The Dark Pictures Anthology: The Devil in Me (Xbox Series X|S)

The Dark Pictures Anthology: The Devil in Me

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Sicuramente nel corso della vostra vita vi sarete imbattuti almeno una volta nella definizione di follia. No, non mi riferisco alla definizione da dizionario, ma più al concetto espresso da Vaas Montenegro in Far Cry 3. Lasciate che vi rinfreschi la memoria: “Follia è fare e rifare la stessa cosa, ancora e poi ancora, sperando che qualcosa cambi“. Ma cosa c’entra tutto questo con The Devil in Me, il nuovo capitolo di The Dark Pictures Anthology? Beh, in realtà questa definizione caratterizza appieno il titolo di Supermassive Games.

Di solito, una buona idea porta quasi sempre a due risultati opposti: uno estremamente positivo, dove ogni scelta ha portato a un esito finale estremamente soddisfacente; l’altro, invece, che per colpa di alcune scelte sbagliate ha decretato un fallimento critico. The Dark Pictures Anthology è esattamente un concentrato di buoni propositi, che però lungo lo sviluppo si è imbattuto svariate volte in pessime scelte stilistiche (e non solo), dando così al mondo videoludico una serie di prodotti a dir poco mediocri. Purtroppo, nemmeno The Devil in Me si salva da questo crudele destino, ma prima di decretare un verdetto decisivo cercherò di spiegarvi perché, ormai, si dovrebbe “staccare la spina” a questa saga.

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Se c’è un genere videoludico che in questi anni non è mai riuscito a evolversi in maniera decisiva, è sicuramente quello dei “film interattivi”. Mi riferisco a quella tipologia di esperienze cinematografiche in cui il gameplay viene ridotto all’osso per dare priorità alla narrativa. Gran parte del divertimento sta nel decidere l’andamento generale della storia, in base a delle scelte prestabilite che ne cambieranno in parte la struttura. Insomma, una tipologia di gioco alquanto difficile da “evolvere”. Proprio per questo, quando uno sviluppatore si incaponisce, ci si aspetta di vedere il compito svolto quasi alla perfezione (specie se ha diversi anni di esperienza nel campo), e seguendo questo criterio ancora non riesco a capire come Supermassive riesca a peggiorare di capitolo in capitolo, quando si parla della Dark Pictures Anthology.

Ironicamente, tutti i giochi di questa saga si sono rivelati estremamente pigri e dimenticabili, pur dimostrando di avere ottime idee di partenza. Vedere un team di sviluppo sfruttare così male le proprie armi è quasi impressionante: sembra un esercizio stilistico svolto al contrario, dove il risultato finale deve essere sempre più deludente. Infatti The Devil in Me, per ragioni ignote, tocca livelli di una mediocrità a dir poco disarmante, se non peggio.

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Come ho scritto poco più sopra, questo genere ha bisogno di una base narrativa estremamente solida, poiché il principale fattore di divertimento è legato proprio alla storia, e indovinate un po’ dove The Devil in Me riesce ad essere un disastro? Pur avendo una base di partenza molto buona ispirata a un fatto realmente accaduto (ovvero i crimini di Henry Howard Holmes), Supermassive Games non è stata in grado si sfruttarne le potenzialità. Trattandosi di un gioco altamente improntato sulla narrazione eviterò di scendere nei dettagli e rovinarvi l’esperienza, ma voglio comunque darvi un’infarinatura generale così da poter spiegare meglio determinate pecche.

La storia ci metterà nei panni di una troupe di ragazzi con la passione per i documentari (soprattutto quelli legati alla parte più paurosa dell’umanità). La fortuna però non ha mai bussato alla porta di questo team di “documentaristi”. Infatti, quasi tutte le loro produzioni televisive si sono rivelate dei veri fallimenti… tranne una! La docu-serie incentrata sui serial killer americani sembra avere un buon impatto sul pubblico, spingendo i ragazzi a sperimentare sempre di più con le inchieste legate a questo mondo. Proprio per questo motivo, la sorte li porta a ricevere un’offerta da una figura misteriosa, che sembra rendersi disponibile nel far documentare al team il motel di H.H. Holmes, uno dei serial killer americani più noti della storia.

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Già da queste righe potete intuire quanto la trama sia prevedibile, per certi aspetti. Infatti, il racconto non è niente di diverso da un qualsiasi teen horror movie, e per di più non viene smussata alcuna delle varie problematiche del genere. Così come nei precedenti capitoli della Dark Pictures Anthology, i personaggi principali sono caratterizzati in maniera del tutto insoddisfacente: nessuno riesce a rendersi apprezzabile, in quanto la dubbia moralità di ognuno di loro risulta piuttosto insensata. Sembra quasi che Supermassive si sforzi di rendere i personaggi odiosi (o poco interessanti) per farci godere di più del momento in cui subiranno delle morti violentissime. Questo però si ripercuote sul sistema di scelte morali.

Infatti in The Devil in Me, sempre al pari degli altri capitoli, certe decisioni si riveleranno senza logica o proprio inutili. Raramente sentiremo che una nostra decisione abbia davvero il potere di cambiare la sorte dei personaggi. In certe fasi del gioco, pur adottando la tattica più sicura a rigor di logica, mi sono ritrovato a dover assistere alla morte di alcuni di loro. In casi di questo tipo ci si rende conto di quanto il sistema “morale” sia impostato per seguire un pattern predeterminato, dando solo la mera illusione della scelta.

Ma se c’è una cosa che incide tantissimo sulla scarsa qualità di The Devil in Me, quella è la sensazione di “vecchiaia”. Il gioco presenta tutte quelle caratteristiche che ormai vediamo da anni in opere del genere: poca interattività, jumpscare troppo frequenti che portano più alla noia che al terrore, ed elementi videoludici relativamente risicati, fatta eccezione per i pochi dialoghi e qualche elemento con cui interagire. Sarà per la cadenza annuale della saga, ma pur cercando di aggiungere un elemento nuovo con un “inventario”, Supermassive dimostra anche in questo capitolo una fretta che incide negativamente sulla qualità generale. Che senso ha aggiungere un elemento nuovo se viene sfruttato male (o non viene sfruttato proprio)? Insomma, da un punto di vista videoludico The Devil in Me tocca a fatica la mediocrità.

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Passando al comparto tecnico, che i capitoli di The Dark Pictures Anthology non brillino da questo punto di vista ormai lo do per assodato, eppure non ho potuto fare a meno di rimanere sbalordito da quanto siano stati curati male certi aspetti di The Devil in Me. Le animazioni (faciali e non) ad esempio sono tra le più brutte viste negli ultimi anni, e sebbene ormai questa sia un po’ una costante per Supermassive qui si toccano livelli di oscenità difficili da descrivere a parole. Anche a livello grafico generale non ci siamo: pur girando su sistemi moderni, il gioco presenta ancora una serie di texture indietro di due generazioni e un frame rate piuttosto ballerino, non riuscendo a mantenersi stabile sui dovuti 60 fps. Durante la mia esperienza su Xbox Series X, inoltre, il gioco continuava a caricare in ritardo le texture ad ogni cambio di inquadratura, cosa che mi ha rovinato non poco l’immersività generale.

Purtroppo la grafica non è l’unico fattore “rotto” in The Devil in Me: anche il comparto audio presenta criticità non indifferenti. Se sul doppiaggio non c’è tantissimo da dire (un lavoro mediocre, ma c’è di peggio), la qualità di mix e master è decisamente scadente, e ci sono parti del gioco nelle quali i personaggi cambiano improvvisamente lingua (da italiano a inglese o viceversa). Inizialmente pensavo a un errore isolato, ma questa problematica mi si è ripresentata praticamente per tutta la durata dell’avventura.

dark pictures anthology devil in me uomo legato

The Dark Pictures Anthology: The Devil in Me è potenzialmente uno dei titoli più evitabili di questo 2022, e lo dico con non poco dispiacere, in quanto Supermassive Games ha dimostrato di avere buonissime idee. Tuttavia questo modo raffazzonato di lavorare non ripaga e il risultato quando si parla di questa saga finisce quasi sempre con l’essere un disastro. Forse l’unica lancia che posso spezzare nei confronti del gioco è il prezzo budget a cui viene proposto, ma se siete amanti del genere e cercate un’esperienza ludica più curata, o semplicemente già i precedenti lavori di Supermassive non vi hanno convinto, allora direi che The Devil in Me non fa al caso vostro.

Un ringraziamento speciale a Bandai Namco

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Il soggetto è particolarmente irritabile quando non sta in mezzo al proprio habitat che coinvolge la scrittura, i videogiochi, la musica (preferibilmente Metalcore) e il Wrestling. Suggeriamo di rinchiuderlo in una stanza piena di console, album dei Pantera (all'occorrenza degli Slipknot) e prodotti legati al Wrestling. Da liberare solo in caso di estremo bisogno!

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