Beyond a Steel Sky (PS4)

beyond a steel sky recensione

Voto:

Non è semplice parlare di Beyond a Steel Sky, avventura grafica sviluppata da Revolution Software (Lure of the Temptress, Broken Sword), trattandosi del sequel diretto di Beneath a Steel Sky, un punta-e-clicca per MS-DOS e Amiga dalle atmosfere spiccatamente cyberpunk, nato nel 1994 e divenuto un imperdibile cult del genere. Il nuovo titolo, sbarcato su Steam nel luglio del 2020 e su GOG nel marzo 2021, è ora disponibile sulle console old-gen e current-gen grazie a Microids, e io ho avuto la possibilità di giocare – e quasi platinare – la versione per PlayStation 4.

La “difficoltà” nel recensire questo titolo si deve alla nutrita mole di elementi da sviscerare: a distanza di 26 anni, Charles Cecil – game designer e co-fondatore di Revolution Software – e Dave Gibbons – co-creatore di Watchmen e collaboratore della casa di sviluppo – riportano in vita i personaggi e le atmosfere della loro magnum opus, consegnandoci un ritorno in pompa magna sotto svariati punti di vista.

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Union City, l’ambientazione principale della storia.

La trama di Beyond a Steel Sky si lega strettamente al capitolo precedente, ma non è fondamentale conoscere gli eventi passati al fine di poter godere del racconto imbastito da Cecil e colleghi. Il mio consiglio, in ogni caso, è di recuperare Beneath a Steel Sky prima di lanciarsi a capofitto nella nuova avventura, anche perché è scaricabile gratuitamente per PC da Steam e GOG; per i neofiti si tratta di un’occasione perfetta per scoprire tutti gli agganci narrativi nonché i vari riferimenti ed easter egg presenti nel sequel.

Il gioco si apre con una lunga cutscene – animata e diretta Dave Gibbons in persona – che funge da incipit. Il tratto inconfondibile dell’artista inglese – qui character designer ed environment artist – si applica anche al resto del titolo attraverso l’uso di un software di rendering chiamato Toon Toy: questo dona ai modelli a schermo un leggero cel-shading elaborato in tempo reale, rendendo l’estetica generale molto vicina al fumetto americano classico. Videoludicamente parlando, potremmo dire che l’aspetto del gioco è un mix tra la saga di Borderlands e BioShock Infinite.

Il sopracitato incipit vede Robert Foster – lo stesso protagonista del videogioco originale, affine per design e verve al Rick Deckard del primo Blade Runner – trascorrere placidamente la sua vita nella Radura, un’incontaminata e modesta baraccopoli tribale immersa in un vasto deserto. Qui pare tutto tranquillo, finché uno spaventoso robot quadrupede – uno Stalker – guidato da un individuo misterioso rapisce un caro amico di Robert, ovvero il piccolo Milo. Il nostro eroe quindi parte all’inseguimento del rapitore e giunge a Union City, una metropoli tecnologicamente avanzatissima che lui conosce come le sue tasche, perché è proprio lì che hanno avuto luogo le sue vecchie disavventure. Al suo arrivo sono passati ben 10 anni e la città è totalmente diversa.

beyond a steel sky union city
Gli anni trascorsi si fanno sentire e la capitale tecnologica non sembra affatto ospitale. Le grandi mura che la cingono ricordano quelle di Attack on Titan.

In passato l’uomo era un residente della suddetta capitale e, sfruttando le sue abilità di meccanico, aveva costruito un androide chiamato Joey per poi porlo a capo della cittadina. Così facendo, la coppia era riuscita a porre fine alla dittatura totalitaria e schiavista della IA nota come LINC, un’unione fallimentare tra uomo e macchina. Prima di fuggire da Union City, Foster aveva lasciato il suo compagno con una specifica direttiva: “rendere le persone felici“, il tutto attraverso un nuovo sistema informatico chiamato MINOS, capace di comprendere al meglio le esigenze altrui.

È su questo assunto che si basa l’intera narrazione: come può un’intelligenza artificiale interpretare i bisogni umani e, soprattutto, il sentimento della felicità? A questo proposito, attorno a Joey – noto ora come “il salvatore” – si è generato un radicato fanatismo religioso, come se lui fosse il nuovo Messia sacrificatosi per la sua gente. Il replicante infatti è scomparso – dicono sia morto – e al suo posto c’è il Consiglio: un gruppo di ministri che risiede nella parte bassa della città, la Cittadella (il motivo della sua collocazione viene spiegato in Beneath a Steel Sky). Con il compito di dirigere la metropoli “più democraticamente“, il team è suddiviso in cinque ministeri: Aspirazione, Benessere, Sicurezza, Consumo e Comfort.

Come ogni distopia cyberpunk insegna, la pace e l’opulenza di Union City sono solo apparenti: solo chi vive all’interno della sorvegliatissima città merita attenzione e rispetto, mentre chi proviene dall’esterno (come Robert e Milo) non è schedato e quindi spesso trattato come un pericoloso reietto. I cittadini non conoscono bene la Radura e la considerano un luogo inospitale e preistorico. Per questo motivo, il protagonista è costretto a rubare l’identità digitale di un certo Graham Grundy al fine di superare le mura. Grundy è un uomo deceduto nel deserto limitrofo e circondato da fitti misteri. Lui, lo Stalker e Milo potrebbero essere collegati? Scoprire tutto ciò è la missione di Robert Foster. Quest’ultima raccontata dallo stile brillante di Charles Cecil, che ben oscilla tra serietà e ironia pungente.

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Pad alla mano, Beyond a Steel Sky raccoglie l’eredità del suo predecessore – insieme a quella di molti altri esponenti celebri del genere come Monkey Island – e si articola attraverso due componenti cardine: molteplici e ricchissimi dialoghi a scelta multipla e interazioni tra oggetti sparsi nel mondo di gioco. Quest’ultimo non è aperto, ma suddiviso in livelli più o meno ampi dove risolvere numerosi enigmi per procedere nella storia. Se si presta la dovuta attenzione, non è troppo complesso portare a termine le varie sfide; certo, vi sono frangenti più cervellotici, ma nulla di impossibile: ciò che conta è immergersi nella storia, che sin da subito tiene ancorati grazie ai vari interrogativi proposti e alla fascinazione che abbraccia il tutto.

Quanto al gameplay vero e proprio, questo consta di puzzle ambientali, esplorazione alla ricerca di indizi – spesso forniti dai dialoghi stessi – e momenti in cui sarà necessario hackerare tecnologie di vario tipo. Approfondendo la meccanica citata per ultima, questa non è altro che un minigioco che rivisita la formula di Sokoban: i sistemi informatici sono schematizzati con dei diagrammi di flusso, e spostando e ricombinando i loro blocchi logici il giocatore è in grado di dar vita a diversi esiti; alcuni saranno risolutivi, altri fungeranno da trigger per eventi inaspettati o divertenti. L’hacking non spezza l’azione, ma al contrario si integra all’interno di essa unendosi in maniera naturale tra i dialoghi e l’utilizzo degli oggetti, complice l’interfaccia intuitiva e i rompicapi ben pensati, originali e stimolanti, che spingono a riflettere e a cercare soluzioni diverse o non convenzionali. È un piacere constatare che il team di Revolution Software sia riuscito a rinfrescare le formule rodate con trovate stuzzicanti (invito i lettori e chi conosce Beneath a Steel Sky a prestare particolare attenzione alla location del Museo, un posto ricco di genialità metavideoludica).

L’unica nota dolente di quanto analizzato finora – legata solo alle versioni console – è rappresentata dalla scomodità nel gestire certi input, nonostante i comandi basilari. Il controller in questo caso non è la periferica ideale: è palese che il gioco sia stato pensato primariamente per mouse e tastiera, sistemi di controllo molto più agevoli in certe situazioni.

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L’interfaccia di gioco durante l’hacking di più terminali.

Per sopravvivere nell’utopia targata Union City bisogna conoscerne le regole e seguirle diligentemente, queste le basi di un finto e sospetto benessere che cela del marcio. Le parole d’ordine? Compostezza, disciplina, felicità (e il libero arbitrio dov’è finito?). A proposito di marcio, l’intreccio gode di alcuni colpi di scena ben piazzati che donano pepe alla storia, soprattutto se si parla del twist finale, il più sorprendente di tutti, che si lega a doppio filo con il gioco precedente. Il finale stesso poi, insieme all’ultimo puzzle, è davvero struggente e carico di significati etici e socio-filosofici.

Comportarsi bene e “mantenere il sorriso sul viso” sono i modi principali per ottenere dei Qdosun intelligente gioco di parole – dei punti virtuali non dissimili dal Credito Sociale Cinese che esiste realmente. Più Qdos si ottengono, più saranno i vantaggi garantiti dal Consiglio: chi ne raccoglie a centinaia merita il titolo di “Arrampicatore sociale“, un modello da idolatrare, una posizione a cui ogni abitante dovrebbe aspirare secondo una logica perversa. Il collegamento a We Happy Few – nonché al “buon senso dei cittadini” millantato da Andrew Ryan in BioShock – è immediato.

beyond a steel sky robert foster
Giocando si passa da ambientazioni luminose e rilassanti a zone crude e industriali, ciò chiarifica ulteriormente la netta separazione delle classi sociali.

La dovizia della scrittura è amplificata dal comparto artistico di prim’ordine e dalle sue, inevitabili, suggestioni. La cura degli ambienti di gioco è alta: Union City ha un suo stile cartoon riconoscibile, favorito dalle texture variopinte e dai colori saturi. Ad aumentare l’immersività non mancano molteplici dettagli come i dialoghi di certi NPC e dei collezionabili nascosti, ovvero poster di film che strizzano l’occhio o parodiano opere affini come Mad Max di George Miller o Atto di forza di Verhoeven. Presenti – come potrebbero mancare? – simpatici easter egg al già citato Blade Runner di Ridley Scott e alla saga di Matrix.

Il design cittadino ricorda un’accattivante miscela tra Metropolis (sia di Fritz Lang che di Rintaro), Akira e il più recente Cyberpunk 2077: ecomostri ed enormi torri arzigogolate con giardini pensili e neon a non finire sono solo alcune delle costruzioni che è possibile notare. Se il Brutalismo e il Futurismo avessero un figlio, questo sarebbe proprio Union City.

A supportare a dovere le scelte estetiche sono poi altri due punti di forza: in primis i commenti di Robert stesso che, assumendo il ruolo di narratore interno, arricchisce le vicende con colorite osservazioni sui posti visitati; in secondo luogo abbiamo la soundtrack orchestrale firmata da Alistair Kerley (Mowgli – Il figlio della giungla) in collaborazione con la Budapest Art Orchestra e la Up North Session Orchestra. I componimenti sono nobilitati dal background personale dell’autore e, di conseguenza, ispirati da storiche colonne sonore come quelle appartenenti a Star Wars, Star Trek, Stargate e persino Alien (durante i momenti più tesi e concitati). La musica, come se non bastasse, è stata intenzionalmente strutturata per entrare in sinergia con la narrazione; insomma, ogni nota accompagna a dovere qualsiasi avvenimento.

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Il LINCspace è un universo virtuale molto eccentrico, esplorabile nelle fasi più avanzate del gioco.

La carne al fuoco non finisce qui: la scrittura cesellata, citata nel paragrafo precedente, non mostra i muscoli solo durante gli eventi principali della trama, bensì anche nel corso degli scambi di battute tra il protagonista e i comprimari che lo circondano. Lo humor è molto vicino a quello di The Outer Worlds: i siparietti comici – più o meno lunghi – sono molteplici e davvero esilaranti, complice il buon doppiaggio in lingua inglese (la lingua italiana è riservata ai soli testi). Le scelte multiple possibili – opzionali e non – nei vari dialoghi sono decine, e il giocatore più scrupoloso si diletterà nell’ascoltarle tutte.

Fa sinceramente piacere constatare che gli stravaganti NPC – anche quelli “inutili” ai fini della storia – siano ben caratterizzati, spiccatamente ironici e gestiti tramite un sistema chiamato Virtual Theatre, che rende più credibili i loro atteggiamenti. L’androide Tarquin Turnvale III o – se si parla di antagonisti – il mentore Alonso del Ministero del Benessere, ma anche un buffo pazzoide dal marcato accento scozzese, sono alcuni dei personaggi che è possibile incrociare durante l’avventura, ognuno con i propri trascorsi. Certo, non tutti sono memorabili, ma godono di un buon numero di interazioni. Ciò dimostra che, a livello di sceneggiatura, Beyond a Steel Sky è curato maniacalmente. Da notare poi la presenza di alcuni achievement mancabili, legati proprio a certe linee di dialogo o azioni da compiere in specifiche aree.

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Tarquin è un robot al quale è impossibile non affezionarsi.

Passando al lato tecnico, ecco che spuntano delle sbavature: su PS4 il titolo si difende in maniera sufficiente grazie al sapiente impiego dell’Unreal Engine 4. L’illuminazione di certi ambienti è ben realizzata e piacevole alla vista – complice anche un’accennata occlusione ambientale – sono invece spiacevoli altre storture. Nello specifico – sulla console old-gen – l’aliasing intacca ombre e modelli, risultando fastidioso così come alcune texture in bassa risoluzione, soprattutto se parliamo di tessuti e pelle (sono sicuro, tuttavia, che le versioni per PC e current-gen siano di gran lunga migliori per quanto riguarda la qualità grafica).

La sporadica vegetazione è poco dettagliata e le animazioni – quelle facciali in primis – a volte appaiono un po’ legnose, ma niente che mini eccessivamente l’esperienza complessiva. Quanto al frame rate, questo si mantiene abbastanza stabile sui 30 fps; ci sono però dei cali nelle location più ricche di elementi a schermo, singhiozzi compensati da un leggero motion blur. Segnalo, in ultimo, la presenza di qualche raro glitch che affligge gli spostamenti e le azioni degli NPC, con quest’ultimi che tendono saltuariamente a incastrarsi tra loro. Fortunatamente nulla di grave o che blocchi la progressione.

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Chiudo questa mia nutrita disamina con due parole sulla longevità: ho completato il gioco in circa 12 ore, prendendomela comoda e avendo difficoltà con qualche rompicapo. La durata è molto flessibile e dipende sia dall’abilità del giocatore, sia da come si intende affrontare il tutto: frettolosamente per arrivare ai titoli di coda o lentamente per tentare di accumulare più collezionabili e trofei possibili. Questi sono 33, tra cui “Un cervello di dimensioni planetarie” che richiede di completare il titolo senza mai usare i suggerimenti (un’opzione applicata di default nel menu principale e che è possibile disabilitare sin da subito). Attenzione: non è possibile platinare l’opera in una singola run. Per farlo, infatti, è necessario assistere a due finali distinti, sbloccabili solo compiendo scelte diverse in determinati frangenti. Rigiocare nuovamente la campagna raddoppia dunque la longevità totale.

Beyond a Steel Sky è un tipo di videogame sempre più raro al giorno d’oggi e di cui avremmo bisogno in grande quantità: un’avventura grafica orgogliosamente moderna che non tradisce le sue radici. Pur inciampando sulla componente tecnica, Charles Cecil e Dave Gibbons hanno consegnato ai loro fan un degno successore di Beneath a Steel Sky: un videogioco che, grazie alla sua fitta lore e all’amore profuso durante la realizzazione, può accontentare appassionati e neofiti allo stesso tempo. Per gli amanti del genere è un must buy.

Un ringraziamento speciale a Microids

Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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