Non è mai semplice approcciare una trama distopica e riuscire ad esprimere al 100% la disperazione provata dai protagonisti; una difficoltà che, probabilmente, risiede soprattutto nell’ovvia impossibilità di assumere completamente un punto di vista che non possiamo affatto conoscere. Eppure non sono pochi gli esempi ben riusciti, soprattutto in ambito cinematografico, dove il genere è stato ampiamente approfondito.
Forse anche per questo oggi è altrettanto difficile imbattersi in una trama davvero innovativa o che, comunque, presenti degli elementi che ancora non sono stati del tutto analizzati. Eppure Lucio Staiano (fondatore della casa editrice Shockdom) è riuscito nell’arduo intento non solo di proporre un tema controverso come la dicotomia tra libero arbitrio e determinismo, ma lo ha fatto con un linguaggio complesso, una trama affatto banale e – soprattutto – un’angoscia sempre ben tangibile.
Il suo Black Screen prende infatti le mosse proprio da questa difficile analisi, presentando una serie di personaggi che – con punti di vista estremamente diversi – si trovano a dover mettere in discussione il mondo in cui si trovano, caratterizzato ormai dalla totale assenza di autodeterminazione. Nell’opera il vero e proprio protagonista è un congegno che, grazie ad un algoritmo, consente agli uomini di prevedere il proprio futuro con una precisione quasi assoluta. L’unico momento impossibile da visualizzare, però, è quello che riguarda la morte di chi lo utilizza, che viene censurato con l’apparizione di uno schermo nero (da cui prende il titolo il fumetto). Si può dunque sapere con esattezza quando il soggetto è destinato a morire ma non come.
Ciò che però rende particolarmente controverso il dispositivo è l’autosuggestione che potrebbe provocare; nella sceneggiatura viene dato grande spazio proprio a questo tema: “Se davvero siamo in grado di determinare il nostro futuro, allora è logico pensare che, con la giusta motivazione, potremmo esercitare un’influenza sulla nostra vita” spiega uno dei personaggi nel fumetto. In poche parole, se una persona è conscia di cosa l’aspetta, allora inizierà ad assumere atteggiamenti che confermeranno quella previsione. Una specie di circolo vizioso difficile da spezzare, ma che senz’altro mette in chiaro che – proprio a causa dell’avanzamento tecnologico – il libero arbitrio si può dire completamente morto.
Un approccio senza dubbio interessante quello proposto da Staiano, che ha arricchito anche la storia con riflessioni che non si addentrano solamente nel campo filosofico, ma si intrecciano anche con la fede e con il declino a cui essa va inevitabilmente incontro quando le scoperte scientifiche riescono ad offrire una chiara visione della nostra vita.
Importanti spunti di riflessione che vengono resi ancor più preziosi dal contributo di Giovanni “Fubi” Guida (illustratore del fumetto), che ha dato all’opera uno stile estremamente stilizzato in cui la disperazione dei rispettivi protagonisti diventa tangibile. Grazie ai colori spenti e alle linee confuse (benché ogni elemento sia delineato da pochi tratti), l’artista è infatti riuscito a rendere conto tanto del clima opprimente che caratterizza la società quanto a mostrare visivamente la crisi interiore e l’angoscia con cui sono costretti a convivere i personaggi. Una tecnica che presenta i suoi limiti, perché ad una prima lettura non è sempre facile comprendere appieno le tavole, che però rendono perfettamente giustizia alla sceneggiatura scritta da Giuseppe “Peppe” Andreozzi (e basata appunto sul soggetto di Lucio Staiano).
Anche l’intreccio della storia non è dei più semplici, dal momento che sembra procedere in parallelo su tre binari diversi per poi creare dei legami che diventano più chiari soltanto alla fine; gli stessi dialoghi – che oscillano costantemente tra nozioni filosofiche, morali, scientifiche e religiose – possono risultare a volte pesanti e di difficile lettura. Tuttavia è indubbio che tutta questa apparente confusione punti non solo a tenere (efficacemente) il lettore sulle spine, ma riesca ad offrire una storia complessa e avvincente.
In definitiva Black Screen non è forse un’opera facile da approcciare, ma è senz’altro un’ottima offerta in un momento in cui le storie distopiche sembrano ormai incapaci di offrire interessanti spunti di riflessione.
Un ringraziamento speciale a Shockdom
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