I videogiochi mi hanno abituato a vivere avventure attraverso tantissimi “io virtuali”: tra normalissimi umani, supereroi, semidei, predestinati, robot e persino animali, il medium mi ha sempre offerto una moltitudine di punti di vista con cui confrontarmi. Soprattutto con gli animali, spesso e volentieri gli sviluppatori vogliono veicolare un messaggio, condividere la loro visione del mondo con i giocatori. Nella mia “carriera videoludica” quindi ho assimilato tanti messaggi, maturando anche grazie ad essi, e capendo che tra le tante negatività del mercato ci sarà sempre qualcosa che mi spingerà a giocare.
Negli ultimi tempi, si sa, grazie ad una diffusione mediatica veicolata tramite il marketing e i social, spesso le discussioni che riguardano i videogiochi diventano incessanti, sfornando anche petulanti polemiche talvolta sulla base del nulla più assordante, ma dopotutto maturare un pensiero informandosi nel rispetto della propria persona è più complicato del “semplice battere i pugni sulla tastiera”. Perché tutto questo? Dopo aver concluso Stray, la popolare avventura felina sfornata da BlueTwelve Studio grazie anche al supporto di Annapurna Interactive (che non manca l’occasione di pubblicare dei gioiellini), e disponibile su PS4, PS5 (anche tramite il PlayStation Plus Extra e Premium) e PC, ho voluto prendermi qualche giorno per maturare le mie considerazioni sul gioco tenendomi alla larga dalle polemiche che lo riguardano, e ne vorrei discutere proprio in questa recensione.
Prima di tutto, qual è lo scopo di Stray? Cosa si fa in questo gioco? Nei panni di un gatto randagio, ci si spinge all’interno di un contesto post-apocalittico dal sapore cyberpunk, in cui la specie umana si è estinta lasciando il posto ad una civiltà robotica così senziente che l’unica differenza con la nostra risiede nel metallo di cui è composta. Il felino, che abita al di fuori delle mura che intrappolano la città, a causa di uno sfortunato evento si separa dalla sua colonia, finendo dritto nei bassifondi della metropoli. Da qui inizia il viaggio del peloso protagonista per ricongiungersi ai suoi simili, che affronterà al fianco di B-12, un’intelligenza artificiale contenuta all’interno di robottino volante: un’amicizia che valica indubbiamente qualsiasi barriera di forma e di razza. Mentre l’obiettivo si scoprirà più avanti (e mi riservo il diritto di non anticiparlo), durante l’avventura emergeranno diverse nozioni sul mondo costruito da BlueTwelve: com’è composta la società, le sue regole, le sue ribellioni, i suoi cittadini e le loro storie, rendendo a mio avviso il racconto decisamente stratificato e ben approfondito. Sebbene al pubblico più perplesso Stray possa sembrare un videogioco spinto dai meme, le storie che contornano questo percorso lo trasformano in più di un’avventura semplice e lineare.
Durata o non durata, nel tempo necessario per giungere ai titoli di coda si aprono e si chiudono dei cerchi, indipendentemente dal fatto di essere o meno dei completisti, e ho trovato adatta la semplicità con cui Stray racconta le sue vicende, soprattutto con un protagonista che comunica tramite miagolii. Mentre si è alla ricerca continua di esperienze sempre più complesse, ci si dimentica anche di quanto la semplicità possa talvolta ammaliare ed essere in grado di toccare le corde giuste nell’animo del giocatore, e Stray non solo fa questo, ma riesce addirittura a distinguersi da buona parte delle avventure che vengono proposte ogni anno. Probabilmente è questo il punto di forza di una produzione di medio-piccole dimensioni (sia per forma che per investimento), che riesce ad ottimizzare le sue risorse per offrire un’esperienza ben lungi dalla mediocrità tanto citata.
Descrivere Stray non è semplicissimo: da una parte vi è un racconto efficace, dall’altra un gameplay meno stratificato che non propone ulteriori spunti interessanti per quest’avventura felina. Il gatto randagio nel suo percorso si districherà nella verticalità offerta da tubature e sistemi di ventilazione che popolano le mura della città, la quale trae ispirazione dalla città murata di Kowloon. Le sue architetture difatti si riflettono non solo nell’ambientazione principale, ma anche nella sua atmosfera suggestiva, alimentata dalle insegne al neon che illuminano strade e vicoli. È possibile muoversi al suo interno sfruttando tutte le caratteristiche del felino, come la sua elasticità e la sua agilità, avendo così l’opportunità di esplorare con cura maniacale ogni anfratto della città.
Senza generare alcun stupore, non è poi così errato definire Stray un simulatore di gatto, tant’è che le sue abitudini, come miagolare, dormire appallottolato, farsi le unghie o persino strusciarsi sulle gambe degli androidi riscuotendo reazioni molto affettuose, si riflettono sulla componente ludica. Il titolo offre a mio avviso un’esperienza migliore in alcune sezioni più aperte in cui viene offerta un’esplorazione più libera, come nei bassifondi o nell’Infracittà, dove non solo è possibile dialogare con i residenti (grazie all’aiuto di B-12), ma anche esaudire le loro richieste e ottenere ricompense utili per il viaggio.
Tuttavia Stray non è un titolo atto unicamente a compiacere gli amanti dei felini (come il sottoscritto), e la componente avventurosa inizia a farsi sentire nei momenti di pericolo. Fuggendo dagli inquietanti Zurk (creature capaci di divorare persino il metallo) ed eludendo la sorveglianza delle sentinelle, la tensione scaturita da questi momenti dona un pizzico di pathos a quella che altrimenti sarebbe un’esperienza totalmente rilassante, dove personalmente ho trovato persino una certa pace dei sensi. Tra il pericolo e la beatitudine, si districano una serie di puzzle ambientali piuttosto elementari, che forse peccano d’inventiva. L’esperienza ludica offerta da Stray a mio avviso è senza infamia e senza lode, un qualcosa di puramente semplice e a tratti pacifico come lo spirito del suo racconto, che è riuscito a farsi apprezzare dal sottoscritto per quelle piccole meccaniche che condiscono il suo gameplay.
Se gameplay e trama risultano interessanti, da un punto di vista grafico Stray risulta a mio avviso persino sbalorditivo. Infatti la creatura di BlueTwelve visivamente può essere paragonata ai mastodontici AAA che inondano il mercato, con un comparto visivo impressionante che riesce a donare maggiore spessore al titolo. Gli ambienti, che come anticipato poc’anzi sono ispirati alla città murata di Kowloon, vantano una veste credibile e molto dettagliata, merito soprattutto del level design, che spesso e volentieri mi ha portato ad osservare gli edifici più da vicino. A questo bisogna aggiungere l’illuminazione, l’umidità e i vapori che permeano l’aria, e tutto ciò crea un’atmosfera affascinante, rilassante e soprattutto suggestiva. È qui che si nota l’attenzione dedicata al contesto in cui è ambientato Stray, costruendo attorno alla sua storia un luogo confortevole capace di esprimere le sue potenzialità.
Oltrepassando l’aspetto grafico, che se la cava egregiamente nonostante qualche modello poligonale non proprio rifinito, sotto il profilo tecnico il titolo non ha presentato particolari bug durante la mia partita, e ha dimostrato prestazioni decisamente ottime con 60 fotogrammi al secondo nella versione PlayStation 5, presentando solo in una brevissima sezione un calo drastico del frame rate. Come avventura lineare il titolo spinge moltissimo su grafica e tecnicismi, ma anche il comparto artistico riesce a tirare fuori elementi apprezzabili della corrente cyberpunk, il tutto accompagnato da una colonna sonora composta prevalentemente da brani lo-fi che hanno stuzzicato il mio udito.
Stray è un titolo semplice sia nelle sue intenzioni che nelle sue azioni, un’avventura lineare rilassante con qualche apertura capace di catturare la curiosità dei più avidi esploratori. Il suo gameplay non eccelle, e trova alcune scelte alquanto discutibili nel design dei suoi enigmi, tuttavia riesce a scalfire anche le corazze dei giocatori più scettici grazie al suo racconto e il suo immaginario, che si ramificano e concretizzano impeccabilmente anche nell’arco della sua fin troppo discussa longevità. Sebbene la durata non sia un dato assoluto, né indichi la qualità di un videogioco, personalmente però avrei voluto approfondire di più il mondo costruito da BlueTwelve, causa forse di un epilogo che giunge come un fulmine durante un temporale: immediato ma roboante.
Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.