La trilogia di Matrix è uno dei capisaldi della fantascienza cinematografica degli anni 2000. Dopo il capolavoro del primo capitolo, le sorelle Wachowski hanno ampliato il mondo del film con una storia che pescava a piene mani dagli anime e dalle filosofie orientali, unendoli all’azione americana e una messa in scena mai vista prima. Tutti e tre i capitoli li ritengo fondamentali nella narrativa fantascientifica contemporanea, e rappresentano un modo di fare cinema più unico che raro.
Dopo 18 anni dall’ultimo film, Lana Wachowski decide di riprendere in mano il franchise per un motivo molto personale: la morte di entrambi i genitori. Se infatti la sorella Lily ha voluto rinunciare alla regia proprio per questa disgrazia, Lana ha dichiarato che, pur avendo sempre negato la possibilità di un Matrix 4, la morte dei genitori l’ha portata a scrivere una storia dove i due personaggi tornano in vita, per riuscire a lenire il dolore della perdita.
Senza voler spoilerare la trama di questo quarto capitolo, alla base abbiamo Thomas Anderson (Keanu Reeves) di nuovo in Matrix, inconsapevole della sua identità come Neo. I suoi ricordi infatti sono stati manipolati e tutti gli eventi della prima trilogia, che lui ricorda con dei flash, sono parte della serie di videogiochi Matrix, di cui lui è il game designer. Ha da tempo una cotta per Tiffany (Carrie-Anne Moss), una donna che vede sempre al bar dove fa colazione, ma con cui non ha mai avuto il coraggio di parlare. È su di lei che ha basato il personaggio di Trinity per i suoi videogiochi. Quando il suo collega Smith (Jonathan Groff) lo avverte di voler iniziare la produzione di Matrix 4, Thomas inizia ad andare in paranoia, non capendo più quale sia la realtà tra ciò che vede e i suoi ricordi confusi. È così che l’Analista (Neil Patrick Harris) continua il suo percorso di terapia con lui, rimpinzandolo tra l’altro di pillole blu per fargli scomparire tutti i sintomi.
Dopo una prima scena che ricalca fedelmente quella del primo film, pur con qualcosa di “alieno”, Matrix Resurrections parte come una vera e propria operazione metanarrativa che, consapevole di essere l’ennesimo reboot/revival di una saga storica, prende in giro tutto l’establishment delle produzioni di questo tipo, mostrando per filo e per segno i processi che portano una major a fare certe scelte. È molto divertente e ironica anche la riunione dei “piani alti” della software house, chiamata Deus Machina, nella quale ogni membro coinvolto nello sviluppo del quarto capitolo cerca di dare la sua idea di cosa sia Matrix, e soprattutto di quale sia il suo elemento distintivo. Ognuno, infatti, fornisce una sua interpretazione: il criptofascismo, la metafora transessuale, il fatto che Matrix debba essere per forza mind-bending oppure che basti il solo bullet time come segno di riconoscimento, e così via.
Grazie all’aiuto dato dall’equipaggio della nuova nave Mnemosyne (la personificazione greca della memoria) ed il sempre più crescente senso di déjà-vu per l’ex-Neo, saranno proprio il risveglio dell’eletto e la sua ricerca di Trinity al centro della storia del film. Lana Wachowski, che ha scritto la sceneggiatura insieme a David Mitchell (autore del libro Cloud Atlas, da cui le Wachowski hanno tratto l’omonimo film) e Aleksandar Hemon, ha cercato di ampliare il mondo che aveva creato con sua sorella in modo coerente e interessante, riuscendo a ripescare anche personaggi marginali della trilogia come la piccola Sati, o mostrando le conseguenze della pace con le macchine portata da Neo alla fine dello scorso ciclo. La vecchia città di Zion, ora rinominata Io per non commettere i vecchi errori del passato, è uno schiaffo in faccia a chiunque si aspettasse un mondo nuovamente diviso tra buoni e cattivi, ma che forse è persino peggiore di quello rappresentato in passato.
Il punto principale di Matrix Resurrections infatti, oltre chiaramente al ritorno dei protagonisti, è quella rappresentazione della società che ha sempre contraddistinto la saga, portando avanti una filosofia coerente, seppur aggiornata rispetto a quella dei primi film. Se il primo Matrix era uno spaccato perfetto dell’America del 1999, Resurrections è ormai una rappresentazione del mondo globalizzato filo-americano dopo il 2020, e del suo imperante post-capitalismo che porta all’immobilismo delle persone che lo abitano, impaurite dal fare qualsiasi passo avanti per paura di perdere il poco che hanno, ma comunque motivate dall’illusione di obiettivi futuri raggiungibili, e di vivere nel “migliore dei mondi possibili” nonostante tutto.
È molto interessante anche il parallelismo con la città di Io, che ormai mescolata alle macchine è riuscita a produrre un tenore di vita per i suoi cittadini molto più che accettabile, coltivando ad esempio frutti e ortaggi, che nella vecchia Zion sembravano qualcosa di utopico (Cypher nel primo film tradiva gli altri anche solo per tornare a sentire il sapore di una bistecca). Ma come il personaggio di Bugs (Jessica Henwick) fa notare, migliorare questo tenore di vita ha portato al più basso tasso di liberazioni da Matrix di sempre, facendo cadere gli umani di nuovo nel gioco di qualcuno più in alto di loro. Il bello del film è anche questo suo continuo attacco al binarismo (senza mai nominare quello di genere, ma lasciandolo metaforico), che sia tra buoni e cattivi, macchine e umani, protezione di qualcosa o ampliamento di qualcosa, tutto ciò che vediamo non viene diviso ma reso più complesso. Non si può dare un giudizio semplice su molte delle cose presentate dal film, perché punti di vista differenti sono comunque corretti.
È molto interessante inoltre l’evoluzione dell’entità che controlla Matrix. Nei primi anni 2000 era l’Architetto, entità matematica che vedeva le persone solo come numeri e cercava continuamente di “bilanciare l’equazione” (idea figlia del neopositivismo dato dal grande sviluppo informatico dell’epoca), mentre ora ce n’è un’altra che agisce con logiche differenti, più votate allo sfruttamento dei sentimenti delle persone. E se prima la guerra era inevitabile, con lo scontro dei due lati per farli bilanciare, ora è il superamento di questo binarismo a rendere gli umani “ancora più funzionali” come batterie per le macchine, avendo scoperto che un uomo a cui viene data l’illusione della scelta sarà ancora più docile e facile da sottomettere al sistema.
“Perché così ho scelto” rispondeva Neo alla domanda dell’Agente Smith “perché persiste?”, durante la battaglia finale in Matrix Revolutions, incanalando completamente tutta la filosofia del libero arbitrio della trilogia, e testimoniando come la volontà dell’uomo sia più forte di ogni destino scritto. Sebbene il quarto film sembri quasi rinunciare in primo luogo a questi dettami, in realtà attraverso l’illusione della scelta Lana Wachowski descrive degli uomini che sono assoggettati ad un destino già scritto, solo perché incapaci di vedere al di fuori del sistema in cui sono inseriti.
Proprio per questo è ancora più importante la rappresentazione che si fa dei personaggi, per cui una Tiffany (Trinity) che non ricorda il suo passato vive in Matrix come donna forte, che ha la passione per le moto e che ha ancora sex appeal nonostante la sua mezza età. Questi dettagli tuttavia sono forniti da chi gestisce l’intera realtà in cui vive, che la riterrà sempre inferiore. La regista riesce quindi a colpire ulteriormente nel segno, muovendo una forte critica anche ai finti attivismi da social che piagano la nostra società, ricordando a tutti che dietro c’è sempre qualcuno che non ha alcuna intenzione di cambiare lo status quo.
Matrix Resurrections è un film forse troppo intelligente per i tempi in cui viviamo, per una larga fetta di pubblico anestetizzato che, esattamente come per i due sequel del 2003, non ha ancora compreso la forza espressiva e narrativa di una saga che ha sempre scardinato i canoni della fantascienza. Inutile parlare del livello tecnico, con una regia che osa spesso tra inquadrature sghembe o roteanti, complici della realtà videoludica presente nel film, ma che comunque si ricorda sempre di essere cinema, criticando aspramente chiunque abbia considerato la saga come un giocattolo senz’anima, utile solo come benchmark visivo.
Il 1° gennaio, muniti della mentalità giusta, iniziate l’anno nel migliore dei modi andando a vedere al cinema questo quarto capitolo fin troppo bistrattato oltreoceano (dove è già uscito), cercando di coglierne il piano ideale prima ancora di quello narrativo. È proprio per questo che la recensione si è concentrata principalmente sui temi e le riflessioni del film, perché Matrix non è mai stata semplicemente una saga action, e questo nuovo film continua a dimostrarlo.
Un ringraziamento speciale a Warner Bros. Italia
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