Da qualche anno a questa parte sono sempre di più i prodotti animati Netflix che stupiscono per concept geniali, sceneggiatura innovativa e qualità dell’animazione non solo buona, ma a volte persino stellare, a prescindere dalla tecnica utilizzata. La piattaforma investe specialmente in piccoli studi che dimostrano di avere tanto da dire, lasciando piena libertà creativa e permettendo loro di confezionare serie e film che arrivano genuinamente dritti al cuore.
ONI: La leggenda del dio del tuono ne è un esempio lampante. Questa miniserie in stop-motion creata dallo studio Tonko House, e diretta dal suo fondatore Tsutsumi “Dice” Daisuke, può essere definita una produzione nippo-statunitense in tutti i sensi: la maggior parte delle persone che ci hanno lavorato, in ogni stadio della realizzazione, sono infatti giapponesi o hāfu (con genitori o discendenze nipponiche), e hanno indubbiamente messo un pezzo di sé nella storia. Trattandosi di soli 4 episodi da 40 minuti ciascuno, per non farvi spoiler vi racconterò solo il primo episodio senza rivelarne il finale.
Sul Monte dei Kami, all’interno di un piccolo villaggio che ricorda molto il Giappone tradizionale pre-colonizzazione e pre-orientalismo, vivono diverse entità del folklore giapponese (“Kami” per l’appunto). La loro più grande paura è la Luna Demoniaca, che appare ogni cento anni facendo arrivare degli esseri che radono tutto al suolo, gli ONI: a breve sorgerà nuovamente, e le nuove generazioni studiano e si esercitano per far emergere il proprio potere da spirito, così da essere in grado di scacciarli quando arriverà il momento.
Tra di loro spicca Onari, figlia dell’orco rosso Naridon, dotata di un carattere esplosivo e pronta a tutto pur di diventare come il suo grande eroe, il Dio del Tuono. Purtroppo, Onari non riesce a capire quale sia la natura del suo potere, dato che non ha mai visto suo padre esercitare abilità particolari; il placido Naridon, infatti, passa tutto il tempo a occuparsi di lei e della casa, giocare nei boschi e mangiare. Per quanto lei voglia bene al padre, e solitamente prenda parte al suo divertimento, finisce per trattarlo male visto che non riesce a darle una mano a capire le sue potenzialità e la mette in imbarazzo di fronte al resto dei suoi compagni. Ma Naridon è molto più di quello che appare, e di lì a breve Onari comincerà una tortuosa scalata alla scoperta di sé e del mondo che la circonda.
Da questa descrizione la storia potrebbe sembrare simile a molte altre già sentite e viste, ma posso assicurarvi che non mancano plot twist né ribaltamenti di soluzioni che sembrano scontate, in più la relazione tra Onari e Naridon, vero fulcro della miniserie, saprà coinvolgervi come non mai.
La qualità di ONI è ineccepibile: un character design adorabile, una storia coinvolgente per persone di tutte le età che esplora temi importanti, una soundtrack azzeccata e di tutto rispetto, un’animazione in stop-motion con la giusta fluidità, effetti digitali ridotti all’osso e una fotografia capace all’occorrenza di esprimere sia paura che dolcezza. Comprimari e personaggi secondari sono ben caratterizzati, e la protagonista è stata scritta in modo da non essere un semplice perno intorno al quale ruota tutta la storia o una Mary Sue che non sbaglia mai; anzi, i suoi difetti e quelli di tutti gli altri rivelano un lato profondamente umano, sul quale poi si gioca un punto di trama fondamentale.
Le uniche pecche che mi ritrovo personalmente a evidenziare sono due: in primis, nel terzo e nel quarto episodio viene mostrata una cosa molto grave perpetrata dagli umani, ma questo discorso con un messaggio così forte non viene più ripreso e non si sa come gli spiriti agiranno in merito in futuro, lasciando così la storia non chiusa per bene. In secondo luogo, per quanto l’edizione italiana sia stata fatta bene e il doppiaggio sia assolutamente godibile, vista la natura del progetto forse è un peccato non aver coinvolto persone hāfu italo-nipponiche dal mondo dell’intrattenimento e dello spettacolo, come per esempio la stand-up comedian Yamada Yōko, oppure doppiatori e doppiatrici naturalizzate italiane come Yamanouchi Hal o Ichikawa Jun. Per lo stesso ragionamento, non sarebbe stato male un giovane attore afro-italiano per il comprimario Calvin, che fa proprio un discorso molto accorato e importante sull’essere stranieri di seconda generazione, con genitori di nazionalità diversa.
ONI: La leggenda del dio del tuono è in ogni caso un capolavoro che diverte e commuove, uno splendido fulmine a ciel sereno.
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