nel 2071 e si concentra sulle avventure di una ciurma di cowboy dello spazio; il loro lavoro è dare la caccia ai malviventi, ma questa è solo la superficie della storia.
I 26 episodi dell’anime, seppur a svolgimento verticale, offrono una trama ricca di dettagli che rendono prezioso ogni singolo episodio. Ci si addentra molto presto nel passato dei rispettivi protagonisti: Spike, Jet, Faye e Edward. Esclusa la bambina, infatti, ognuno di loro ha un pesantissimo fardello, grazie al quale molto spesso l’autore ha esplorato temi significativi come la solitudine, toccando a volte anche corde piuttosto alte dell’esistenzialismo. Un progetto forse non unico nel suo genere, ma che senz’altro si è conquistato un posto nel cuore di tutti gli avidi spettatori di animazione giapponese.
Proprio per l’attaccamento che ancora oggi il pubblico dimostra nei confronti di Cowboy Bebop, Netflix ha pensato bene di proseguire il suo progetto di adattare gli anime più famosi in versione live-action andando a toccare anche questo mostro sacro. Un’idea che fin da subito è sembrata azzardata, soprattutto considerando l’esito di lavori precedenti simili. La speranza però è sempre l’ultima a morire, e il desiderio di vedere ancora una volta il Bebop in azione era così forte che molti hanno pensato di voler dare una possibilità alla serie Netflix.
Forse però, arrivati a questo punto, è necessario un ennesimo cappello introduttivo. È essenziale infatti fare una considerazione sugli adattamenti e i reboot, ora più che mai. Siamo infatti di fronte ad un periodo dove questa tipologia di prodotti aumenta esponenzialmente e ogni volta si scatena un’accesa polemica, dal momento che spesso i fan non vogliono che vengano toccati i loro film o serie preferite. Nessun prodotto però è davvero intoccabile: tutto sta nell’intelligenza di chi approccia il progetto, basta prendere bene le misure per evitare uno sfacelo. Quante volte, infatti, abbiamo letto “basato su…” e poi ci siamo arrabbiati scoprendo che la storia è stata completamente sconvolta? Sarebbe bastato scrivere “liberamente ispirato a…” per risolvere il problema, calmando gli animi più duri e puri che pretendono la copia carbone della loro opera preferita.
Questo tuttavia non implica che il live-action Netflix di Cowboy Bebop si sarebbe salvato da una critica feroce, ma avrebbe di gran lunga abbassato le aspettative di chi fin dal 1998 ha avuto modo di innamorarsi dei suoi personaggi. Arriviamo quindi al punto e chiediamoci prima se la serie regga il confronto con il prodotto originale e poi se, escluso quello, di per sé si tratti di un buon lavoro. È assolutamente necessario fare questo distinguo, dal momento che un altro dei modi di dire più abusati quando si parla di trasposizioni è: “se non si fosse chiamato come l’originale sarebbe stato un ottimo progetto”.
La risposta alla prima domanda è inevitabilmente no. Come i fan avranno notato nei trailer rilasciati da Netflix, ci sono moltissime strizzate d’occhio alla serie originale e alcuni dei personaggi sono inseriti con dinamiche che si presentato come la copia carbone dell’anime. Purtroppo però il parallelo finisce lì, perché tutto il resto è stato assolutamente stravolto dagli autori. Senza entrare troppo nel dettaglio, tutti i protagonisti sono stati sottoposti ad una pesante riscrittura, soprattutto per quanto riguarda il loro background. In un certo senso è come se l’ossatura dei rispettivi personaggi fosse stata mantenuta per accontentare i fan, ma nei dettagli – che a mio avviso erano tutti ugualmente importanti – abbiano sconvolto tutte le caratteristiche che li rendevano così amati dal pubblico. Rimane ben poco, dunque, della delicatezza con cui i protagonisti erano stati concepiti nell’anime, e sono stati spogliati di tutti quei turbamenti che li rendevano unici. Al loro posto nuovi dettagli, che poco hanno a che vedere con la vera ciurma del Bebop e che non troveranno mai il benestare dei fan.
Mettiamo dunque da parte il parallelo e chiediamoci se come serie a sé stante può comunque funzionare. La risposta qui diventa più articolata e non esiste un giudizio semplice. I personaggi in realtà funzionano e le dinamiche tra loro sono anche divertenti e coinvolgenti; il rapporto tra Spike e Jet o tra questi e Faye offrono un ottimo intrattenimento e non sono davvero mai eccessivi o macchiettistici. Il pericolo più grande difatti era rappresentato proprio dalla vena comica, che in fondo era anche la spina dorsale dell’opera originale, anche se abbiamo appena accantonato il confronto. Da questo punto di vista invece l’equilibrio trovato dagli autori della serie Netflix sembra funzionare perfettamente. Anche gli altri subplot non sono totalmente da disprezzare, soprattutto quelli che riguardano il passato di Spiegel. In tal senso potremmo davvero dire che se non fosse una trasposizione ma un prodotto nuovo, benché non innovativo, avrebbe raggiunto la sufficienza, almeno da questo punto di vista.
Le fragilità della serie, infatti, non sono solo nel parallelo con il materiale di partenza, ma anche in tutto l’impianto estetico. Nonostante un buon uso della CGI, il resto ha decisamente qualcosa che non va. Può sembrare una frase generica, che dice tutto e niente, ma la prima impressione che si ha davanti alle prime sequenze è esattamente quella; c’è qualcosa che stona ma non siamo subito in grado di capire cosa, semplicemente perché tutta la messa in scena non ha armonia. Le sequenze di combattimento, mentre godono di coreografie efficaci, soffrono per una regia che non sempre capisce qual è la sua dimensione. A volte gli zoom rapidi, che fanno da contraltare agli slow motion, sembrano voler simulare una dimensione a metà tra quella classica dell’anime e, in maniera del tutto disperata, anche dell’effetto ottenuto durante la lettura di un fumetto. Una transmedialità che però non funziona e provoca solo fastidio per via del calderone di suggestioni mal organizzate.
Perfino i singoli personaggi a volte sembrano stonare con il resto della messa in scena, come dei cosplayer che per caso si sono imbattuti su un set che non ha niente a che vedere con loro. Sono spesso alieni al contesto che li circonda e la loro estetica incapace di incastonarsi armoniosamente con la scenografia. Un vero peccato, dal momento che il reparto costumistico rappresenta senz’altro uno dei punti di forza della serie, almeno dal punto di vista dei produttori. Un’altra strizzata d’occhio che però si rivela dunque solo un’occasione sprecata.
Nonostante questo però si può dire che i casting sono quasi tutti perfetti, per quanto radicalmente diversi rispetto agli originali. John Cho è un ottimo Spike Spiegel e porta avanti la sua performance con incredibile naturalezza; l’essenza del suo personaggio è mantenuta sotto ogni punto di vista e non c’è niente che stoni nella sua interpretazione. Lo stesso vale per Mustafa Shakir, su cui si erano sollevati i dubbi più grandi; sembra invece nato per il ruolo di Jet, un uomo burbero che non perde occasione per alzare la voce con i suoi soci, ma che al tempo stesso ha il cuore d’oro e fa di tutto per aiutare il prossimo. L’unico che forse stona davvero tanto in questo quadro è Alex Hassell, che proprio non risulta credibile nei panni di Vicious; la sua versione del villain per eccellenza di Cowboy Bebop è fin troppo eccessiva e il lavoro fatto con trucco e parrucco non aiuta a renderlo più credibile. Rappresenta però l’unica vera pecca dell’intero cast, su cui altrimenti non si può dire nulla. Di nuovo, tenendo comunque presente che i personaggi originali sono stati completamente stravolti.
In definitiva, che giudizio si può dare complessivamente a questa serie? Forse è impossibile venire a capo della situazione; come trasposizione non funziona affatto, ma anche presa singolarmente presenta delle criticità su cui è difficile passare sopra. Non raggiunge di certo la sufficienza ed è un peccato, dal momento che alcuni elementi sono a dir poco ottimi; troppo pochi però per poter controbilanciare tutto il resto.
Un ringraziamento speciale a Netflix
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