Penelope è il frutto del lavoro di Dado (Davide Caporali) alla storia e al layout, insieme a Savuland (Silvia Landucci) che si è dedicata alle matite e alla chine. Con questo fumetto, SaldaPress dimostra di credere molto nella crescita e nella maturità di Dado, che qui dà prova di voler uscire dalla sua abituale comfort zone.
Penelope è un fumetto che si lascia leggere scorrevolmente dato il suo dinamismo e la velocità con cui si evolvono le azioni, ma concede anche al lettore di godersi alcuni, rari, momenti in cui la narrazione rallenta, permettendo di fare un tuffo nell’animo della protagonista (per l’appunto, Penelope) e di riprendere le redini del mondo ideato da Dado.
A livello concettuale il fumetto è interessante, sebbene presenti tantissime idee già viste che, non venendo rivisitate in chiave originale, rimandano forse anche troppo al mondo disegnato in Hellboy da Mignola, sia in ambito fumettistico che cinematografico. A mio parere, l’opera avrebbe avuto bisogno di una maggior cura nella lavorazione.
Il pubblico di riferimento non è chiaro: la storia è veloce e spinge il lettore a non porsi tante domande, dando pochissime spiegazioni, come si tende a fare quando si ha come target un pubblico meno maturo; al tempo stesso, però, una sola tavola esplicitamente splatter spinge la direzione verso un pubblico più consapevole, così come la tematica dei disturbi mentali.
La sensazione è che Dado avesse tanto da dire, riversando tutto in Penelope senza limare o rinunciare a qualcosa, facendo sì che i personaggi fossero solo dei messaggeri privi di ogni caratterizzazione. Il fumetto, di fatto, non vede dei personaggi in azione: sono praticamente tutti accessori. Penelope stessa non viene ben delineata (né attraverso i suoi atteggiamenti né attraverso quelli degli altri), e le informazioni che vengono date su di lei sono inutili ai fini della trama e non aggiungono nulla ai temi trattati.
Oltre ai personaggi, un altro problema è che non si riesce a credere alla realtà raccontata: si parla di dimensioni diverse ma esiste comunque il concetto di esoterismo; una ragazzina prima ha le visioni, poi non le ha più, poi le tornano senza alcun motivo; un gatto nero subisce una particolare trasformazione (ma non può venire dall’altra dimensione altrimenti nessuno lo avrebbe visto o avrebbe interagito con lui); i personaggi fanno azioni non plausibili solamente per andare nella direzione in cui la storia vuole che vadano, e così via. Tutto appare poco naturale, forzoso, quasi un esercizio di stile, che sicuramente è un ottimo banco di prova sia per Dado che per Savuland, ma che purtroppo resta tale.
Penelope in ogni caso rimane un fumetto piacevole da leggere e soprattutto bello da vedere: il bianco e nero, con la cura di Savuland per le chine, arricchisce molto la narrazione rendendola dinamica ma anche profonda, interessante e coinvolgente, e i disegni sanno essere simpatici ma anche crudi, adattandosi alla narrazione. A livello di trama, però, manca una direzione ben chiara. Non è una lettura durante la quale ci si possa fare troppe domande, dal momento che un certo caos, purtroppo, non permette di fissare nella mente una tematica ben precisa e neanche di affezionarsi o empatizzare con la protagonista.
Un ringraziamento speciale a SaldaPress
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