Giovanni Pizzigoni, in arte GioPizzi, torna nel suo campo d’azione prediletto con Rapaci, un nuovo romanzo fantapolitico edito stavolta da Mondadori, ricco di drammi e tesissimi conflitti. Si assiste alla creazione di un mondo alternativo e profondamente distopico sulla falsariga del precedente Carne Sprecata. Tuttavia, la sola lettura della trama mette subito in chiaro come ci sia ancora più carne al fuoco; ritorna, inoltre, un gruppo di personaggi le cui vite sono destinate a intrecciarsi. Quindi, la domanda da un milione di dollari non può che essere: a seguito di un ottimo esordio, l’autore è stato in grado di condurre a dovere le redini di una storia inedita e ricca di sfaccettature? Scopriamolo.
A differenza del primo libro, l’ambientazione è l’Europa di metà anni ottanta, con un particolare focus sull’Italia: Benito Mussolini ha guidato il suo regime fino alla fine degli anni sessanta, lasciando poi il posto ad un governo non dissimile, guidato da un re di casa Savoia; quest’ultimo è affiancato da un partito reazionario Repubblicano e da un corpo militare: i Pretoriani. Il teatro politico mondiale è diviso a causa di una rischiosa guerra fredda i cui contendenti sono il blocco comunista sovietico e quello democratico, guidato dalla Federazione europea. Quest’ultima dovrebbe finalmente accogliere anche l’Italia, a seguito delle prime elezioni dopo decenni, contese tra socialisti e repubblicani.
Contestualmente a questi attriti che rasentano la guerra civile, due altre forze rivoluzionarie e reazionarie si scontrano sui confini italiani – nella cosiddetta Zona Autonoma – per la precisione sulle impervie Alpi Giulie e attraverso le Valli del Natisone, a cavallo tra Italia ed ex Slovenia. Questo è il setting dove si muovono i tre protagonisti di Rapaci: il capitano Sforza, Bianca e David Barroso.
Il primo membro del trio ricorda il gelido colonello Hans Landa di Bastardi senza gloria, ma si presenta come una persona decisamente più flemmatica. Un uomo d’armi istrionico, sprezzante, feroce e capace persino di violare il codice militare in nome della sua sete di sangue e di potere. A volte la sua irritabilità porta a pensare che sia un individuo borderline affetto da manie del controllo, forse addirittura un pazzo manipolatore che applica una personalissima strategia della tensione tramite spietati crimini di guerra. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, però, si tratta di un personaggio stratificato e particolare; un villain dal fascino perverso che cita l’Enrico V di Shakespeare e legato a un fondamentale comprimario di nome Michele Tagliaferri. L’ennesima dimostrazione di come GioPizzi – che ha a cuore la letteratura di un certo peso – non sia affatto uno scrittore superficiale.
Bianca invece è una studentessa universitaria e fervente socialista. È indissolubilmente legata ad Anna, sua migliore amica e compagna – in tutti i sensi – per cui prova una forte attrazione amorosa. La ragazza entra in politica per portare in auge i valori della sua generazione a discapito del reazionario status quo. Una ventenne effervescente che tradisce spesso, nonostante l’età, un lato infantile: insomma, una giovane idealista e focosa, tratteggiata con realismo. La sua storia è la più struggente del terzetto e riserva grandi sorprese, da applausi. Un’eroina perfetta, che ho amato dall’inizio alla fine e a cui è impossibile non affezionarsi.
Ultimo ma non meno importante (anzi!), il trentenne David Barroso, un aspirante sceneggiatore italo-spagnolo che parte, con poche risorse, alla ricerca del fratello Mark, disperso tra le crudeli Alpi Giulie. Quella dei due ragazzi è un’odissea familiare rimpinguata da approfondimenti psicologici accuratamente cesellati, in cui gioca un ruolo di primaria importanza il potere del giornalismo d’inchiesta, che può ribaltare le carte in tavola. Personalmente, ciò che accade tra i due mi ha riportato alla mente Il caso Minamata e non può che essere un pregio.
Le vicende si alternano fra i tre personaggi con regolarità, e ciò permette di seguire agevolmente ogni arco narrativo senza perderne il filo. I passaggi di testimone da un protagonista all’altro, superata la metà del romanzo, vengono intervallati da fugaci episodi raffiguranti certi comprimari. Una scelta atta a chiarificare o a espandere ulteriormente precisi eventi chiave. Non mancano, a questo proposito, brevi ma utili salti temporali.
Parlando proprio di comprimari, l’agente speciale Spada – che supporterà David durante il suo viaggio – il giovane Branko e Gerolamo Sandri sono molto stuzzicanti. Quest’ultimo, ad esempio, è un anziano socialista in corsa per la presidenza che ricorda Pertini, e non mi stupirei se fosse un omaggio: il suo monologo anticapitalista, pacifista ed europeista nelle prime pagine del libro è davvero infuocato e molto ben scritto.
Nonostante ciò, non tutte le ciambelle escono col buco purtroppo: altri personaggi secondari come il fedelissimo braccio destro di Sforza – il sergente Giulio Farina – sono un po’ troppo stereotipati. Quest’ultimo, per citare la sua descrizione, si presenta come il classico omone “grosso come un armadio e sveglio come un armadio“.
Sin dall’incipit di Rapaci, Giovanni Pizzigoni sfodera nuovamente il suo stile molto crudo, realistico e dotato di un’ironia al vetriolo; una caratteristica capace di immergere subito il lettore in un’atmosfera frenetica costruita e gestita con scioltezza. Se possibile, le storie raccontate in questo thriller sono ancora più tetre e malinconiche e dimostrano quanto l’autore ci sia andato giù pesante, forte di una narrazione ancor più matura e straziante. Si potrebbe affermare dunque che Carne Sprecata sia stato una sorta di terreno di prova: la ragnatela di situazioni che viene orchestrata questa volta è davvero avvincente e meno “timida”. Gli intrighi sociopolitici sono ben più complessi e intricati, ma mai difficili da digerire né noiosi: l’articolata costruzione che regge in piedi l’opera è solida fino alla fine.
La sopracitata politica, prevedibilmente, è il carico da novanta, complice anche l’ambientazione italiana e la sua anocrazia oligarchica. In un’Europa – pilastro della democrazia mondiale – dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, credo che la frase più iconica di tutto il libro sia “Cristo, che odio i liberali“, da parte di Bianca. Mettendo da parte gli scherzi – ma conservando ben saldo l’odio per i liberali – il conflitto portato in scena è di una delicatezza estrema. Oltre al terrorismo rosso e nero che dilania il Paese e a cruciali elezioni vessate da presunti brogli, gli scontri montani con i sovietici coinvolgono – direttamente o meno – anche la popolazione slava e i paesi vicini come Croazia, Olanda, Austria, Serbia, Slovenia e così via. Un bel minestrone pronto a fare scintille: la crisi diplomatica è dietro l’angolo e l’Italia è appesa a un filo.
GioPizzi – stavolta con coraggio – infonde il romanzo con le sue idee sociopolitiche (presenti in molti video disponibili sul suo canale YouTube). Rapaci non è una banale sequela di vicende legate tra loro da svariati fili rossi: le vicende stesse sono spesso dei pretesti per far trasparire la poetica dell’autore in merito a temi caldi e attuali, come la brutalità di uno Stato autoritario e delle forze dell’ordine (con un conseguente occhio di riguardo per il sistema carcerario), l’eterna contrapposizione tra partiti di destra e sinistra, nazionalismo ed europeismo, patriarcato e maschilismo, e via discorrendo. In ultimo, è interessante notare come certe trovate siano state inevitabilmente ispirate da grandi eventi internazionali passati e contemporanei: la paurosa disputa odierna tra Russia e Ucraina potrebbe effettivamente aver dato allo scrittore molteplici spunti per la creazione della sua ucronia.
Passando alla struttura vera e propria che sorregge il tutto, lo stile è stato affinato e snellito per garantire una scorrevolezza maggiore della messa in scena, e i dialoghi sono sempre al top. Non mancano descrizioni ricche e originali che chiariscono i sentimenti e i pensieri dei personaggi, o donano alle ambientazioni delle ulteriori e apprezzate sfaccettature. Lodevoli in questo senso i capitoli 12, 17 e 46: ansiogeni e commoventi.
Torna una trovata presente anche in Carne Sprecata e ormai ascrivibile all’impronta di Giovanni Pizzigoni: i twist più inaspettati vengono furbescamente inseriti in chiusura di specifiche sezioni; mandare avanti le pagine diventa così obbligatorio. Pagine che, spesso e volentieri, risultano essere delle montagne russe: l’autore gioca con le aspettative dei lettori, tradendole nei momenti in cui sembra andare tutto per il meglio.
Nello specifico, gli avvenimenti vengono infarciti di momenti movimentati che danno più pepe al ritmo generale. Questi frangenti, in sostanza, sono esenti dai rallentamenti che era possibile riscontrare qua e là nel precedente libro. Alla pace apparente segue quasi sempre un episodio pieno di pathos (esemplare, a questo proposito, il capitolo 27). Dopo un quarto del racconto, Rapaci ancora alla lettura con i suoi artigli e staccarsi risulta molto difficile, complice la dolorosa crudeltà di certe vicissitudini che accadono dal secondo atto in poi.
Molto stimolante la metafora che viene costruita a più riprese nel corso dell’opera dove il ghiaccio, la neve e il silenzio quasi stregato dei monti – presenti non a caso in copertina – sono sinonimi di morte e di una pace straniante pronta a spezzarsi. “Se rispetti la montagna, non può farti niente” dice l’agente Spada; nonostante ciò, il contrasto cromatico tra il bianco della neve e il rosso del sangue esercita una spiccata attrazione per chi è coinvolto nella guerra civile.
In queste particolari atmosfere viene incastonata una seconda lotta: quella dei più forti che prevalgono sui più deboli. Questo è uno dei fili rossi che lega i tre protagonisti, intenti a fare i conti proprio con le loro debolezze per sopravvivere in un mondo che sembra impazzito. C’è chi vuole essere forte per far valere le sue idee e la sua persona – Bianca – chi deve esserlo per sfuggire dalla sua amechania cronica e salvare il fratello – David – chi, paradossalmente, trova le sue fragilità a causa del gravoso potere che deve gestire (il capitano Sforza). In sintesi, tutti i personaggi principali si evolvono in maniera coerente e dettagliata. Il tutto viene concentrato da GioPizzi in un verbo, ovvero “respirare“. Sta a voi lettori scoprire come e perché. Alla fine si parla pur sempre di esseri umani, “soprattutto dei loro deliziosi tormenti“.
Persino la filosofia trova spazio in quella che a volte può diventare una seduta di psicanalisi. Lo stoicismo romano dell’imperatore Marco Aurelio aleggia tra le righe: “ci sono tante cose terribili che accadono in questo mondo. Che ci fanno piangere, che ci rendono tristi, che ci fanno male. Ma spesso queste cose, come la natura, sono fuori dal nostro controllo. Non possiamo farci niente. E perché preoccuparci se non possiamo fare nulla? Possiamo occuparci solo delle cose su cui abbiamo potere. E dobbiamo farlo, perché è l’unico modo che abbiamo per sopravvivere“.
L’ultimo centinaio di pagine è pieno di adrenalina e tutto è teso come una corda di violino pronta a recidersi. Nel conflitto più acceso e vibrante, viene fuori un’incontestabile verità: persino i soldati più granitici – regolari o meno – sono umani, umani fuori controllo, fuori dai ranghi e pieni di crepe. Tutti i pezzi del puzzle uniscono i protagonisti in un’unica, imponente storia. Tutto combacia con una precisione chirurgica e ingegnosa.
I binari della storia sembrano condurre verso un gran finale tremendo, cinico, disilluso, quasi shakespeariano, ma Giovanni Pizzigoni gioca il suo ultimo asso nella manica e Rapaci sorprende un’ultima volta il lettore. Impossibile non commuoversi e sorridere con lo stomaco attorcigliato di fronte alla conclusione di un romanzo del genere. Tra i migliori usciti in quest’ultimo periodo, da leggere assolutamente. Bravo Gio, continua a scrivere, altrimenti potrei prenderla sul personale!
Un ringraziamento speciale a Mondadori
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