Di questi tempi, criticare qualcosa risulta sempre più spinoso. Immaginate di trovarvi nel bel mezzo di due schieramenti: il primo che elogia il prodotto in maniera imprescindibile, e il secondo che invece lo affossa per motivi futili. Muovere una critica che non voglia necessariamente demolire un’opera, ma dare invece il giusto spazio ai suoi pregi e difetti è sempre più difficile. Sia chiaro, personalmente sono del parere che nell’atto critico occorra prendere in esame elementi oggettivi e soggettivi, sapendo però scinderli e bilanciarli con pro e contro. Un equilibrio a parer mio necessario per ottenere una visione più completa del soggetto in esame, ma che nelle grandi eccezioni sembra mancare.
Elden Ring rappresenta a conti fatti una grande eccezione nel panorama videoludico: la nuova creatura nata dalla collaborazione tra FromSoftware e il celebre autore di romanzi fantasy George R.R. Martin (Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco) ha raccolto innumerevoli elogi da ogni angolo del web, eclissando in maniera evidente le criticità che invece si porta sul groppone. Dopo aver concluso l’avventura nell’Interregno, sono qui per parlarvene trovandomi al centro dei due schieramenti citati poc’anzi, con una visione che non vuole essere prevenuta ma nemmeno tanto gentile.
Quantità invece che qualità
Personalmente ritengo che Elden Ring, in qualità di nuova IP, sia un prodotto fin troppo conservatore. Durante la mia esperienza nell’Interregno ho provato sentimenti piuttosto contrastanti per la nuova opera di FromSoftware. Non appena trovavo un elemento di mio gradimento, di pari passo ne spuntava un altro che non riuscivo a digerire. Il suo open world è contenutisticamente uno dei più densi approdati su console e PC negli ultimi anni: dungeon secondari e boss riempiono le vaste pianure che verdeggiano la mappa, con tanto di ricompense sparse qua e là, più o meno utili a seconda della situazione.
Nel voler eccedere nella quantità, però, il team ha tralasciato a parer mio la qualità, utilizzando tali attrazioni come un riempitivo. Sebbene in quel di Elden Ring non si finisca mai di scoprire, la sensazione che ho provato giocando è stata quella di affrontare avversari piazzati nella mappa senza alcun scopo preciso: draghi, belve assetate di sangue e nobili cavalieri, pur avendo la barra vitale di un boss, non mi hanno restituito l’emozione di una vera boss fight come quelle situate nei cosiddetti legacy dungeon, tanto da trovarli come un escamotage per intralciare il mio cammino verso la prossima destinazione.
Tale riempitivo tra l’altro sfoggia un riutilizzo di asset e moveset che alla lunga risulta persino stancante. Primi tra tutti gli Avatar dell’albero madre minore, creature sacre di enormi fattezze sparse in vari punti d’interesse della mappa: sebbene ve ne sia una piccola variante, tutte le incarnazioni sfoggiano il medesimo moveset contornato dalla medesima estetica, rendendo gli scontri con loro sfiancanti e poco entusiasmanti. Superata abbondantemente la metà del gioco e affrontato un buon numero di tali Avatar, durante la mia partita ho deciso di non dedicare più gli sforzi a queste creature, considerandole del tutto superflue.
I boss dell’open world, per quanto secondari, sono invece una bella spina nel fianco durante le fasi esplorative, e sebbene la loro sconfitta venga premiata con qualche oggetto utile (anche qualche equipaggiamento), ho constatato ad un certo punto della mia partita come la mia build fosse pronta a tal punto da poter ignorare tali scontri, ritenendoli in cuor mio una mera perdita di tempo. Questo perché gli scontri con i boss dell’open world non mi hanno regalato alcuna emozione o soddisfazione nella loro sconfitta, e dopo averne affrontati diversi in posti dimenticati anche dalla stessa FromSoftware, ho perso le speranze nei confronti di quei “contenuti secondari” studiati per alimentare l’esplorazione di Elden Ring.
Ho trovato abbastanza ripetitivi anche i dungeon secondari (meglio noti come cripte): ne ho completati svariati (non tutti, ma la maggior parte) e mi sono apparsi un altro astuto riempitivo, utile quantomeno ad ottenere dell’equipaggiamento extra. Non mi hanno deluso tanto per l’estetica, assolutamente contestualizzata nella sua funzione, quanto per la realizzazione: asset, nemici e situazioni spesso vengono riciclati per completare i dungeon allo stesso modo, così pian piano il mio desiderio di scoprirli si è affievolito. Inoltre, nonostante da alcuni mob siano nate magicamente delle boss fight all’interno delle loro cripte, non mi è stato nemmeno possibile apprezzarne i possibili “moveset unici”, per quanto rapidamente si sono conclusi gli scontri.
FromSoftware ha indubbiamente confezionato un open world affascinante da esplorare, con tantissimi punti d’interesse da scoprire, ma non riesco ad apprezzare il voler puntare su una quantità non necessaria di elementi al fine di riempire le ore di esplorazione, e ritengo che questo sia un grande punto debole dell’esperienza. Benché l’incentivo della ricompensa renda tutto meno amaro, non si può ignorare il riutilizzo di asset operato dal team di sviluppo pur di offrire al giocatore una miriade di cripte da esplorare e nemici da affrontare, finendo per rendere ripetitiva la maggior parte degli scontri.
La questione della difficoltà
Passiamo alla questione dell’elogiatissima difficoltà. A partire da Demon’s Souls, FromSoftware ha costruito una sfida che nel tempo è diventata un vero punto di riferimento per l’industria videoludica, creando quella corrente che oggi chiamiamo soulslike. Nella mia esperienza con i vari Dark Souls, Bloodborne, Sekiro e il remake dello stesso Demon’s Souls, ho maturato un pensiero piuttosto contrastante sulla filosofia legata alla difficoltà in questi giochi. Il tasso di sfida costruito soprattutto negli ultimi lavori del team nipponico trova fondamento in alcuni aspetti: la complessità del level design, la distribuzione dei nemici, le boss fight, il bilanciamento generale e, soprattutto, alcuni limiti tecnici che hanno caratterizzato alcuni dei loro titoli più memorabili.
In Elden Ring, questo modello di sfida è stato forgiato su una base piuttosto debole, rendendo quella tanto decantata difficoltà una mera convinzione, piuttosto che un fatto concreto: nonostante il titolo sia stato concepito per essere persino più accessibile, l’eccessivo sbilanciamento di alcuni elementi (come magia e sanguinamento) ha reso tale esperienza meno soddisfacente rispetto al passato, e personalmente non mi ha fatto crescere come giocatore. Questo perché il tasso di sfida del gioco mi è parso mal architettato, colpa anche dei problemi citati più sopra.
Il riciclo di asset e animazioni, oltre a poter risultare fastidioso, rende persino prevedibili alcune delle boss fight più importanti presenti nell’Interregno. Durante la mia esperienza, ho faticato a trovare uno scontro realmente impegnativo, o che comunque andasse ben oltre le mie capacità da videogiocatore, dato che il riutilizzo dei pattern d’attacco porta con sé anche i medesimi punti ciechi. Ci tengo a specificare che non sono solo io a dirlo, ma anche chi spesso e volentieri vanta di aver passato un quantitativo spropositato di ore sui titoli From, sottolineando soprattutto come le ormai note lacune tecniche del team di sviluppo non siano ancora state colmate. Si parla di problemi discussi fino allo sfinimento da oltre una decade, e scoprire che non c’è stato alcun miglioramento al riguardo mi ha lasciato alquanto deluso, soprattutto in un momento storico in cui gli sviluppatori giapponesi si stanno facendo valere anche sul fronte tecnico (vedasi Tales of Arise).
Tale linea di pensiero sulla difficoltà non vuole essere categorica: sono del parere che vi siano diversi modi per costruire un tasso di sfida appagante e degno di nota, spingendo in particolare il giocatore a superare i propri limiti. Tra gli esempi più adatti mi vengono in mente l’abilità con la katana in Sekiro, le sfide tattiche di Vanquish, la figura misteriosa in Kingdom Hearts: Birth by Sleep o i super boss concepiti nelle più classiche iterazioni di Final Fantasy; insomma, scontri in cui è richiesto allenamento e miglioramento oltre alle statistiche maxate. In Elden Ring ho sentito proprio la mancanza di tutto questo, di un tasso di sfida appagante che potesse contribuire alla mia crescita come giocatore, insieme a quella sensazione di aver compiuto un’impresa. Per molti tutto ciò potrebbe essere giustificato anche solamente dalla presenza dell’open world, ma il punto è che FromSoftware ha peccato proprio su quegli elementi per cui è rinomata, e non a caso sono state numerose le lamentele mosse dagli mosse dagli utenti più affezionati allo studio di sviluppo.
Multiplayer e altri aspetti migliorabili
Tra gli altri elementi che non mi hanno convinto affatto c’è il multigiocatore. Sebbene l’esperienza sia concepita per essere vissuta in giocatore singolo, spesso e volentieri è grazie all’online asincrono che si scoprono alcuni dettagli nell’esplorazione, merito soprattutto dei messaggi (a volte simpatici) lasciati da altri utenti. Trovo però che From abbia perso l’occasione per svecchiare o comunque migliorare la sua esperienza online. In primis, non comprendo le limitazioni imposte durante la fase cooperativa, come il blocco della cavalcatura o l’impossibilità di sfruttare il viaggio rapido, costringendo dunque l’host a consumare diverse Dita torte per evocare i suoi ospiti spostandosi da un’area all’altra. Allo stesso modo, non vedo l’utilità di rimandare a casa gli ospiti una volta sconfitto un boss: nel momento in cui un Senzaluce desideri vivere l’avventura insieme ai suoi amici, trovo alquanto macchinoso rimandare a casa i suoi ospiti per rievocarli un attimo dopo, mentre si potrebbe affidare all’host il potere di gestire i componenti della lobby, così da interrompere una collaborazione in qualsiasi momento.
Infine voglio spostarmi su quelli che considero come “difetti di contorno”, che come quelli sopracitati possono essere discussi ampiamente. Ho trovato il sistema di combattimento di Elden Ring regredito rispetto al netto miglioramento compiuto da FromSoftware con Sekiro. Benché fosse palese che la nuova IP sarebbe stata “un Dark Souls open world”, speravo nell’integrazione di qualche elemento dal gioco precedente dello studio: una componente stealth a mio avviso scarna (anche a causa di un’intelligenza artificiale poco convincente) e un salto che non aggiunge nulla nello scontro non bastano, e avrei sicuramente preferito uno scambio di colpi più entusiasmante. Se c’è qualcosa che ho adorato del combat system di Sekiro, oltre l’abilità necessaria per vincere, è quel sentito botta e risposta con boss e affini, che scontro dopo scontro faceva aumentare la tensione. Ecco, la tensione è la cosa che più mi è mancata durante la mia avventura in Elden Ring, impedendomi così di percepire gran parte dei boss come una reale minaccia.
Due pesi e due misure
Notato nulla di strano? Effettivamente la mia critica verso Elden Ring si rivolge ad elementi e difetti più o meno presenti nella maggior parte dei videogiochi usciti negli ultimi anni, ma perché in questa occasione sembrano ricevere un trattamento speciale? Spesso quando si parla di FromSoftware ci si perde nella sua gargantuesca narrativa passiva (o meglio, background narrativo!) e nei suoi grandissimi pregi artistici, dimenticandosi però di quelle che sono le problematiche dei suoi titoli. Presi dall’entusiasmo, noi giocatori tendiamo a perdere di vista elementi che spesso critichiamo in altre produzioni che non ci regalano le medesime sensazioni, incappando nel consueto errore di usare due pesi e due misure, e facendo prevalere le impressioni a caldo piuttosto che un’analisi più fredda e attenta. Un videogioco però non si riassume semplicemente nei suoi difetti o nei suoi pregi, così come io non posso riassumere la mia esperienza su Elden Ring parlando unicamente delle mie perplessità. Questo articolo è nato dalla mia volontà di discutere di quegli elementi che più mi hanno fatto storcere il naso durante la mia avventura, e che da quanto ho potuto notare non hanno scontentato solo il sottoscritto.
Sono del parere, inoltre, che una critica nei confronti di un videogioco non debba essere vista come una sorta di attacco: è proprio grazie al feedback degli utenti che gli sviluppatori riescono a individuare e (possibilmente) risolvere le problematiche legate al loro prodotto, migliorando così l’esperienza confezionata in partenza. Giustificare determinati difetti con la scusa delle “scelte autoriali” o artistiche, non solo non contribuirà in alcun modo a migliorare il lavoro del team di sviluppo, ma darà una lettura errata di quello che molto probabilmente l’autore voleva mostrare o comunicare. Per fare un altro esempio in tal senso, il primo gioco che mi viene in mente è nientemeno che NieR: Automata di Platinum Games, a cui vengono riconosciuti meriti per la qualità narrativa, ludica e artistica, sorvolando però sui problemi tecnici e di ottimizzazione legati alle varie versioni del gioco. Nascondere questi elementi sotto uno scudo protettivo non aiuterà di certo gli sviluppatori a migliorarsi in futuro, anzi, il rischio è di portarli inconsapevolmente a fare peggio.
A mio avviso, nel voler giustificare o persino omettere alcune problematiche, emerge che Elden Ring soffre dei medesimi problemi che affliggono Demon’s Souls, Dark Souls, Bloodborne e Sekiro, riprendendo da quest’ultimi svariati asset e non solo. Sebbene il primo open world realizzato da FromSoftware sia altamente affascinante e denso di luoghi da scoprire, ho percepito il loro ultimo lavoro come un piccolo passo indietro rispetto a quanto compiuto in passato, laddove quei punti critici da me sottolineati risiedono in quelle che sono sempre state le loro specialità. La mia esperienza con Elden Ring è stata fatta di alti e bassi, ma se c’è qualcosa che mi ha conquistato, quella è senza ombra di dubbio la direzione artistica. E voi, lo avete giocato? Com’è stato o come sta andando il vostro viaggio? Fatemelo sapere con un commento!
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